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giovedì, 13 ottobre 2016 22:41 |
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Francesca Bianchi
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Il 15 e il 16 ottobre a Bergamo, nelle Sale Meeting dell’Hotel Winter Garden, si terrà il Seminario – Tavola Rotonda La Danza degli Archetipi: alle radici del linguaggio simbolico. L’evento è organizzato dal Dipartimento Valcamonica e Lombardia del Centro Camuno di studi Preistorici, in collaborazione con l’Associazione Lombarda di Archeologia, ed è patrocinato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, dall’ICOMOS (International Council on Monuments and Sites) Italia e da Italia Nostra sezione Lombardia, con il supporto dell’Hotel Winter Garden e di Valle Camonica Servizi.
Al convegno parteciperanno alcuni tra i migliori specialisti di livello mondiale, come il biochimico Pier Luigi Luisi, professore emerito al Politecnico federale di Zurigo. Tra i relatori archeologi del calibro di Emmanuel Anati, presidente onorario del CCSP e direttore dell’associazione culturale Atelier, Pier Luigi Bolmida, specialista in psicologia clinica e patologica e docente dell’Università di Paris V, e Ghesce Lobsang Tenkyong, maestro tibetano. Molti anche gli esperti della scena italiana: Renato del Ponte, storico delle religioni, Lucia Bellaspiga, giornalista ed autrice, inviata di Avvenire, Gabriella Brusa Zampellini, simbolista-mitografa, Giovanni Kezich, Antonella Mott e Gaudenzio Ragazzi, antropologi, e Federico Mailland dell’Associazione Lombarda di Archeologia.
FtNews
ha incontrato Umberto Sansoni, Direttore del Dipartimento Valcamonica e Lombardia del Centro Camuno di Studi Preistorici, che ha raccontato come è nata l'idea di realizzare un convegno sul rapporto tra psicanalisi e preistoria, soffermandosi sulla simbologia sottesa nelle immagini dell'arte preistorica e sulle modalità in cui si manifestava l'inconscio dei nostri lontani progenitori.
Come è nata l'idea di realizzare un convegno relativo al rapporto tra psicanalisi e preistoria?
L'incontro è nato con l'intento di raccogliere, da varie angolature, riflessioni e traguardi conseguiti sulla ricerca dei moti originari e sull’iter che hanno condotto alla straordinaria vicinanza dei sistemi mitico-simbolici dell’Homo Sapiens. L'arte rupestre offre "sorprese" straordinarie relativamente ai moduli espressivi simbolici, a livello planetario. Se cogliamo questi moduli in un’integralità pluridisciplinare e con nuovi occhi, ci riaccostiamo poi ai nostri dati di partenza, quelli rupestri. È come dire che dobbiamo apparentemente allontanarci ed ampliare l’orizzonte per poter poi meglio cogliere l’obiettivo domestico. In merito ad un tema come l’espressione preistorica, l’indagine conoscitiva non può prescindere da percorsi di ricerca che investono il campo di discipline solo in apparenza con scarsi punti di contatto. L’arte rupestre sembra il terreno ideale per quest’incontro dei diversi tentacoli delle discipline umane, quali la storia delle religioni, la fenomenologia mitico-simbolica, l'epigenetica e la linguistica. Il contributo dell’archeologia simbolica si configura di grande portata, ma nel segno di un raccordo disciplinare e di un obiettivo più alto, l’unico che può dare sprone e meta al raccordo stesso.
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Foppe di Nadro R.1, Valcamonica; figura di orante femminile e disco puntato (forse solare). Tardo Neolitico, IV mill. a.C.
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I reperti rupestri ci testimoniano una grande creatività. Come si possono interpretare i simboli sottesi nelle immagini dell'arte preistorica dal punto di vista psicanalitico e cosa c'è alle origini di quel tipo di linguaggio?
L'archeologo Emmanuel Anati ha individuato gruppi di grandi sistemi iconografici legati ai fondamentali stadi di sviluppo delle società preistoriche, come tappe simili, quantomeno comparabili, che dalle espressioni paleolitiche, concentrate sulle grandi figure animali, giungono sino alla complessità di quelle protostoriche. Ciò è avvenuto su aerali molto ampi e in quadri, anche non contemporanei, per cui alle figure franco-cantabriche rispondono quelle del Gobustano della Tanzania. Se, dunque, molto è nei modelli iconografici determinato dalle peculiari variabili culturali, storiche ed ambientali, evidenti sono anche le costanti, in regioni diverse, nelle dinamiche cognitive, nelle logiche espressive, tematiche e persino stilistiche, senza che queste riflettano necessariamente processi di acculturazione e diffusione. Per Anati si tratta di archetipi logici e di modelli universali, come se i moduli derivassero da una radice comune. Un simile parallelo fenomeno è nella stessa dinamica culturale nel suo complesso, nello sviluppo, sincronico o diacronico, della strumentazione e delle tecniche e strategie adottate nei vari stadi dello sviluppo umano: la lavorazione della pietra, della ceramica, dei metalli, come la domesticazione, l’utilizzo di identiche risorse in identici modi è avvenuto in più punti del pianeta anche senza alcun possibile contatto, senza alcuna forma di diffusione. Parimenti appare per i processi cognitivi, di simbolizzazione, di elaborazione astratta in senso lato. Qui entra in campo la concezione di inconscio collettivo e di "archetipo" della teoria junghiana, quel patrimonio comune all’umanità di istinti nel campo del pensiero e dell’azione, per cui come il corpo umano mostra una struttura anatomica comune al di là delle differenze razziali, così la psiche umana possiede un sostrato comune che trascende tutte le differenze di cultura e di coscienza. A questo sostrato ho dato il nome di ‘inconscio collettivo’. L’inconscio collettivo è ‘semplicemente’ l’espressione psichica dell’identità della struttura del cervello, a prescindere dalle differenze razziali. Il che spiega l’analogia, talvolta addirittura l’identità, tra i vari motivi mitici e simbolici, nonché la possibilità della comunicazione umana, in genere. (C. G. Jung).
