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Diego Maggio: profumi, aromi e sapori siculo-panteschi

giovedì, 09 maggio 2019 08:15

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Diego Maggio (foto di Mario Tomassi)
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato l'avvocato marsalese Diego Maggio, Presidente dei Paladini di Sicilia e vicepresidente nazionale dei Giuristi della Vite e del Vino.
Da anni gira l'Italia e l'estero per far conoscere la storia millenaria che ha caratterizzato l’attività vitivinicola in Sicilia e l'alta qualità delle sue produzioni tipiche, raccontando la storia e l'anima autentica della sua gente, le sue radici profonde, le sue tradizioni secolari. Per 20 anni Consigliere Delegato e consulente giuridico del Consorzio che tutela i vini doc dell’isola di Pantelleria, è stato proprio lui a lanciare per primo l’idea grazie alla quale la plurisecolare pratica agricola pantesca della vigna ad alberello è stata nel 2014 riconosciuta dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
Sabato 4 maggio, presso il Museo Diocesano di Albano Laziale (RM), diretto dall'antropologo Roberto Libera, Diego Maggio ha presentato il suo libro Conosci tu il paese dove...: una dichiarazione d'amore verso Pantelleria e la sua gente. Questa "narrazione sensoriale" - così è stato felicemente definito il libro - racconta la storia di un giovane pantesco che è costretto a lasciare l’isola per cercare di realizzarsi altrove. In Francia trova il lavoro e l’amore. Quando, dopo dieci anni, ritorna nell'isola che l'ha visto nascere, decide di restarvi per sempre, sognando di viverci con Louise, la sua donna parigina.
Il testo è accompagnato dalle originali e intense immagini del fotografo reggiano Paolo Codeluppi, che immergono il lettore nel vissuto dell'isola del vento e delle sue biodiversità.
Recentemente designato in rappresentanza del Comune di Pantelleria quale esperto nel Comitato ministeriale di Coordinamento per la gestione del suddetto riconoscimento UNESCO, l'avvocato Maggio ha affascinato i numerosi ospiti del Museo di Albano, parlando del suo libro e della passione - insita nella sua marsalesità - per la vigna e il vino.
Il racconto di Diego Maggio, scaturito da riflessioni e ricordi particolarmente cari e ben incisi nell'anima, è un invito a non perdere mai di vista - nella frenesia dei tempi moderni che tutto travolge e annienta - i valori della famiglia, della terra, della tradizione, il ricordo dei sacrifici compiuti da chi ci ha preceduto, consapevoli del fatto che si può essere universali anche in un fazzoletto di terra, perché…tutto torna: siamo i nostri Padri.

Avvocato Maggio, come e quando è nato Conosci tu il paese dove...?
Era la sera del 13 novembre 2015: conservo un ricordo netto di quella data perché, tra l'altro, era il giorno del mio onomastico. E lo festeggiavo partecipando ad una cena promozionale di tipicità. Dagli smartphones si diffuse in tempi reali, gelando l’allegria dei tavoli, la notizia della strage terroristica di Parigi e io fui preso dal panico perché telefonavo ripetutamente a mio figlio che, però, non rispondeva. Lui vive lì ed era stato al"Bataclan" qualche sera prima, insieme a suoi amici francesi con cui usciva spesso. Per fortuna, dopo numerosi tentativi, riuscii a rintracciarlo e a tranquillizzarmi. Misi insieme questo episodio ai tanti ricordi che mi legano all’isola italiana più vicina all’Africa e il mio pensiero andò ai tanti giovani– come i miei figli - costretti a lasciare la propria terra per cercare fortuna altrove. Da lì è nata la storia e le storie contenute nel libro.

