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Dora Marchese: l’Egitto nell’immaginario letterario italiano

mercoledì, 16 febbraio 2022 16:56

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Cammelli davanti alla Sfinge e piramide di Jizah, Egitto. Library of Congress, Prints & Photographs Division, Detroit Publishing Company Collection
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato la prof.ssa Dora Marchese, ricercatrice, docente e saggista, che da molti anni collabora con l’Università di Catania. Presso lo stesso Ateneo, dopo la Laurea in Lettere Classiche (indirizzo archeologico), ha conseguito i titoli di Dottore di ricerca prima in Filologia Moderna e poi in Lessicografia e Semantica del Linguaggio letterario europeo.
La studiosa ha parlato del suo saggio Nella terra di Iside. L'Egitto nell'immaginario letterario italiano (Carocci, 2019), con nota introduttiva di Christian Greco, Direttore del Museo Egizio di Torino, e prefazione a cura dell'illustre grecista Lorenzo Braccesi. Il volume, ben documentato e di piacevole lettura, è nato dal connubio tra la passione che ha sempre avuto per l’Egitto e la sua attività di italianista. La prof.ssa Marchese ha spiegato di aver voluto coniugare un rigoroso impianto filologico, basato su fonti, studi e testi, a una lettura godibile e coinvolgente, dando vita a un libro non solo per studiosi e specialisti, ma per chiunque sia appassionato di Egitto ed egittologia ed ami la storia, l’archeologia e la letteratura. Un libro per chi voglia scoprire autori e testi dimenticati o poco noti e voglia accostarsi all’argomento osservando l’Egitto da altre terre, come la Sicilia, o con altri occhi, come quelli delle donne. Un libro che vuole essere un’appassionante finestra su una terra dal fascino millenario e che, contemporaneamente, costituisca un punto di riferimento per gli studi futuri.

Prof.ssa Marchese, nel 2019 per Carocci editore ha pubblicato il libro Nella terra di Iside. L'Egitto nell'immaginario letterario italiano. Come e quando è iniziata questa sua affascinante ricerca?
Questo libro, che nasce dall'incontro tra la mia antica passione per l'Egitto, incrementatasi grazie agli studi universitari d’archeologia, e la mia attività di italianista, è frutto di molti anni di studi e ricerche su testi reperiti faticosamente nelle biblioteche italiane ed estere, spesso di difficile consultazione; opere rare e talvolta uniche, tasselli fondamentali di osservazioni, descrizioni, riflessioni.

Come è strutturato il libro?
Il mio libro è un saggio, uno studio, una ricerca. Il volume narra un’esotica avventura umana e letteraria che parte dalla spedizione napoleonica in Egitto, passando dalla realizzazione del Canale di Suez e dall’Aida di Giuseppe Verdi, dalle battaglie di Dogali e Adua, per giungere al periodo delle politiche giolittiane e fasciste e alla Radio Cairo con cui Fausta Cialente informava gli italiani durante la Seconda guerra mondiale. Proprio il Cairo e Alessandria sono, tra Otto e Novecento, un grande palcoscenico per gli italiani, siano essi viaggiatori, esuli, emigrati, avventurieri, scienziati, portatori di ideali risorgimentali o anarchici convenuti intorno alla “Baracca rossa” di Enrico Pea. Queste straordinarie esperienze vengono raccontate in poesie, romanzi, testi teatrali, da D’Annunzio, Marinetti, Ungaretti, Rafanelli. L’Egitto antico e moderno di Giuseppe Regaldi e Le figlie dei faraoni di Emilio Salgari conquistano l’Italia e nelle Memorie sull’Egitto di Amalia Nizzoli sono descritti per la prima volta gli harem. Nello stesso periodo lo studioso siciliano Emanuele Ciaceri scopre che il culto di sant’Agata, patrona di Catania – ricordato da Giovanni Verga – è modellato su quello di Iside, e un viaggiatore etneo, Natale Condorelli, immagina l’Egitto naturale sponda culturale ed economica della Sicilia, crocevia del Mediterraneo.