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Pagherina r.1, Valcamonica; "la famiglia neolitica", due coppie di figure oranti sessuate, con grandi mani e segni accompagnatori. Tardo Neolitico, IV mill. a.C.
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In che modo si manifesta l'inconscio dei nostri progenitori vissuti in epoca preistorica?
Pier Luigi Bolmida pone nello sviluppo delle capacità simboliche del Sapiens i fattori innati, le espansioni del pensiero intuitivo, le condizioni ambientali e i traumatismi, ma soprattutto pone l'accento sul ruolo dei processi onirici che operano con modalità esterne e complementari alla logica della percezione, evocando realtà più vaste, non raggiungibili tramite i sensi. Nell’onirico avverrebbe, secondo Bolmida, una sorta di abbraccio dialettico fra le percezioni, le esperienze del conscio e le più profonde pulsioni, le programmazioni inconsce di quel meccanismo altro, intrapsichico e filogenetico, che configura come il nostro radicale più autentico. Ciò avverrebbe più intensamente e direttamente di quanto sia possibile nell’attività conscia e questa ne deriverebbe la spinta necessaria alla sua espressione di grado sottile, come la simbolica. Se consideriamo che la simbolica è in sé espressione di un abbraccio analogico fra poli affini, fra un extra ed un intra, fra un noto alla coscienza ed un intuito incognito, come non vedere nell’onirico almeno una fonte formante? L’arte rupestre e la fenomenologia simbolica ci danno attestazioni di similitudini/identità di ampissimo riscontro su temi e sulla loro strutturazione grafica, sino alla relazione scenica, facendoci intuire la vicinanza/identità delle prospettive fondanti, il livello archetipale. L'arte paleolitica è incentrata sulle figure di grandi animali e della "Grande Madre". In questi due diversi tipi di espressione artistica si concentra tutta la profondità del mondo spirituale degli uomini preistorici, che è impossibile decifrare in maniera completa. Il loro inconscio proiettava tutto sulla figura animale, che per gli uomini della Preistoria era il bene più prezioso, come ci si aspetta da una società di cacciatori. Gli animali vengono dipinti fedelmente, con effetti molto realistici. Cacciare e dipingere animali era come assolvere a una funzione magico-religiosa. Lo stesso discorso vale per le immagini che riproducono la figura della "Grande Madre", con cui rendevano tributo alla Madre generatrice e curatrice di tutte le cose viventi.
Cosa significa ripercorrere a ritroso la storia dell'uomo, riscoprendo ed analizzando la sua produzione artistica?
Paracelso disse: Se vuoi sapere come pensa un cane, devi essere un cane. Qui siamo di fronte a culture molto diverse dalla nostra o da quelle a noi vicine. Esse non hanno avuto scrittura, ma tradizione orale ed espressione simbolica; la prima è persa o ridotta a tracce minimali, la seconda rimane come un enigmatico reperto fossile. Per intenderla o, meglio, per avvicinarla, è bene conoscere tutto quanto la riguarda, nei limiti del possibile ricostruirla, direi “riviverla”, comprendere che valore possano aver avuto il sole, l’acqua, il fuoco, le armi, le regole della coesione sociale e così via, cercare di essere il cane. Non è forse questo che anima tanta “archeologia sperimentale” o l’indagine sui processi culturali nella più recente “archeologia cognitiva”? Tutto, inoltre, porta a considerare che, di sua natura, l’arte preistorica tenda ad esprimere un’essenzialità tanto più evidente quanto più antica, essenzialità che è semplicità spesso, ma nel senso più nobile di sintesi profonda, niente affatto estemporanea. Con queste premesse, considerando l’importanza del “rivivere il passato” e del quanto noi stessi siamo in grado di partecipare di un vissuto essenziale che ci appartiene storicamente, ne deriva una metodologia particolare: intendere a fondo il senso ed il modulo del simbolo, del mito, del rituale, specie nei suoi tratti strutturali e comuni nel filo della storia (ad esempio riguardo al sacrificio, al valore della grotta, delle alture, delle armi o della gestualità rituale). Allora dal simbolo si va più all’interno, a quelle che paiono le sue matrici. Questo è l’ambito ed il vero cuore della ricerca simbolica.
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