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Alla scoperta dell'origine genetica dei Sardi con il prof. Francalacci

venerdì, 03 febbraio 2017 08:01

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Paolo Francalacci
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato Paolo Francalacci, Professore Associato di Genetica presso l'Università degli Studi di Sassari, che nel corso della sua carriera si è occupato di evoluzione umana, con ricerche al confine tra l’antropologia e la genetica, e ha avuto modo di studiare la filogenesi molecolare del DNA mitocondriale e del cromosoma Y e la genetica delle popolazioni umane, in prevalenza in Europa e nel Mediterraneo.
Alcuni anni fa lo studioso ha partecipato ad una ricerca sul cromosoma Y di 1200 sardi, al termine della quale è stato possibile osservare due linee cromosomiche provenienti una dalla Nubia, l'altra dall'Africa occidentale.
Nel corso del nostro piacevole incontro, il professor Francalacci ha anche affrontato il tema delle affinità, riscontrate dai linguisti, tra vari idiomi della lingua dei Sardi e lingua dei Baschi, sostenendo che si osserva una chiara vicinanza genetica tra i Sardi e le popolazioni iberiche, che fa propendere per un'affinità linguistica con il basco.
Lo studioso si è espresso anche sul rapporto tra Nuragici ed Etruschi, affermando che molto probabilmente, pur essendoci stato qualche contatto genetico tra questi due popoli, non c'era tra loro alcuna parentela.

Si è sempre occupato di evoluzione umana, con ricerche al confine tra l’antropologia e la genetica, studiando la filogenesi molecolare del DNA mitocondriale e del cromosoma Y e la genetica delle popolazioni umane. Dalle Sue ricerche è riuscito a stabilire a quale stirpe appartenevano i nostri progenitori e da dove provenivano?
Si sente spesso dire che il DNA racconta la nostra storia, ma sarebbe più corretto dire che racconta le nostre storie o, per meglio dire, quelle dei nostri geni, che possono avere tante origini diverse. Così come un popolo non ha mai un'origine unica, ma è dato dall’incontro e dalla fusione di molte genti di origini disparate che finiscono per acquisire un'identità comune, il nostro DNA mitocondriale traccia la storia delle nostre antenate in linea femminile, il cromosoma Y (se siamo maschi) quella dei nostri avi paterni diretti (in modo simile a come trasmettiamo il cognome), mentre tutti gli altri cromosomi, rimescolandosi tra loro grazie al meccanismo denominato “ricombinazione”, rappresentano la sintesi delle storie di tutti gli altri numerosissimi nostri progenitori.
Per questo, più che una vera e proprio stirpe di provenienza, studiando una popolazione o addirittura un singolo individuo, possiamo arrivare a ricostruire sempre più nel dettaglio i molti apporti relativi che hanno contribuito all'evoluzione umana.

Studiare diverse parti del genoma, come il cromosoma Y, il DNA mitocondriale o gli altri cromosomi, può darci informazioni differenti?
Il nostro genoma è composto da 46 cromosomi, contenuti nel nucleo di ogni cellula, e da una piccola molecola di DNA all’interno dei mitocondri, nel citoplasma cellulare. I cromosomi nucleari sono organizzati in 22 coppie presenti in ogni essere umano (detti autosomi), e anche il cromosoma X, nelle donne, si trova in duplice copia. Ciascuno di questi cromosomi ha una controparte (cromosoma omologo) con cui può liberamente mescolarsi tramite un meccanismo chiamato crossing-over. Ogni genitore passa ai propri figli solo la metà dei propri cromosomi. Ne consegue che una persona può ricevere contributi genetici da tutti i propri antenati, nonché passarlo a tutti propri discendenti, e questo contributo (sia ricevuto che trasmesso) si dimezza ad ogni generazione.
Due cromosomi, invece, hanno un'eredità differente: il mitocondrio viene trasmesso di madre in figlia e il cromosoma Y di padre in figlio, quindi non sono presenti in coppia. Questo fa sì che non possano mescolarsi con un omologo nello stesso individuo: non possono variare per ricombinazione, bensì possono differire solo per l’accumulo sequenziale di nuove mutazioni. Il diverso tipo di eredità fa sì che gli autosomi e il cromosoma X, il cromosoma Y e il DNA mitocondriale abbiano un'origine distinta, indicando, quindi, una storia evolutiva differente.
Pertanto non necessariamente si deve ritenere errata una ricostruzione evolutiva discorde, se questa è basata su sistemi genetici ad eredità differente.
Paolo Francalacci tra le ricercatrici Daria Sanna e Antonella Useli (foto di Nanni Angeli);
Gli antichi Romani, che tanta importanza hanno avuto dal punto di vista politico e culturale, non hanno influito affatto sui nostri geni...
Forse “affatto” è un’affermazione un po’ drastica, ma certamente il loro contributo è minore rispetto a quello delle popolazioni preromane, la cui impronta è ancora ben visibile nel panorama genetico italiano. Infatti i Romani avevano una concezione più culturale che genetica della loro identità, e le popolazioni che venivano via via conquistate nella loro espansione venivano ben presto assimilate, diventando a loro volta culturalmente romane (acquisendone la lingua, le leggi, la stessa cittadinanza romana), senza per questo venire geneticamente soppiantate.
Ai vertici della società romana potevano salire genti di origine italica, greca, etrusca e, nel tempo, di ogni parte dell’impero, mantenendo così i propri geni e trasmettendoli alle generazioni future. Del resto, una minuscola popolazione proveniente da un piccolo villaggio del Lazio non aveva certo la forza demografica per poter influire sulla dinamica genetica di popolazioni tanto più numerose, così come invece è riuscita a fare, e in un modo formidabile, dal punto di vista culturale.