È possibile ripercorrere la storia dei rapporti tra l'Italia e l'Egitto dal punto di vista politico ed economico, analizzando le reciproche influenze e i fecondi scambi commerciali e culturali?
Molti libri sono stati scritti sull’Egitto, ma nessuno lo ha raccontato attraverso l’immagine offertane dalla Letteratura dell’Otto-Novecento. Ho voluto offrire una ricostruzione in cui si ripercorrono, dal Medioevo in poi, i rapporti tra Europa, Italia ed Egitto, analizzandone i reciproci influssi nell’arte e nel costume, affrontando il tema dell’esplosione dell’egittomania all’indomani della “riscoperta” ottocentesca, tracciando le linee della nascita dell’egittologia e delineando il quadro politico-sociale (indispensabile per capire dove e come collocare scrittori ed opere) di fenomeni quali il colonialismo, l’emigrazione, l’esilio o auto esilio di dissidenti e fuoriusciti del Risorgimento e dell’antifascismo.

Quali furono i principali motivi che nell'Ottocento spinsero gli Italiani a recarsi in Egitto? In che modo la civiltà egiziana ha inciso sulla cultura del mondo occidentale?
Durante la campagna napoleonica del 1799, Bernardino Drovetti, generale dell’esercito, viene scelto da Bonaparte come rappresen¬tante della Francia ad Alessandra, dove risiede fino al 1829. In quel periodo Drovetti stringe rapporti ufficiali e personali col governatore Mohammed Aly, iniziando una collaborazione mol¬to proficua che porta all’introduzione di numerose innovazioni tecniche in Egitto, sia in campo agricolo che in campo burocratico, militare e sanitario. Molti professionisti europei giungono al Cairo e ad Alessandria per realizzare progetti urbanistici e impiantare attività economiche, per gestire l’apparato statale e formare i futuri dirigenti locali. Agli imponenti lavori per lo scavo del canale di Suez partecipano anche le maestranze italiane, con l’impiego di un gran numero di operai provenienti in particolare dal Piemonte, dalla Toscana e dal Veneto. Nell’Ottocento, dunque, rapporti antichi s’in¬crementano notevolmente: Mohammed Aly si avvale della consulenzadi molti professionisti europei, amministra¬tori, ingegneri, idraulici, architetti, urbanisti, che rivoluzionarono gli assetti delle città del Cairo e di Alessandria.Oltre a moltissimi lavoratori italiani, l’Egitto attrae numerosi intellettuali, so¬prattutto di stampo anarchico, che vi guardano come a un territorio libero, dove poter realizzare i loro ideali di libertà, lontano dal sistema po¬litico sabaudo, dal clericalismo e, successivamente, dalla dittatura fascista. Tra i tanti che partono dall’Italia, una parte consistente è rappresenta¬ta dalle donne e dalle ragazze provenienti dal nord-est, che trovano impiego come cameriere, commesse e operaie. È così che il Nord Africa diviene per molti emigranti “l'America dei poveri”, grazie alla vicinanza con le coste italiane.
Dora Marchese
Che ruolo ha esercitato l'Italia nella scoperta della civiltà dei Faraoni? Quali sono gli studiosi, i viaggiatori, gli avventurieri che più hanno contribuito allo sviluppo dell'egittologia?
I rapporti tra l'Italia e l'Egitto, sia a livello politico che culturale, sono stati da sempre forti e fecondi, molto prima della moda scoppiata in Europa a seguito della spedizione di Napoleone Bonaparte, che però ebbe il merito di “riproporre” la terra dei Faraoni all’attenzione del grande pubblico. Fino al deciframento dei geroglifici da parte di Jean-François Champollion il 14 settembre del 1822 – data di nascita ufficiale di una nuova scienza: l’Egittologia – ogni epoca aveva fabbricato un suo Egitto fantastico, spesso di pura ricostru¬zione intellettuale, in cui vi erano incarnate le sue aspirazioni (o i suoi terrori) e i cui elementi più appariscenti venivano inseriti nella propria cul¬tura. Si ebbero così le interpretazioni simboliche dei geroglifici e l’edificazione di mitiche genealogie intese a nobilitare città e dinastie, fino all’impiego di elementi egizi nei rituali massonici.
