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domenica, 24 aprile 2022 09:08 |
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Copertina Chiara Alessio. Immagine in copertina: Gerusalemme (© Alfredo Phipps | Pexels)
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Francesca Bianchi
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FtNews ha intervistato il giornalista Eric Salerno, autore del libro Gerusalemme, recentemente pubblicato per la casa editrice torinese OGzero. Nel corso della nostra conversazione lo scrittore ha presentato questo testo dedicato alla Città Santa, con cui è stata inaugurata la collana Le città visibili di OGzero. Salerno ha lavorato un decennio per “Paese Sera”; nel 1967, in qualità di inviato speciale e capo del servizio esteri, è passato a “Il Messaggero”, interessandosi ai problemi del Terzo Mondo e del Medio Oriente, dal 1987 al 2017 con base a Gerusalemme. Tra i molti libri pubblicati nel corso della sua carriera: Genocidio in Libia. Le atrocità nascoste dell’avventura coloniale (1979); Israele, la guerra dalla finestra (2002); Uccideteli tutti (2008); Mossad base Italia (2010); Orizzonti perduti, orizzonti ritrovati (2021).
Sig. Salerno, nella sua carriera ha pubblicato molti libri, i più recenti sono usciti per la casa editrice "Il Saggiatore". Come e quando è maturata l'idea di dare alle stampe il libro Gerusalemme con l'editore torinese "OGzero"?
Tempo fa alcuni amici mi parlarono di una giovane casa editrice, la OGzero, interessata ad inaugurare una collana dal titolo “Le città visibili”, con l'intenzione di cogliere gli aspetti urbanistici, sociali, economici di alcune città significative. Città rese visibili attraverso la narrazione dell’esperienza personale dei vari autori, coadiuvati dalle voci dei testimoni e degli abitanti che forniscono un’interpretazione del territorio, della sua trasformazione nel corso dei secoli. In qualità di inviato speciale e capo del servizio esteri de "Il Messaggero", per oltre cinquant'anni mi sono occupato dei problemi e delle vicende del Medio Oriente, dal 1987 con base a Gerusalemme, città che posso dire di conoscere bene. All'inizio ero un po' perplesso, perché non sapevo cosa avrei potuto raccontare di nuovo di Gerusalemme, città a cui sono stati dedicati libri su libri, poi ho deciso di lanciarmi in questa nuova avventura. Gerusalemme è il primo della serie di volumi “Le città visibili”.
A quando risale la sua prima visita a Gerusalemme? Che ricordo conserva di quel soggiorno?
Visitai per la prima volta Gerusalemme negli anni 1978-1979. Andai con vari colleghi giornalisti per seguire la visita dell'allora Presidente americano Jimmy Carter, che si era recato nella Città Santa per aiutare egiziani ed israeliani a stipulare un trattato di pace. Ricordo una passeggiata fatta in tarda serata, quando con alcuni colleghi entrammo nella Città Vecchia. L'atmosfera era molto affascinante, soprattutto per me che non sono legato a nessuna delle tre grandi religioni.
Come cambiò Gerusalemme dopo la creazione dello Stato di Israele e la conquista israeliana?
La città all'epoca era divisa in due parti in maniera netta: la guerra tra ebrei e arabi lasciò la Città Vecchia in mano araba. Chi arrivava lì da Israele poteva avvicinarsi, ma non poteva entrare all'interno delle mura. Per entrare nella Città Vecchia, se non si era in possesso di un permesso da parte delle Nazioni Unite, bisognava passare per la Giordania e la valle del fiume Giordano.
A cosa si riferisce quando, nel libro, parla di sincretico cosmopolitismo?
Gerusalemme è una città dove si vede di tutto a livello di popolazioni e religioni. Vi sono vari livelli di ortodossia ebraica che si incontrano a Gerusalemme. La gente vestita di nero, che ricorda la gente vestita di nero di Teheran e dell’Afghanistan, suscita rabbia e spesso un senso di fastidio, intellettuale e fisico, in molti israeliani non solo laici. Ci sono persone con idee diverse su come dovrebbe essere la città. Molti pellegrini arrivano senza capire che si tratta di una città contestata da due popoli; molti entrano con una guida che racconta. Questo racconto, pur essendo ogni volta diverso, unisce. Si tratta di una città divisa, ma in grado di unire, nel racconto della creazione, chi ritiene che ci sia una forza superiore che ci guida in questo mondo.
Che ruolo ha avuto l'archeologia nella giustificazione di alcune ideologie politiche?