Ha dichiarato che la genetica è più democratica della storia. Può spiegarci questa affermazione?
Questa domanda si ricollega a quanto appena detto: la storia ricostruisce le vicende dei grandi condottieri o, al più, delle élitedominati, mentre la genetica si fonda sulle dinamiche demografiche. Per questo, tanto per fare un esempio, se la Storia ricorda il nome di Gengis Kahn, la genetica porta traccia del suo popolo che lo ha seguito nelle sue imprese e che si è mescolato (magari con la forza, ma non è sempre è questo il caso!) con le altre genti che ha incontrato. E se di Gengis Kahn non si conosce più neppure la tomba, i cromosomiY dei guerrieri mongoli sopravvivono nel genoma di molte pacifiche persone che attualmente abitano i territori del suo antico impero.

Nel 2013 ha partecipato ad una ricerca volta ad indagare la storia evoluzionistica della popolazione della Sardegna. Da quale presupposto è partito questo studio e su quali tecniche si è basato?
Come spesso accade, trattandosi di ricerca non applicata, lo studio dell’evoluzione del cromosoma Y in Sardegna nasce come un “sottoprodotto” di un'estesa analisi di ambito biomedico, mirata ad investigare alcune patologie particolarmente frequenti sull’isola, come il diabete di tipo 1 e la sclerosi multipla. In questo progetto è stato sequenziato l’intero genoma di alcune migliaia di persone di origine sarda; quindi si sono rese disponibili le sequenze complete di oltre 1200 cromosomi Y che, pur non avendo una diretta utilizzazione in campo medico, hanno permesso la ricostruzione della storia del popolamento della Sardegna ad un dettaglio mai raggiunto prima di allora. Sicuramente la nostra isola risulta la più studiata al mondo, sia in termini di numerosità del campione che di profondità dell’analisi molecolare.

Quali sono gli aspetti fondamentali della storia genetica dei Sardi?
Quello che sorprende nello studio della genetica sella Sardegna sono la coesistenza di due aspetti che potrebbero apparire contraddittori, ovvero la sua antichità e la sua varietà. La Sardegna è stata popolata piuttosto tardi rispetto al continente: quando, oltre 40.000 anni fa, l’uomo moderno ha raggiunto l’Europa, la Sardegna era disabitata, e ha visto arrivare i suoi primi colonizzatori dopo l’ultima glaciazione, ovvero non prima di 18/20.000 anni fa. Una volta, però, che gli uomini sono giunti sull’isola, portando con se l’impronta dei propri fondatori, questi hanno mantenuto le loro caratteristiche genetiche in relativo isolamento, salvo poi assimilare ed integrare in questo nucleo originale le varianti genetiche giunte da altre parti del Mediterraneo.
La densità demografica, infatti, se può apparire bassa oggigiorno, non lo era nel passato, e la Sardegna è stata teatro nell’età del bronzo di un'importante civiltà, quella nuragica, che ha mantenuto molte delle sue caratteristiche genetiche originarie, ereditate dai primi abitanti dell’isola.