La missione napoleonica in Egitto, dunque, segna il pas¬saggio dalla conoscenza indiretta della civiltà egizia all’informazione diretta, dalla cosiddetta pre-egittologia all’egittologia vera e propria. Al seguito di Bonaparte, un esercito di soldati armati viene af¬fiancato da un esercito pacifico di scienziati, architetti, ingegneri, disegna¬tori, botanici, zoologi, astronomi, orientalisti, cartografi: i savants hanno il compito di censire le emergenze artistiche antiche e contemporanee dell’E¬gitto, studiarne la geografia, la flora e la fauna, descrivere gli usi e i costumi degli abitanti. Questa grandissima messe di uomini dà vita a lavori fondamentali, monumentali, in cui si documentano le cose viste e si racconta un paese per tanti versi ancora sconosciuto.
Dopo di loro, da tutta Europa sciamano cercatori di antichità, avventurieri, viaggiatori, scrittori, fotografi, pittori e archeologi, incuriositi e affascinati da un luogo ricco di meraviglie in gran parte da scoprire: la valle del Nilo diventa la meta dei primi veri studiosi della materia; gli antichi monumenti faraonici, in parte già noti, iniziano finalmente a “parlare”, raccontando la loro storia millenaria; la prima spedi¬zione “egittologica”, quella franco-toscana, è condotta da Champollion e Rosellini nel 1828-’29.
Il secondo grande evento che pone l’Egitto sotto i riflettori del mondo è il taglio del Canale di Suez, avviato sotto Sa’id Pascià e completato durante il regno di suo figlio Isma’il nel 1869. L’importanza del Canale di Suez è enorme: grazie a questa nuova rotta marina s’incrementano le relazioni commerciali ed economiche con l’Egitto che diviene il perno dei collegamenti via mare. Questa crescita porta, inol¬tre, alla costruzione di una moderna rete ferroviaria, di un servizio postale e alla riforma del sistema doganale. Per celebrare l’evento viene commissionata a un italiano un’opera lirica degna della grandezza dell’operazione; l’incarico viene dato a Giuseppe Verdi, che com¬pone l’Aida: da quel momento la presenza degli europei in Egitto diviene massiccia, porta investimenti e innovazioni e condiziona la vita politica e culturale del paese. L’Aida segnerà fortemente anche l’immaginario letterario, tanto da essere ricordata sia nel romanzo Le figlie dei Faraoni di Emilio Salgari che nell’operetta Makarà di Enrico Pea.

Che rapporto ha avuto D'Annunzio con l'Egitto? Che Egitto ha proposto D'Annunzio ai suoi lettori? Che viaggiatore è stato il patriota novarese Giuseppe Regaldi? Quanto a Salgari, invece, quale immagine ci fornisce dell'Egitto nei due romanzi Le figlie dei faraoni e Cartagine in fiamme? Come si esprime in Salgari il culto per l'antico?
