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Rosario Pesce
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Quella della scuola è, certamente, una delle esperienze più significative che un professionista può realizzare.
Lavorare per migliorare le conoscenze, le competenze degli alunni è, di certo, un privilegio, visto che l’attività del docente è, per sua definizione, creativa.
Nel nuovo modello di scuola, quello che privilegia l’acquisizione delle competenze alla mera trasmissione del sapere, la capacità creativa del docente diviene ancora di più ridondante, visto che egli stesso è paragonabile ad un artista-demiurgo, che deve aiutare i suoi discenti a plasmarsi ed a formarsi in vista di nuovi livelli di maturità.
In tal senso, la scuola, intesa come luogo di formazione di competenze - in primis - per la vita, diviene un laboratorio continuo, nel quale le capacità gnoseologiche e di lavoro in gruppo dei docenti, come degli allievi, predominano rispetto a qualsiasi altro profilo.
In tale contesto, esperienza ancora più seducente ed affascinante diviene quella della direzione di una macchina complessa, qual è un istituto scolastico dell’èra dell’autonomia, nonostante le indubbie difficoltà che presenta l’agire quotidiano.
Intrecciare relazioni con enti e soggetti istituzionali di vario tipo; incontrare genitori ed allievi per conoscerne bisogni e richieste; discutere con i docenti delle problematiche didattiche o con il personale Ata di quelle relative alla gestione ed all’amministrazione, sono tutte azioni che riempiono le giornate di un dirigente, che voglia relazionarsi in prima persona con la dimensione della direzione, subendo il meno possibile il condizionamento di filtri e di mediazioni varie.
Tenere insieme, poi, il profilo educativo con quello manageriale-gestionale diviene la scommessa più importante, dal momento che ciascuno di noi, naturalmente, può essere portato verso l’uno piuttosto che verso l’altro.
Far sentire il senso ed il sentimento dell’essere squadra è, poi, l’ulteriore scommessa “educativa”, che il dirigente deve vincere, sia rispetto alle componenti interne, che verso quelle esterne, perché è ovvio che, in una macchina così complessa, non c’è nessun leader in senso assoluto, che sia in grado da solo di conseguire l’obiettivo che si è proposto in sede di assunzione di un incarico professionale di tale prestigio.
E, su questo tema, in particolare, si gioca l’autorevolezza di chi un tempo veniva chiamato “preside” o “direttore” ed oggi, invece in modo più neutro, è un dirigente tout court della Pubblica Amministrazione.
È chiaro che il contesto non può non condizionare sia gli esiti, che la progettazione dell’azione dirigenziale, ma quello diviene, spesso, la proiezione delle nostre capacità e competenze, per cui - finanche - l’ambiente sociale più oppositivo e problematico può divenire fonte di opportunità per chi, con pazienza e virtù, sa gestire i rapporti interpersonali, sapendo bene che l’arte “politica” della mediazione è, oggi, viepiù richiesta a colui che è ricoperto, suo malgrado, di tante responsabilità civili, penali, erariali, disciplinari.
E l’obiettivo di tutto ciò qual è?
La felicità degli allievi e la certezza dell’avvio di un percorso formativo, che si compirà solo con l’ingresso loro nella società, quella che comunque è già presente, in forme massicce ed - a volte - invasive, nei luoghi scolastici con le sue articolazioni.
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