Da dove provenivano le prime popolazioni che hanno abitato la Sardegna?
Secondo alcune recenti ricerche basate sulle varianti genetiche presenti nei cromosomi nucleari diversi dal cromosoma Y, quindi quelli soggetti a rimescolarsi fra loro attraverso le generazioni (ovvero a “ricombinare”), la popolazione sarda sarebbe quella che più si avvicina a quella dei primi abitanti neolitici arrivati in Europa dalla Mezzaluna Fertile.
Questo dato, però, non si osserva affatto studiando il cromosoma Y e il DNA mitocondriale, ovvero quelle componenti del genoma che si ereditano lungo una linea diretta (rispettivamente maschile o femminile) e che pertanto, ereditandosi da solo uno dei due genitori, non hanno una controparte con cui ricombinare. La storia che ci raccontano questi due sistemi genetici è decisamente più antica e affonda le radici nel ripopolamento post-glaciale che, a partire dal rifugio climatico della regione franco-cantabrica, hanno attraversato i Pirenei verso oriente, nei territori lasciati liberi dallo scioglimento dei ghiacci, e ha poi raggiunto la Sardegna.
Oltre il 40% dei cromosomi Y sardi deriva da un antenato che aveva una mutazione, detta I-M26, sorta nella penisola iberica, dove è ancora presente, seppure a frequenze più ridotte. È interessante notare come questa mutazione è praticamente assente ad est, ovvero la regione da dove sarebbero dovuti provenire i primi abitanti neolitici dell’isola. Con questo non voglio intendere che il neolitico in Sardegna sia stato trascurabile, tutt’altro, ed è proprio con l’arrivo dell’agricoltura e della pastorizia che la popolazione sarda ha cominciato ad espandersi in un territorio altrimenti poco ospitale in termini di risorse alimentari (assenza di grossa selvaggina in grado di mantenere un'elevata popolazione di cacciatori raccoglitori)
Voglio semmai rilevare come la neoliticizzazione sia stata un fenomeno in buona parte culturale, coinvolgendo la popolazione mesolitica preesistente, che ha contribuito con una parte preponderante dei cromosomi Y dei sardi attuali, piuttosto che una sostituzione etnica ad opera dei nuovi arrivati.

Come si possono spiegare le connessioni che i linguisti hanno riscontrato tra vari idiomi della lingua dei Sardi e lingua dei Baschi? Questo parallelismo tra la genetica e la linguistica è stata osservata anche da alcuni studiosi, primo fra tutti Eduardo Blasco Ferrer, purtroppo recentemente scomparso, che hanno notato come molti toponimi trovino una stretta corrispondenza tra la Sardegna e l’area pirenaica. Anche alcune parole antiche come i fitonimi, ovvero i nomi che vengono dati alle piante, sono spesso conservati in basco e in sardo: un esempio fra tutti è gorosti/golosti, che vuol dire “agrifoglio” in entrambe le lingue.

Quindi, con molta probabilità, l'antico sardo non era una lingua indoeuropea... Certamente, anche oggi, un qualunque italiano “continentale” che viaggi in Sardegna si accorgerà ben presto che la maggior parte dei nomi dei luoghi che incontra ha poco a che fare con quelli latini a lui più familiari. Suoni come “tz”, che si ritrova ad esempio nel villaggio di Aritzo, o “ur/or”, comuni a molti toponimi sardi (la stessa parola “nuraghe”), richiamano ad una maggiore affinità con il basco piuttosto che con le lingue indoeuropee.
Un dolmen sardo (foto di Gianluca Dedola)
E' vero che ha riscontrato anche DNA nubiano nei Sardi?
Il grado di risoluzione raggiunto mediante il sequenziamento completo del cromosoma Y permette il riconoscimento di vicende demografiche anche relativamente minori, come il flusso genico arrivato in Sardegna dall’Africa sub-sahariana. Infatti, sebbene a frequenze molto ridotte, inferiori all’1%, abbiamo osservato almeno due linee cromosomiche provenienti una dalla Nubia e l’altra dall’Africa occidentale. Studiando la variabilità nei sardi portatori di queste linee, relativamente ridotta e, quindi, indicativa di un arrivo piuttosto recente in epoca storica, abbiamo ipotizzato che il loro arrivo in Sardegna dovrebbe essere relativamente recente, probabilmente portate la prima dai Romani, attraverso l’Egitto, e la seconda nel primo Medioevo, forse dai mercenari Mauritani che accompagnarono l’occupazione vandala. È opportuno ricordare che i portatori di queste linee sono sardi a tutti gli effetti, avendo conservato una frazione pressoché insignificante del loro DNA nucleare di origine africana, ma il cromosoma Y del loro antenato di 2.000 o 1500 anni fa, per la sua natura non ricombinante, rimane intatto a testimoniare un antico contatto tra la Sardegna e l’Africa.