Com'è strutturato questo libro dedicato a Pantelleria e alla sua gente?
Il libro rievoca il percorso di Santino, un giovane pantesco che, raggiunto a vent’anni il fatidico “pezzo di carta”, si vede indotto a lasciare l’isola per inseguire un luogo ove realizzare le sue aspirazioni. Giunto a Parigi, trova un lavoro degno e si innamora di Louise. Ma in un suo ritorno sull’isola, dieci anni dopo esserne partito, sceglie di non allontanarsene più, sognando di vivere in questo difficile Sud insieme alla sua donna francese. La riflessione su quella diffusa condizione umana che, ad un certo punto della vita, induce a lasciare la terra natìa, e la nostalgia, unita al desiderio struggente di tornare dove si è nati, pervadono tutte le pagine del volume. Piuttosto che vagheggiare fortune ed orizzonti lontani e illusori – è la morale del libro - è bene guardare alla prossimità della propria terra, impegnandosi a valorizzarne i tesori prima che questi si estinguano. Proprio come rischia di accadere all’inestimabile vigneto pantesco, assottigliatosi nelle sue superfici coltivate: se dovesse scomparire, non solo subirebbe una deprecabile alterazione lo skyline dell’isola, ma – quel che è peggio – si polverizzerebbe la stessa identità della gente pantesca.
Le persone di cui parlo nel libro sono tutte vere, a cominciare da Santino, che è il nome di un mio amico di Pantelleria. E' vera, anche se romanzata, la storia di Gabriel Garcìa Màrquez, raccontatami da Paolo, un altro mio amico autoctono che davvero accompagnò il grande scrittore in quella sua vacanza pantesca dell’estate1979.
Il testo è accompagnato dagli straordinari scatti di Paolo Codeluppi, fotografo reggiano. Si tratta di immagini che fanno vivere aspetti e momenti di Pantelleria, trasfigurati dai filtri ottici dell'anima. Le immagini non sono accompagnate da didascalie, proprio perché non si tratta di una guida turistica: c'è una asimmetria voluta, come ha scritto Annamaria Milesi (esperta di Intangible Marketing) nella sua recensione del mio libro.
Diego Maggio e la "sua" vite ad alberello
Quando è iniziata la collaborazione tra lei e il fotografo Paolo Codeluppi?
Ho conosciuto Codeluppi in occasione di una delle tante presentazioni del mio precedente libro, intitolato Ragioni e sentimenti nella Sicilia del vino e uscito nel 2010. A Paolo era piaciuto tanto già quel titolo wertmülleriano: così, quando mi incontrò, mi propose di fare un libro insieme, un'opera che costituisse una prima tappa rispetto ad un itinerario ben definito che ci condurrà, forse, in giro per i tanti paesi del nostro Belpaese. Si tratta di una collana che può mettere insieme alcune perle del Mediterraneo, tutte fra esse legate da un fil rouge, da una coerenza di singolarità. Mi piace raccontare l'Italia partendo dalla mia terra e così ho cominciato a fare.

Non crede che già dal titolo si manifesti tutta la nostalgia verso questo luogo dell'anima?
Mi ha sempre colpito il primo verso del canto di Mignon, presente nel romanzo di Wolfgang Goethe intitolato "Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister", una poesia la cui prima strofa recita:
Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Nel verde fogliame splendono arance d'oro
Un vento lieve spira dal cielo azzurro
Tranquillo è il mirto, sereno l'alloro
Lo conosci tu?
Laggiù, laggiù
Vorrei con te, o mio amato, andare!

Una parte del primo verso l'ho voluta nel titolo del mio libro, inserendo i puntini di sospensione per lasciare libero spazio all'immaginazione di ogni lettore. Larga parte del suo viaggio in Italia, Goethe l'ha trascorsa in Sicilia. A lui importava poco la dimensione del viaggio in sé, mosso com’era dalla ricerca delle tracce della civiltà greca e di quella romana. "Non è possibile formarsi un’idea giusta dell’Italia senza aver visto la Sicilia: qui sta la chiave di tutto", scrisse. Condivido orgogliosamente queste parole del grande scrittore tedesco: l'Italia senza la Sicilia non lascia traccia nell'anima.