La questione archeologica viene sfruttata da parte israeliana per legittimare l'appartenenza di questa parte della Terrasanta agli Ebrei. Gli israeliani sostengono di essere stati i primi abitanti dell'area. In realtà, l'archeologia restituisce una storia molto stratificata: in superficie, o quasi, una importante presenza islamica, poi cristiana, infine ebraica. Ma gli ebrei non sono stati i primi abitanti di Gerusalemme: c'era qualcuno su quel monte, ma di loro non se ne parla mai. Gli ebrei arrivarono da fuori, come loro stessi raccontano, e conquistarono il luogo che era abitata da un altro gruppo etnico. L’archeologia, oltre alla narrativa biblica, viene utilizzata da Israele come prova dell’appartenenza, da sempre, di questo territorio agli ebrei. “Siamo tornati a casa”, dicono, ma si rifiutano di accettare che nei duemila anni della loro assenza altri avevano costruito ed eletto domicilio su quei monti contestati.
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Uno dei più popolosi quartieri arabi di Gerusalemme fu isolato e tagliato fuori dal resto della città con la costruzione del Muro
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Nel libro parla di una lunga conversazione che ebbe il piacere di fare con lo scrittore Avraham B. Yehoshua; avete parlato molto del fanatismo religioso. Cosa ricorda di quell'incontro?
Sì, ero andato a trovarlo nella sua bella casa sulle pendici del monte Carmelo, a Haifa. Ho creato con lui un rapporto interessante; è una persona notevole. Mi raccontò della sua Gerusalemme. Mi disse che non amava il confronto e lo scontro che ci sono in questa città. Lo scontro non è soltanto tra israeliani e palestinesi. Lo scontro è tra credenti e non credenti. E anche tra le varie comunità religiose. Gli ultraortodossi ebrei, ad esempio, non sostengono lo Stato d'Israele perché ritengono che Israele debba nascere soltanto al ritorno del Messia. Le comunità degli ortodossi si sono estese un po' ovunque a Gerusalemme e dove arrivano cercano di imporsi. Non tollerano coloro che, nelle feste comandate o nelle ventiquattro ore dalla prima stella del venerdì sera alla prima del sabato, girano in automobile nei quartieri dove abitano. Molte strade, grazie a rivolte anche violente, sono delineate da transenne di metallo per tenere a distanza i diversi. Il venerdì si chiudono alcuni quartieri, il sabato sera si riaprono. Molti anni prima della famosa Intifada dei palestinesi del 1987, l’auto su cui viaggiavo fu bersagliata da giovani ebrei ortodossi perché avevo sbagliato strada ed ero finito in uno dei loro quartieri.
C'è un luogo della città che le è particolarmente caro?
Alcuni posti nelle vicinanze dell'ultima casa in cui ho vissuto mi sono cari per motivi affettivi. Inoltre, trovandosi l'abitazione a ridosso della Città Vecchia, ricordo che quando mi affacciavo alla finestra vedevo il passato, antico e meno antico, ma non lo scempio del presente.
Quali sono i quartieri che cambiano identità, a cui fa riferimento nel libro?
Ho lasciato Gerusalemme prima dello scoppio della pandemia. Ho visto trasformarsi interi quartieri nel giro di pochi anni. Bisogna tenere presente che con la rivolta palestinese qualcosa accadde anche nel conflitto tra laici e religiosi. La città per alcuni anni aveva mostrato un volto nuovo, quasi una crescita della presenza laica. Quindici anni dopo la realtà è di nuovo cambiata. Come a Emek Refaim, strada principale della cosiddetta "German colony", così chiamata perché numerosi tedeschi protestanti si erano insediati in quel quartiere e avevano costruito molte case lì. German Colony era il vecchio quartiere dei Templari, per anni rifugio della classe benestante degli israeliani laici: la via, gremita nei giorni di festa fino all’inverosimile per alcuni anni, oggi diventa un deserto dal pomeriggio del venerdì alla sera del sabato. L'unico rifugio è il bar-ristorante all’interno di uno storico cinema, il Lev Smadar.
Cosa rappresenta culturalmente e politicamente Gerusalemme per i palestinesi?
Rappresenta la loro capitale. Dobbiamo sempre ricordarlo, ogni volta che si parla di Gerusalemme. Arafat aveva firmato un accordo di pace con Israele. Per loro era scontato che una parte di Gerusalemme sarebbe diventata la capitale di uno Stato che sarebbe nato accanto a Israele, non al suo posto.
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Il giornalista Eric Salerno
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Cosa sta accadendo adesso a Gerusalemme?