Avete rilevato, nella popolazione sarda, anche una componente orientale. A quando risale e a quale popolo appartiene?
Se la componente neolitica è meno visibile nella variabilità sarda del cromosoma Y, non è certo assente, e sebbene a frequenze minori di quelle mesolitiche iberiche, linee di provenienza mediorientale sono ben presenti in Sardegna. Tra queste vorrei citarne una, che probabilmente è arrivata sull’isola non dal Mediterraneo orientale, bensì seguendo la via danubiana di diffusione dell’agricoltura. Mi riferisco ad una famiglia di cromosomi Y, presumibilmente originata 9.000 anni fa nel Caucaso, detta G2a, che è poi giunta in Italia discendendo dall’arco alpino.
Un portatore di questa linea di cromosomi Y è stato un signore che 5.300 anni fa si aggirava tra le montagne del Sud Tirolo ed è conosciuto col nome di Ötzi. Oggi i suoi parenti più prossimi si godono un clima più temperato in Corsica e Sardegna.

Cosa ci dice la genetica rispetto ad una relazione di parentela, ipotizzata da studi linguistici, tra Etruschi e Nuragici?
Una linea denominata R1b-U152, largamente presente in Toscana e in Emilia, ovvero l’area di origine della cultura villanoviana, pre-etrusca, è presente in Sardegna e, sebbene non sia particolarmente diffusa, potrebbe rappresentare una testimonianza del contatto tra questi popoli. Quello che invece sembra del tutto assente è un'antica presenza sarda in Toscana, quanto meno a percentuali apprezzabili. Infatti quasi la metà dei cromosomi Y dei sardi appartiene ad una linea genetica, che come abbiamo visto si è originata nella penisola iberica, e che li rende facilmente individuabili. Una sorta di “patente” di sardità, analoga né più né meno ad un “cognome” sardo ben riconoscibile rispetto ai cognomi continentali.
Ebbene, la mutazione I-M26 caratterizzante questa linea, così abbondante in Sardegna, è virtualmente assente tra i toscani attuali, rendendo, quindi, del tutto improbabile una comune origine genetica tra Sardi ed Etruschi.

Quali sono le prospettive future di queste ricerche?
Il costante avanzamento tecnologico delle metodologie di sequenziamento di nuova generazione, con il conseguente abbattimento dei costi e dei tempi di analisi, fanno ben sperare che molte altre popolazioni potranno essere allo stesso livello di risoluzione della popolazione sarda. Grazie ai confronti che si potranno fare, il quadro del popolamento della Sardegna che ho delineato potrà essere confermato oppure smentito in alcuni punti, ma sicuramente la conoscenza della storia evolutiva umana potrà essere approfondita fino ad un dettaglio impensabile sino a pochi anni fa.
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I COMMENTI RELATIVI ALL'ARTICOLO
05/02/2017 23:19:51
da: olivieronioi@yahoo.it a: info@ftnews.it
Oggetto: INVIA UN COMMENTO ALLA REDAZIONE
Nome: Oliviero Nioi
Messaggio: Nell'articolo si afferma che l'aplogruppo I M26 è nato nella penisola iberica. Come si fa a stabilire questo? Questo aplogruppo essendo molto diffuso in Sardegna e poco diffuso nella penisola iberica non indurrebbe a pensare il contrario? Vale a dire che l'aplogruppo si sia formato in Sardegna e si sia poi diffuso in Iberia in epoca di ripopolamento post glaciale? Poiché presumibilmente la Sardgana in epoca post glaciale era unita alla Corsica e separata dall'isola d' Elba da un tratto di mare largo, forse, meno di un chilometro non può essere stata, anch'essa un rifugio per le prime popolazioni europee di Homo sapiens nel periodo della glaciazione di Wurn? Ormai si stanno trovando tracce di Homo in Sardegna antecedenti ai 18.000 anni a. C.
04/02/2017 21:46:39
da: tmarcelloe@yahoo.it a: info@ftnews.it
Oggetto: INVIA UN COMMENTO ALLA REDAZIONE
Nome: Marcello Emilio Tomassini
Messaggio: Interessante e affascinante! Era comunque nell'aria una notizia del genere. Una riflessione che mi viene è immaginare l'isolamento dalla popolazione sarda dal 18000 a.C. all'arrivo delle popolazioni neolitiche verso il 5000/4500 a.C., che portarono l'agricoltura e la pastorizia, in questo lungo isolamento si è rafforzata la caratteristica radicalità di quelli che noi chiamiamo sardi. Interessante, inoltre, quanto abbia influenzato l'economia neolitica la vita e la demografia dell'isola senza influenzare molto sulla genetica della popolazione. Sarei curioso di sapere se si trovano delle relazioni genetiche tra la gente della Sardegna ed i loro relativamente vicini Liguri, anch'essi in alcune tesi di ceppo iberico.
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