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Rosario Pesce
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C’è un’Italia che non ci piace.
È l’Italia nella quale un clochard viene bruciato per strada.
È l’Italia dove una coppia muore sotto ad un ponte autostradale, forse, per effetto di una valutazione sbagliata da parte dei tecnici responsabili della manutenzione di quella struttura.
È l’Italia nella quale c’è un leader politico che, dopo aver offeso il Sud, pretende di colloquiare con quel mondo, che ha sempre dileggiato.
È l’Italia che fa uso di sassi e di lacrimogeni come strumento di lotta politica.
È l’Italia dei leader che, dopo aver subito una sonora sconfitta elettorale, pretendono di essere buoni per qualsiasi stagione, per cui non fanno mai un effettivo passo indietro.
È l’Italia dove una partita di calcio è, sempre, condita da dubbi - davvero - inquietanti circa la sua regolarità.
È l’Italia dove crolla il soffitto di un’aula scolastica pochi minuti prima dell’ingresso, in quell’ambiente, degli alunni e degli operatori didattici.
È l’Italia dove non è ipotizzabile un posto di lavoro dignitoso per chi ha conseguito lauree e masters.
È l’Italia dove, ai giovani, vengono fatti contratti che sovente non vengono fatti rispettare.
È l’Italia segnata da una disoccupazione galoppante, che coinvolge cittadini di tutte le fasce anagrafiche e culturali.
È l’Italia che, talora, si dimostra xenofoba ed intollerante.
Cosa fare, allora, per combattere contro l’esistente e creare le condizioni di vita per un Paese migliore e più civile?
È, invero, raccapricciante lo scenario che, spesso, si apre.
Desolazione, povertà, paura, dominano incontrastate in una nazione, che - da diversi anni - perde posizioni nelle graduatorie internazionali della ricchezza.
I giovani sono disperati, gli anziani disillusi, il ceto medio per lo più inesistente, mentre l’alta borghesia è l’unica classe, che trae vantaggi dalla condizione odierna.
Forse, si tornerà ad emigrare con i medesimi flussi del primo Novecento?
Forse, ci si renderà conto che i livelli di benessere del secolo scorso non possono essere più assicurati?
Forse, ci si abituerà al Male e non si sarà capaci più di discernere il Bene dalla sua negazione?
Forse, semplicemente, si accetterà la condizione attuale, sperando che non peggiori ulteriormente?
O, forse, ci sarà uno scatto di orgoglio, per cui si ricostruirà il nostro Paese, come hanno fatti gli Italiani dopo le macerie, economiche e morali, della Seconda Guerra Mondiale?
Certo è che l’auspicio di tutte le persone più avvedute è che la saggezza torni a dominare in un contesto nel quale, invece, prevale la tendenza allo sterile contenzioso ed al conflitto permanente, che invero non fanno bene a nessuno.
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