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Il giardino dell'Eden (1415), di Maestro di Boucicaut (1390 - 1430).
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Rosario Pesce
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Riscopriamo il valore della vita umana, quando purtroppo ce ne accorgiamo di fronte a tragedie, che ci colpiscono da vicino.
La morte di un amico o di un parente o, comunque, di una persona cara rappresenta l’occasione, per noi miseri mortali, di fermarsi un attimo e di riflettere sul valore del nostro stesso vivere, visto che i ritmi forsennati del lavoro e delle attività giornaliere ci portano, molto spesso, lontani da un orizzonte riflessivo, che pure dovrebbe essere sempre presente.
Riflettere sulla vita terrena – che sappiamo essere precaria e finita – significa inequivocabilmente riflettere su ciò che vi è dopo la stessa, visto che la trascendenza torna nei pensieri di tutti, finanche di coloro che si professano atei.
Pensare che, con il disfacimento della carne, possa spegnersi tutto è, davvero, un pensiero che rende ancora più tragico il momento del distacco dai nostri cari, quando questi emettono l’ultimo respiro vitale.
Ma, è inesorabile sperare, auspicare, credere che qualcosa vi sia dopo questa vita, anche perché solo la speranza ci rende l’esistenza quotidiana meno faticosa e problematica.
Quando, poi, muore un giovane, è inevitabile che il dolore diviene ancora più forte e stridente.
I Greci pensavano che, a morire in modo prematuro, fossero le persone care agli Dei, ma è ovvio che la loro prospettiva culturale era molto diversa dalla nostra, perché – per nostra fortuna – la vita media si è allungata notevolmente ed un’eventuale morte prematura sembrerebbe più una condanna, che un segno della grazia e della generosità di Dio.
Certo è che dobbiamo tutti fermarci di fronte al mistero della morte e, quando questa viene cagionata dalla stessa persona che decide di farla finita, è chiaro che il rispetto ed il silenzio devono prevalere viepiù.
Quella diviene la soglia che delimita il detto dall’indicibile e quella soglia merita di essere rispettata doverosamente da chi, giorno per giorno, ha il coraggio di fare una scelta differente.
La religione, le grandi ideologie, i sistemi di etica e di morale sono, comunque, insufficienti per spiegare il senso della vita, ma certamente l’atto vitale riempie, di per sé, le nostre intelligenze e, come tale, è l’unico “assoluto” che possiamo onorare, forse in vista di un traguardo che ci sfugge, ma la cui prefigurazione ci allieta e ci rende più tollerabile, talora, la pena del vivere.
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