Molti autori italiani hanno visitato l'Egitto, vi hanno vissuto per alcuni periodi, vi si sono rifugiati e vi hanno persino avuto i natali. Il mio libro vuole raccontare l'immagine dell'Egitto nella letteratura italiana tra XVIII e XX sec. attraverso le opere di scrittori noti, meno noti, o addirittura dimenticati. Sfogliando Nella terra di Iside, noi lettori ripercorreremo il viaggio compiuto da Gabriele D’Annunzio con Eleonora Duse, il cui struggente ricordo non abbandonerà mai il poeta che ha affrescato, in versi e in prose, un’immagine eroica della terra del Nilo. Visiteremo l’antico Egitto creato a tavolino da Salgari in uno dei suoi più avvincenti romanzi, Le figlie dei Faraoni. Entrere¬mo nella “Baracca rossa” fondata da Enrico Pea “per gli anarchici e gli esuli di tutto il mondo” e ci soffermeremo sulla sua Makarà, l’operetta di argomento egizio in cui lo scrittore toscano critica la controversa politica del tempo. Conosceremo l’Egitto in cui Fausta Cialente visse per vent’anni, riferendoci sia ai suoi romanzi sia alla sua attività di antifascista presso la britannica Radio Cairo. Scopriremo anche l’Egitto delle donne, pioniere e archeologhe, dame e serve, militanti e ribelli, capaci di offrirci la rappresentazione non stereoti¬pata di una terra diversa, di una terra “altra”. Storie esaltanti, come quella di Amalia Nizzoli, sbarcata in Egitto a soli quattordici anni, tra le poche euro¬pee ad essere entrata in un harem, divenuta il primo direttore donna di uno scavo archeologico, ma anche storie di sofferenza e solitudine, come quelle delle aleksandrinke, le emigrate goriziane in cerca di una vita migliore. E ancora, rileggeremo pagine oggi dimenticate o poco note di scrittori e poeti ai loro tempi molto apprezzati, come il piemontese Giuseppe Regaldi e il sici¬liano Natale Condorelli. Apriremo, inoltre, una finestra sulla Sicilia, una delle terre più vicine all’Egitto, suo naturale contraltare per bellezza e fondamentale importan¬za geopolitica. Tramite contributi originali, come la narrazione di quell’in¬traprendente viaggiatore catanese che fu Natale Condorelli, rifletteremo su quale profondo influsso la terra dei faraoni ha da sempre esercitato sull’arte e sui costumi siciliani. Personaggi come il conte di Cagliostro, e storie come Il consiglio d’Egitto, ma anche tradizioni religiose come il sincretismo tra i culti isiaci e quelli agatini, daranno testimonianza di un legame sorprendente e unico. Infine Ungaretti e Marinetti, dissimili in tutto, ma uniti dall’amore per la loro terra natale che, da par loro, cantano e raffigurano con toni e significati capaci di esprimerne le diverse poetiche e ideologie, nascono in Egitto e da lì partono per compiere ciascuno la propria rivoluzione culturale. L’Egitto anarchico è una terra che diviene il rifugio, ora concreto (come per Enrico Pea), ora immaginario (come per Leda Rafanelli), di tanti esuli, fuggiaschi, perseguitati o soltanto utopisti in cerca di un “nuova America”, luogo di riscatto e di libertà.Attraverseremo, sulle ali della parola letteraria, l’antico paese delle piramidi trasformato dalla modernità.

Cosa sappiamo delle molte donne che nell'Ottocento si sono recate in Egitto? Chi erano queste viaggiatrici? Che tipo di testimonianze ci hanno lasciato?
Devo dire che, quasi senza accorgermene, nel corso delle mie lunghe ricerche da Italianista ho dedicato molti studi alle figure di donne sui generis, forti, dimenticate o interpretate secondo i canoni non sempre “neutri” dell’epoca. Ho scritto numerosi articoli su Matilde Serao, una figura molto affascinante (di cui parlo approfonditamente nel libro Descrizione e percezione, Le Monnier-Mondadori), su donne orbitanti nella cerchia dei veristi e dei futuristi, e da ultima su Macalda di Scaletta.