Quella tra lei e Pantelleria è una lunga storia d'amore che ha origini lontane...
Le confesso che la mia prima volta nell'isola del vento, 35 anni fa, fu piuttosto traumatica: ero lì in vacanza di Ferragosto con mia moglie, sposati da poco. Ricordo che mentre con la Vespa scendevamo verso la cala di Nikà, si ruppe il cambio e dovetti poi risalire sulla perimetrale spingendo il mezzo a forza di braccia: un massacro di fatica. Quando, poi, nel 1996, gettammo le basi per costituire il Consorzio di Tutela dei vini DOC, di cui diventai il Consigliere Delegato, mi sono letteralmente innamorato dell’isola e della sua gente. Pantelleria è come una bellissima donna della quale ci si può facilmente invaghire: straordinaria e selvaggia la sua natura temperamentale, ma ricambia ogni suo innamorato regalandogli tramonti durante i quali arriva l’umore possente e il respiro profondo di Madre Africa. A Pantelleria ancora oggi sono vivi i segni delle molte colonizzazioni e la forte eco delle felici contaminazioni soprattutto dell'epoca araba. E' un luogo selettivamente affascinante di cui sento di non poter fare a meno.

Grazie alla sua idea lanciata molti anni prima, il 26 novembre 2014 l’UNESCO ha iscritto nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità “La pratica agricola tradizionale della coltivazione della “vite ad alberello” nella comunità di Pantelleria” . Questo riconoscimento è stato il primo che l’UNESCO ha attribuito ad una tradizione colturale, a conferma del valore storico-culturale di questa secolare consuetudine. Cos'è il vigneto ad alberello? Com'è nata questa pratica?
Come scrivo nel libro, probabilmente la ventosità dell'isola, spesso impetuosa e distruttiva, aveva consigliato i primi arcaici viticoltori a mettere al riparo dalle intemperie la pianta della vite, collocandola in una conca scavata, con una inimitabile zappata obliqua, nel suolo del vulcano spento da secoli. Così adagiati, beneficiando di una pota più unica che rara, i tralci tuttora si abbracciano (a gobelét) e i grappoli di Zibibbo quasi strisciano per terra, guadagnando prossimità a quell'humus grigio antracite e arricchendosi di un impareggiabile valore zuccherino.
Più di ogni altra tradizione, questo modo di allevare la vite è stato vissuto come la sintesi di una lunga eredità storica che aveva preso piede a Pantelleria fin dalla notte dei tempi, plasmando e modellando il paesaggio dell'isola, alla stessa stregua di ciò che accade agli esseri viventi che adattano il proprio organismo e la propria stessa conformazione alle condizioni del luogo in cui si trovano. Questo tipo di coltivazione, che richiede cura costante e fatica fisica, costituisce l'identità di Pantelleria insieme agli innumerevoli terrazzamenti, ai chilometrici muretti a secco, e ai dammùsi, le tipiche abitazioni pantesche.
) Un'immagine della presentazione al Museo Civico di Albano Laziale (foto di Mario Tomassi)
Avvocato, lei è Presidente dei Paladini di Sicilia e vicepresidente dell'Unione Giuristi della Vite e del Vino (UGIVI); la sua materia è quella del diritto vitivinicolo. Quando è nato il suo interesse per il nettare degli Dei? Perché la Sicilia è definita "isola del sole e del vino"? Ci parli pure della Sicilia del vino...
E' una passione che ho ricevuto in dono da mio padre, enologo, e da mio nonno, agricoltore. La mia è una delle tante famiglie appartenenti a quella che definisco “la civiltà della vite e del vino”, di cui spesso sento parlare a sproposito. La passione del vino è connaturata all'essere mediterranei, probabilmente all'essere marsalesi, perché dalle mie parti più che altrove la vite ha trovato un habitat naturale. Questa pianta, infatti, è stata accolta tremila anni fa in Sicilia (specie nella sua…riviera di ponente), rivelatasi il contesto naturale in cui meglio svilupparsi, soprattutto in questa fascia che passando dal Portogallo arriva alla Turchia, in mezzo alla quale si trova appunto la mia terra. Gli Inglesi hanno valorizzato al massimo questa geografia del vino, che è stata chiamata "the sun belt", al cui centro si trova la punta ad estremo Ovest rappresentata dalla mia città, l'antica Lilibeo dei Romani, che poi gli Arabi chiamarono Marsa Allah, il porto di Dio. Il promontorio situato nell'Occidente siciliano ha visto svilupparsi nei millenni l'arte di fare il vino nella maniera congeniale alle stesse attitudini della pianta più bella e più utile della storia umana. Questo clima caldo-arido con l'influenza fondamentale dei venti e la vicinanza del mare, unito alla grande potenza del sole, per il vino naturale ha un'importanza determinante: tanto che i vini di questa "fascia del sole" si contraddistinguono per una robustezza che altrove non può essere riprodotta. L'insieme forma l'ambiente della Sicilia del vino.
Ai primissimi di giugno farò confluire sull’isola ben quaranta colleghi Giuristi del vino per un Convegno, che si svolgerà nel castello medievale, sul tema “Diritto ed economia di una d.o.c. eroica”.

