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sabato, 22 aprile 2017 10:42 |
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Rosario Pesce
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Il voto francese di domani e del secondo turno, fra due settimane, è molto importante, così come lo è quello inglese del prossimo mese di giugno e quello tedesco di settembre.
Capiremo, finalmente, se e come l’Europa andrà avanti, visto che il principale tema della campagna elettorale, nei tre principali Paesi dell’area europea, è appunto l’adesione o meno all’Unione ed, eventualmente, in quali termini questa possa essere, ancora, ragionevolmente fattibile.
È evidente che i limiti della costruzione europeistica hanno portato ad una condizione simile, con la pubblica opinione continentale schierata contro il progetto, che forse è stato troppo ambizioso o, per certi aspetti, lo è stato troppo poco.
Certo è che, da quando esiste l’Unione Europea con l’unificazione monetaria, le condizioni complessive di vita sono, nettamente, peggiorate.
Infatti, il contemporaneo processo di globalizzazione ha fatto sì che moltissimi Paesi dell’Occidente europeo siano divenuti, in breve tempo, dei deserti industriali, con il trasferimento delle produzioni in aree del Terzo Mondo, dove i costi per gli imprenditori sono di gran lunga inferiori per il minore carico fiscale e per i minori controlli statuali.
È ovvio che, con la diminuzione della ricchezza prodotta, anche i servizi conseguenti sono peggiorati, visto che lo Stato sociale si alimenta, ineluttabilmente, con le imposte e le tasse, che possono essere pagate solo se i cittadini lavorano ed hanno un reddito congruo con le loro esigenze di vita.
L’arrivo, infine, dei poveri dal Sud del mondo ha peggiorato, ulteriormente, la condizione di vita delle nostre periferie, per cui, sempre più spesso, assistiamo a conflitti veri e propri fra i diseredati autoctoni e quelli che provengono dall’Africa o dall’Asia.
Tutto ciò conta pesantemente e determinerà il voto degli Europei: la decisione degli Inglesi dello scorso mese di giugno di uscire dall’Unione è solo il primo passo di un processo, che – se dovesse procedere – porterebbe, nel giro di un decennio, alla decostruzione di ciò che i nostri padri hanno costruito nel corso di mezzo secolo, a partire dal Secondo Dopoguerra.
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Per queste motivazioni, il voto francese, inglese e quello tedesco dei prossimi mesi ci diranno qualcosa di serio ed importante intorno ai futuri destini dell’Unione Europea: se dovessero vincere le forze antieuropeiste, è chiaro che il Regno Unito diventerà un modello per molti, per cui si arriverà all’implosione di una costruzione che, di fatto, non ha mai prodotto gli esiti desiderati.
E l’Italia?
Noi andremo al voto, molto probabilmente, solo nel prossimo mese di febbraio, per cui voteremo quando gli altri avranno, già, segnato un percorso, per moltissimi aspetti indelebile.
Dalle nostre parti, i partiti ed i movimenti antieuropeisti sono molti, da Grillo all’estrema Sinistra, dalla Destra post-fascista alla Lega, a dimostrazione del fatto che, finanche, fra gli antieuropeisti le posizioni di merito possono essere, comunque, molto ampie, articolate e diversificate.
L’unico partito, che comunque rimarrà a difendere la bandiera dell’UE, è il PD, ma gli determinerà, una siffatta posizione, un vantaggio elettorale?
O, forse, anche lo stesso Partito Democratico avrebbe dovuto, con maggiore forza e convinzione, rimarcare i limiti dell’europeismo, per non subire, per intero, i livori della pubblica opinione per i suoi obiettivi difetti?
Certo è che, chiunque vinca, saremo ad un bivio, che deciderà le sorti dei prossimi decenni: che si voti pro o contro l’Europa, il vecchio continente deve ridestarsi dal suo sonno, se non vuole divenire la periferia del mondo civile ed, economicamente, avanzato.
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