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Rosario Pesce
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Il lavoro è dignità.
È, questa, una semplice verità, che però viene sempre più mortificata nella società odierna, nella quale moltissime persone o non hanno un lavoro o hanno un lavoro precario e malpagato.
Purtroppo, le condizioni lavorative sono andate peggiorando per effetto della globalizzazione, per cui le garanzie, che erano state raggiunte - nel corso del Novecento - per effetto delle lotte sindacali, sono andate perse perché molti imprenditori, trasferendo le produzioni fuori dall’Europa, sono stati capaci di annullare decenni di avanzamenti della legislazione lavoristica.
Ormai, a livello planetario, si è scatenata una competizione per individuare i luoghi dove si può produrre a costi più bassi, che significa non solo salari da fame, ma anche condizioni di sicurezza, in alcuni casi, invero miserrime, che non garantiscono la vita di chi offre la propria manodopera.
Peraltro, con l’arrivo dei cittadini extracomunitari, si è innescata un’ulteriore competizione fra lavoratori, per cui riescono a lavorare quei poveri individui, che sono oggetto di atteggiamenti padronali sempre più svilenti.
Così, il Novecento è andato, per davvero, in soffitta: le vittorie dei movimenti dei lavoratori sono state cancellate, con un colpo di spugna, nel corso degli ultimi venti anni, a danno non solo di chi, oggi, non ha un lavoro dignitoso, ma ledendo la possibilità di crescita civile di un’intera società.
Molto spesso, ciò che è un diritto viene, dunque, avvertito come una clientela, per cui giovani ed anziani sono condannati ad una condizione non solo di precarietà, ma soprattutto di mortificazione del proprio essere sociale, visto che il lavoro è la precondizione perché si possa vedere riconosciuta la propria collocazione nel consesso dei simili.
Cosa fare?
Forse, riprendere le lotte del XIX e del XX secolo, per ridare dignità a chi viene pagato con i voucher o a chi svolge un lavoro dipendente, ma è costretto a lavorare con partita Iva?
Forse, tornare ad esaltare la cultura del lavoro, sia con accenti socialisti, che cattolici democratici, auspicando che il liberismo sfrenato, indotto dalla globalizzazione, possa subire un freno in tempi ragionevoli, prima che non produca eccessivi danni?
Forse, affidarsi alle parole del nostro Pontefice, che torna sempre ad esaltare il lavoro come ricchezza dei singoli e delle nazioni, allo scopo di auspicare un rinnovamento profondo dello spirito che anticipi quello dei soggetti economici?
Certo è che, se il lavoro è dignità, non può essere giudicata degna una società che non garantisce un lavoro sicuro a tutti coloro che devono e possono lavorare per il riscatto proprio e per l’emancipazione dei propri figli.
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