Attualmente c'è la solita tregua armata. Le autorità rispondono a logiche diverse. La parte israeliana spesso impone scelte tali da scoraggiare la convivenza con i palestinesi. Pesano sulla realtà quotidiana di Gerusalemme le paure, spesso esagerate e inculcate da politici come l’ex premier Netanyahu, il quale impediva agli arabi di riunirsi in certi luoghi per timore, sosteneva, che potessero creare manifestazioni di protesta contro Israele. Lo scorso anno la polizia intervenne con lacrimogeni e altri strumenti antisommossa, fino a provocare la reazione di Hamas da Gaza e la risposta pesantissima d’Israele. Netanyahu e altri come lui, prima e ancora oggi, si servono della paura per consolidare l’occupazione e rendere sempre meno proponibile la condivisione di Gerusalemme. Itzhak Rabin, il leader che i sostenitori di Netanyahu paragonavano a Hitler, esortava gli israeliani a uscire dalla mentalità del ghetto. Il premier attuale ha subito compreso che non c'è bisogno di vietare ai musulmani di gustarsi il Ramadan; che non ha senso impedire loro di pregare sulla Spianata delle Moschee. Purtroppo ci sono fanatici da una parte come dall’altra. Gli ultimi scontri furono provocati dalla minaccia di un gruppo di ebrei estremisti di salire sulla Spianata delle Moschee, che è, in quanto “monte del tempio”, luogo anche per loro sacro, e compiere alcuni riti proibiti.
Gerusalemme rappresenta davvero la “grande città” più povera di Israele? Dove si concentra la povertà?
Le statistiche confermano che degrado e povertà regnano nei quartieri degli ebrei ortodossi e dei palestinesi, i due gruppi che rappresentano la maggioranza della popolazione della città. I primi si autoisolano, i secondi sono vittime del conflitto e di scelte precise da parte dell’amministrazione israeliana. Ci sono situazioni pesanti: in alcuni contesti vediamo famiglie ebree di oltre dieci persone che vivono in piccoli appartamenti. La parte araba soffre economicamente per la sua condizione molto particolare: non sono cittadini israeliani e non possono andare e venire liberamente nei territori occupati (la Cisgiordania). L'autorità israeliana impedisce o frena ogni forma di sviluppo economico-sociale degli arabi di Gerusalemme nella speranza di vederli emigrare. Quelli che restano, anche quando le loro famiglie aumentano numericamente, ottengono con difficoltà licenze per costruire nuove abitazioni o ampliare quelle esistenti.
A chi appartiene Gerusalemme?
Vorrei poter dire che Gerusalemme appartiene a chi vi abita e paga le tasse. Appartiene spiritualmente alle tre religiosi monoteistiche. E appartiene anche a un non credente come me, perché nella sua storia, nei suoi conflitti, sono radicate le radici della nostra cultura occidentale. Un progetto originario di spartizione della Palestina, approvato dalle Nazioni Unite, metteva Gerusalemme e Betlemme al di fuori della spartizione, sotto un controllo internazionale. Tanti israeliani non vanno mai a Gerusalemme. Molti palestinesi, che considerano Gerusalemme la loro casa, la loro capitale, non sono mai riusciti ad andarci a causa del conflitto.
Quando tornerà a Gerusalemme? Cosa si augura per il futuro di questa città?
Vorrei che la gente iniziasse a guardare Gerusalemme con un interesse anche laico, ma senza deturpare il paesaggio con iniziative urbanistiche che sono molto discutibili. Quanto a me, tornerò volentieri quando potrò farlo. Gerusalemme è una città piena di ricordi; ho tanti amici lì. Mi piacerebbe andarci in un clima diverso. Non sono ottimista: la globalizzazione come futuro positivo è fallita e il nazionalismo diventa sempre più forte. I popoli della Terrasanta devono imparare a vivere uno accanto all’altro. Altrimenti vedremo soltanto sangue e distruzione, come è accaduto nei lunghi anni della vita di Gerusalemme.
Quale messaggio si augura possa arrivare ai lettori di Gerusalemme?
Mi auguro che nei lettori nasca il desiderio di andare a visitare questa città incredibile, cercando di capirla. Innanzitutto occorre rendersi conto della dimensione del conflitto: tutto si svolge in uno spazio minimo, corrispondente all'incirca a due piccole regioni italiane. Valori ed elementi qualificanti delle religioni monoteistiche sono uguali: ribadisco che oltre al virus del nazionalismo, non si tratta di uno scontro tra credenti, ma di uno scontro tra ciò che chi gestisce le religioni costringe a credere.
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