Come definirebbe il vino?
Il vino è un lusso, un complemento indispensabile per dare piacere alla vita. C'è un vino per ogni pasto, per ogni piatto. Ciò è testimonianza che il vino, oltre ad essere un lusso, è anche sapienza, buon vivere e intelligenza. Ho avuto la fortuna di crescere conoscendo da vicino maestri assoluti (Gino Veronelli, Vincenzo Buonassisi, Bruno Pàstena, Paolo Massobrio, Luigi Papo, Agostino Mulè, Marco De Bartoli, il conte Tasca, Ignazio Miceli) che, già da quando ero giovanissimo, mi hanno trasmesso ben più che la sola passione, già presente nel mio DNA, appartenendo io - come ho detto poc'anzi - ad una famiglia che il vino lo produceva.

Come si può fronteggiare l'avanzata delle grandi aziende internazionali che propongono vino di scarsa qualità, un sottoprodotto industriale, a prezzi spesso competitivi?
E' fondamentale, intanto, “vaccinare” i giovani contro quel morbo dilagante rappresentato da quelle sigle che organizzano corsi di formazione della conoscenza del vino e che, in realtà, sono – salve le dovute e buone eccezioni – squallidi diplomifici, assolutamente inutili, anzi controproducenti. Serve molto di più: serve promuovere una conoscenza concreta del vino, un insegnamento dell’arte del marketing. Intanto il vino si ama, in quanto lo si conosce. E si deve cercare di farlo conoscere correttamente agli altri, fino a convincerli all'acquisto. Solo “comunicando” la qualità del nostro vino, noi italiani possiamo preservarci anche dall'assalto delle potenti multinazionali dei soft drinks: le principali responsabili di quella che io definisco un'incultura del bere, perché propongono bevande da laboratorio, zuccherate e gassose, che di naturale non hanno alcunché e che fanno sicuramente male alla salute.

Lei è molto impegnato anche nel sociale: non solo a Pantelleria, ma anche nella sua Marsala. Quali progetti ha coordinato recentemente?
Come dirigente della Provincia ho autorizzato una intensa manutenzione straordinaria della Strada Perimetrale dell’isola e mi sono speso affinché a Pantelleria venisse finalmente costruita la prima vera scuola superiore, che accoglierà un Liceo delle Scienze Umane e un Istituto Tecnico Commerciale, con relativi laboratori, spazi verdi e palestre.
A febbraio scorso è stato poi avviato a Marsala "TeatrAbile", un progetto nato dall’incontro di quattro realtà volontaristiche del territorio: sono stato fra i promotori dell’iniziativa, con l'intento di dare vita ad un esperimento corale di inclusione dei ragazzi con disabilità, la maggior parte dei quali è affetta da sindrome di Down. Ho lavorato insieme ad "Abilmente Uniti", Associazione di famiglie con figli disabili di Mazara del Vallo, e alle Associazioni marsalesi “Aquilone & Melograno" e "Skenè". Il nostro obiettivo è quello di creare attività espressive e di educazione motoria (FlyUp) che incentivino i momenti relazionali delle persone in difficoltà.

Cosa si augura per il futuro di Pantelleria?
Il mio libro è andato fuori dai confini nazionali (in giugno lo presenterò al Centro Italiano di Cultura di Parigi e poi nel Baden Wurttenberg) e andrà anche oltreoceano (ne è già pronta una traduzione in inglese). Mi auguro che il messaggio ivi contenuto possa raggiungere sempre più persone (compresi i miei figli) allontanatesi forzosamente (cioè per necessità) dalla Sicilia, convincendole a tornare in questa terra nella quale sono nati i loro padri e i loro nonni. Mi auguro che la pur inarrestabile globalizzazione non faccia estinguere del tutto i valori della famiglia, della terra e delle tradizioni connesse alle proprie origini.
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