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Rosario Pesce
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Quella del 25 aprile è, di certo, una festa dal sapore antico, visto che gli eventi, che si commemorano in tale data, fanno parte del nostro dna in modo permanente da oltre 70 anni.
Ma, nonostante i decenni passati ed i cambiamenti prodotti nella nostra società e nel mondo delle istituzioni da quel lontano 1945, la ricorrenza della Liberazione è, pur sempre, un momento fondamentale della nostra storia, perché in quei valori di libertà e di affrancamento dalla dittatura si riconoscono tutti gli Italiani.
È evidente che il discrimine Fascismo versus Antifascismo non esiste più, ma è altrettanto evidente che le complessità non mancano, invero, in un quadro istituzionale che è di difficile ricomposizione, come quello odierno.
In particolare, non si può negare che non mancano rigurgiti di cultura autoritaria, visto che un numero sempre crescente di persone viene attratto da messaggi e slogan, che scimmiottano valori (o meglio disvalori), che sono lontanissimi dal pensiero democratico.
Non è un caso se, negli ultimi anni, per effetto della copiosa immigrazione, nella nostra società sono venuti formandosi gruppi che, evidentemente, veicolano messaggi cari ad una cultura di una certa Destra, che non dovrebbe avere ospitalità in un Paese, compiutamente, democratico.
D’altronde, finanche il Fascismo ed il Nazismo crebbero per effetto della paura dello straniero, che nel Novecento era identificato nell’Ebraismo e nella presenza che i cittadini di quella cultura avevano nelle istituzioni e nelle posizioni di comando della finanza tedesca e mondiale.
È ovvio che non è possibile alcuna forma di paragone con il passato, ma è altrettanto saggio soffermarsi, in modo non retorico, sul valore della memoria, dal momento che, senza di questa, eventi brutali e feroci, che si vorrebbero eliminare dal nostro passato, potrebbero sempre tornare ed inquietare coloro che sono animati, invece, da un sincero spirito democratico.
Peraltro, è necessario che le istituzioni tornino a dare delle risposte convincenti ai bisogni dei cittadini, perché la povertà e l’esclusione sociale crescenti non possono che essere brodo di coltura per fermenti anti-democratici, mai sopiti sul suolo europeo.
Forse, dobbiamo tornare alle origini delle nostre democrazie occidentali e recuperare le idee di chi ci ha consentito di vivere in piena libertà per oltre mezzo secolo?
O, forse, bisogna attivarsi, anche sul piano della concretezza mondana, per creare le premesse di una società più equa e tollerante, che costituisce condizione essenziale per essere immuni da nuove, striscianti forme di autoritarismo?
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