Uno sguardo diverso e per tanti aspetti inedito è quello offerto dalle donne che a vario titolo si sono recate in Egitto nell’Ottocento. Siano esse viaggiatrici, single o accompagnate dai mariti, siano esse lavo¬ratrici, appartenenti, quindi, a classi non benestanti, i loro resoconti e le loro riflessioni emergono per l’originalità e per la capacità di osservazione degli aspetti più intimi e quotidiani dell’ambiente e della variegata umanità con la quale vengono in contatto. È per ciò che la terza parte del saggio dà voce all’“altra metà dell’Egitto”, quella delle tante donne che lo hanno visitato o vi hanno vissuto per periodi più o meno lunghi, ma anche quello delle tante che vi si sono recate spinte dalla fame e dalla speranza di una vita migliore. Storie esaltanti, come quella di Amalia Nizzoli, primo direttore donna di uno scavo archeologico, ed anche storie di sofferenza e solitudine, come quelle delle “Aleksandrinke”, le emigrate goriziane.
Secondo diversi studiosi, il culto di Iside, molto diffuso anticamente nella città di Catania, ha esercitato una notevole influenza sul culto in onore di Sant'Agata. Cosasappiamo sull'argomento? Quali sono i punti di contatto tra i due culti sia per quanto riguarda l'aspetto religioso che quello antropologico?
Lo studioso siciliano Emanuele Ciaceri intuisce che il culto di sant’Agata, patrona di Catania, è modellato su quello di Iside descritto da Apuleio nelle Metamorfosi, e che, quindi, oltre a quello religioso, riveste uno straordinario valore antropologico. Come affermato anche dallo storico Tino Vittorio, il culto di Sant’Agata è una risemantizzazione cristiana di una divinità pagana e l’Isidis navigium segnava il passaggio dall’inverno alla stagione propizia alla navigazione. Entrambe le feste, dunque, sono di natura marinara; in entrambe i sacerdoti indossavano una tunica di lino bianco (“sacco” agatino); in entrambe ci si mascherava. Il mio libro sottolinea come proprio a questa tradizione allude Giovanni Verga nella novella La coda del diavolo, quando descrive l’usanza delle ’ntuppatedde, che consente alle donne di velarsi durante la processione, lasciando visibile solo un occhio, e di andare in giro autonomamente, libere di accompagnarsi, così celate, all’uomo che preferiscono. Infine, il velo di Iside viene sostituito con il velo agatino (“grimpa”). La martire Agata, cui s’era strappato il seno e cui le donne offrono anche oggi mammelle di cera in grazia della guarigione ottenuta, prende così il posto della dea egizia che simboleggiava la forza produttrice della natura e che era considerata come la dispensiera del latte all’umanità nascente, tanto che nella processione di Corinto un ministro del culto portava in mano un vasetto d’oro a forma di mammella e alla presenza del popolo faceva libazioni di latte. Tuttora, durante la festa, i catanesi consumano dei dolci, chiamati “minnuzze di Sant’Agata”: delle cassatelle alla ricotta, ricoperte da una glassa bianca in superficie e sormontate da una ciliegina a guisa di capezzolo, che alludono al martirio della giovane sposa di Cristo.

Come si pone, invece, il viaggio dell'avvocato Natale Condorelli in Egitto? Cosa rappresenta per noi il suo racconto di viaggio? Che itinerario ha compiuto in Egitto?
Natale Condorelli fu un importante avvocato penalista catanese, distintosi per le sue idee progressiste contro la pena di morte e a favore delle fasce sociali più deboli. Idee libertarie a causa delle quali decise di lasciare Catania e intraprendere una serie di lunghi viaggi in Oriente (così la terminologia ottocentesca indicava le zone del Nord Africa e l'Egitto in particolare). Nel volume Oriente, pubblicato nel 1885, Condorelli racconta da fine cronista il viaggio che compie in Egitto in piena età colonialista, un viaggio che dà conto delle grandi crisi economiche e delle politiche imperialistiche. Non è solo, dunque, l’atavico e condiviso “mito dell’Oriente” a spingere Condorelli nelle terre d’Egitto, ma è anche il presente, la contemporaneità, le tensioni più o meno sopite della politica internazionale e il bisogno d’in¬terrogarsi sul ruolo dell’Italia in relazione agli altri paesi europei.Condorelli viaggia con i suoi mezzi e lo fa per curiosità, per diletto e per passione. Il viaggio raccontato nelle 193 pagine totali è simile a quello che anche oggi tanti turisti compiono in Egitto, cerniera del mondo tra Asia e Africa: sbarco ad Alessandria, visita della città e, successivamente, del Cairo con zo¬ne liminari, grande crociera sulle rive est e ovest del Nilo, passaggio della pri¬ma cateratta e prolungamento sino al Sinai, il 31 dicembre visita alle sorgenti di Mosè.Condorelli percorre con calma e attento stupore i luoghi più celebri dell’Alto e del Basso Egitto, luoghi carichi di storia e di suggestio¬ni, luoghi le cui antiche vestigia spesso erano state liberate e rese accessibili ai visitatori da poco più di un secolo, come Luxor, sede dell’antica Tebe.

