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Rosario Pesce
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Costruire una memoria condivisa non è facile in un Paese, come il nostro, che ha conosciuto la guerra civile nel corso del biennio 1943/45.
Le forze politiche e quelle della cultura si sono sempre divise, a partire da quella data, in fasciste ed antifasciste, per cui, durante tutta la Prima Repubblica, il legame con la dittatura è stato un necessario ed opportuno discrimine fra chi condivideva i valori libertari e democratici e chi, invece, è stato dalla parte sbagliata della barricata.
Con la caduta della Prima Repubblica e con la salita al Governo degli eredi del Fascismo nel 1994 - gli esponenti del Movimento Sociale, poi divenuto Alleanza Nazionale - è chiaro che la storia è cambiata, per cui ci si è sforzato, da ambo le parti, di costruire una cornice condivisa di valori, così da realizzare la piena praticabilità istituzionale, anche, in favore di chi - per cinquant’anni - ha subito una conventio ad escludendum.
Un simile tentativo è andato, in parte, fallito: infatti, ancora tuttora, sia pure sovente in modo vago e confuso, si ritorna all’antico discrimine, benché non siano più in vita coloro che, nel corso della Guerra di Liberazione, hanno preso parte con Fascisti e Nazisti.
Oggi, a distanza di settant’anni circa da quegli eventi, si ripropone il medesimo problema: i figli, o meglio i nipoti dei partigiani e dei repubblichini, possono festeggiare il 25 aprile come momento condiviso di una unica ed articolata memoria nazionale?
La risposta non può che essere parziale.
In primis, infatti, bisogna ricordare a tutti, sia di una parte che dell’altra, che il tempo può rendere più mitigato il ricordo, ma le ragioni di una militanza conservano la loro integrità.
Non si può, invero, mettere insieme le ragioni della libertà e della democrazia con quelle di chi, all’epoca, ha combattuto a favore di una dittatura cieca ed irrazionale, che portò il Paese nel baratro di una guerra civile e di una povertà così diffusa, da cui l’Italia poté risollevarsi, solo, a distanza di venti anni – almeno – dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Certo, il Novecento ha poi dimostrato che, anche, i Comunisti, che erano la principale forza politica antifascista del nostro Paese, avevano nel loro arsenale ideologico gli scheletri della dittatura stalinista in Unione Sovietica, da cui hanno preso le distanze, forse, troppo tardi.
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