Che immagine dell'Egitto ci hanno lasciato Ungaretti e Marinetti?
Filippo Tommaso Marinetti e Giusep¬pe Ungaretti sono entrambi nati ad Alessandria d’Egitto e sono entrambi autori, dal 1930 al 1931, di una serie di articoli pubblicati sulla “Gazzetta del Popo-lo”, poi raccolti rispettivamente nei volumi Il fascino dell’Egitto e Quaderno egiziano. Dal raffronto tra le due opere emerge la sorprendente capacità di due autori antitetici di mutare lo spazio geografico in uno spazio letterario dalla densa connotazione memoriale e di creare eloquenti e significativi ma¬nifesti della loro poetica. L’immagine che Ungaretti dà della sua terra natale è quella di una terra poetica, poeticamente narrata. L’Egitto di cui ci parla è immerso in un paesaggio poco geografico e molto letterario; è un luogo mitico, ancestra¬le, archetipico. È materia lirica di creazione. La stagione egiziana di Ungaretti può essere considerata l’occa¬sione fondante di tutta la successiva mitologia poetica e chiave di lettura dell’intero itinerario ideologico: non c’è una sola fase della sua ricerca poetica lungo l’arco del mezzo secolo e più, non una sola indicazione ideologica, che non sia riconnettibile con la vita, l’esperienza, l’emozione del deserto e della vita ad Alessandria.
Anche per Marinetti l’Egitto è ricordo, nostalgia, sogno, ma diversamente da Ungaretti, in lui non c’è amarezza e acre rimpianto, non c’è un polemico giudizio negativo nei confronti del presente. L’Egitto è, e rimane, un «punto fermo di contemplazione». L’equilibrio e la levità delle pagine, la musicalità e il sontuoso descrittivismo, fanno de Il fascino dell’Egitto un vero e proprio gioiello, uno stra¬ordinario esempio di come contaminare reportage poetico e fantasticherie memorialistiche.

Quale messaggio si augura possa arrivare ai lettori del libro Nella terra di Iside?
Sicuramente il mio saggio è una goccia in un mare: l’argomento, oltre a essere estremamente attraente, è anche molto ampio e complesso. L’intento è di coniugare un rigoroso impianto filologico, basato su fonti, studi e testi, a una lettura godibile e coinvolgente. Un libro non solo per studiosi e specialisti, ma per chiunque sia appassionato di Egitto ed egittologia ed ami la storia, l’archeologia e la letteratura. Un libro per chi voglia scoprire autori e testi dimenticati o poco noti e voglia accostarsi all’argomento osservando l’Egitto da altre terre, come la Sicilia, o con altri occhi, come quelli delle donne. Un libro che vuole essere un’appassionante finestra su una terra dal fascino millenario e che, contemporaneamente, costituisca un punto di riferimento per gli studi futuri. Ed in effetti la mia casa editrice, la Carocci, mi ha confermato che uno studio di questo genere, in cui la letteratura ha una parte predominate, non è ancora presente sul nostro territorio ed è per questo che ha già suscitato tanto interesse.
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