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venerdì, 17 marzo 2017 18:33 |
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Francesca Bianchi
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FtNews
ha avuto il grande piacere di intervistare Devana, sciamana, filosofa, studiosa di archeologia esoterica e scrittrice che ha viaggiato nei siti sacri di tutto il mondo alla ricerca delle origini dell'umanità e dell'antica conoscenza legata alle popolazioni native. La studiosa ha parlato di sciamanesimo, immortalità, di agricoltura biologica e si è soffermata sui vari monumenti megalitici, simili in tutto il globo, che ha potuto ammirare nel corso delle sue avventure, sostenendo che la somiglianza che li accomuna è rivelatrice del fatto che vi fu un’unica cultura mondiale in grado di costruire queste imponenti opere architettoniche, preziose custodi delle memorie dell’evoluzione dell’umanità.
Nel corso della nostra conversazione, Devana, ideatrice, tra l'altro, del Cerchio Planetario delle Donne, ha affrontato anche la questione relativa al culto della Dea e al ruolo che ricopriva la donna nelle antiche civiltà matrifocali, ribadendo con fermezza la necessità di rendere sacro ogni gesto della nostra vita quotidiana e di riscoprire la profonda connessione con la nostra Madre Terra, con le sue bellezze e con tutte le creature che la popolano.
Lei si definisce una sciamana. Come e quando si è avvicinata allo sciamanesimo, riuscendo a connettersi con le altre dimensioni e a risvegliare le memorie della sciamana, contenute nel dna di ogni donna?
Non mi sono “avvicinata” allo sciamanesimo, mi sono ricordata di essere sempre stata una sciamana. Sono stata una bambina e un’adolescente diversa. Ho sempre vissuto nel Sacro, sentendo l’esigenza di celebrare. Ho sempre creduto nella magia. Poi, un giorno di circa dieci anni fa, mi sono resa conto che il mio stile di vita, fatto di rispetto di ogni cosa esistente, di onore, di impegno, di studio e di fusione con la Natura, di allontanamento progressivo dal rumore e dalla quotidianità ordinaria, non era nient’altro che uno stile di vita sciamanico. Shaman significa “ponte”, vivere in modo sciamanico significa essere costantemente consapevoli di trovarsi all’incrocio di un multiverso e di interagire dal centro con tutte le dimensioni. Ritengo che abbiamo memorie nelle nostre cellule, che sono composte d’acqua all’80%. In queste memorie esiste una tradizione e un richiamo al Sacro che si può scegliere di ascoltare o meno. Io ho scelto di ascoltarlo e di risvegliarmi: ora, in questo corpo, in questa incarnazione.
Cosa significa essere una sciamana oggi?
Ormai anche lo sciamanismo è diventato di moda e se ne sentono di tutti i colori. Non esiste un’unica verità. Posso dire come io vivo il mio essere sciamana: vivo ogni azione come sacra, anche quando cucino o semino l’orto, non solo quando tengo cerimonie. Cerco di parlare con lingua dritta e cuore puro. Trasformo in piccole cerimonie le azioni quotidiane, come lavarmi la faccia al mattino o accendere il camino. Mi sento una Donna Sacra in ogni momento della mia giornata, qualunque cosa faccia. Studio e viaggio per imparare. Studio almeno quattro ore ogni giorno da 40 anni. Pratico l’auto-osservazione continua, perché non posso condividere nessun insegnamento o esperienza che non abbia prima provato sulla mia pelle. Vivo nella natura e vado tutti i giorni nel bosco o in montagna a camminare, portando sempre con me una borsina con piccole offerte da lasciare all’acqua o agli spiriti guardiani della natura.
Perché tutte noi donne siamo sciamane per natura?
L’utero delle donne è montagna, caverna e pozzo e ci immette direttamente in frequenza multidimensionale. È la proiezione in terza dimensione del Sacro Utero della Dea, da cui tutta la creazione proviene. Ogni donna è madre, indipendentemente che abbia o meno partorito dei figli in questa vita. Quindi la natura femminile è quella di provvedere per istinto alla comunità come a una grande famiglia. Questo è un istinto prettamente sciamanico. La sciamana sa che il benessere della persona dipende dal benessere della comunità.
Perché non usa mai il Suo nome e cognome?
Il mio nome spirituale, Devana, mi fu inviato nel 2000 ed è il nome sanscrito della Grande Dea Madre. Rappresenta il mio cammino di risveglio. Sono fermamente convinta che il nome di una persona non possa essere scelto da qualcun altro, ma debba essere guadagnato con un rito di passaggio alla giusta età. Questa cosa nella nostra cultura si è persa. I nostri nomi sono tutti uguali e contribuiscono al nostro livellamento culturale ed emozionale. Nelle culture native il nome veniva dato dalla sciamana in base ai presagi ricevuti. I nomi erano tutti diversi. Devana è il nome che ho ricevuto dopo un'iniziazione. Sono, inoltre, convinta che il cognome, che sia quello del marito o del padre o della “madre” (che comunque è quello di suo padre), riporti sempre a una situazione patriarcale, in cui le donne continuano ad essere sottilmente riconosciute come proprietà degli uomini. Le donne devono rivendicare la propria matrilinearità, ossia il nome (e non il cognome) della loro madre: io sono Devana, figlia di Liliana figlia di Adele. Non ho “cognome”.
Cosa accomuna le sciamane e gli sciamani che ha incontrato nei Suoi numerosi viaggi in giro per il mondo?
La rettitudine, l’onore, la fusione col tutto. Nelle culture native non esiste una parola che si possa tradurre con Dio: esiste la parola ENERGIA. Non esiste una parola che si possa tradurre con il termine preghiera: esiste il termine NEGOZIAZIONE. Quando si chiede qualcosa agli spiriti, prima di tutto bisogna fare offerte e prendersi un impegno. Se questo impegno viene tradito, la comunità si ammala. È ciò che nella nostra società viene mal tradotto come tabù.
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Quando ha deciso di dedicarsi alla ricerca attiva dei simboli della spiritualità femminile, viaggiando nei siti sacri di tutto il mondo alla ricerca delle origini dell'umanità e dell'antica conoscenza legata alle popolazioni native?
La mia ricerca è iniziata quando avevo circa 14 anni, leggendo i primi libri sul Graal. Ancora non sapevo cosa mi muovesse, ma la chiamata ad approfondire e studiare è sempre stata forte. Nei miei viaggi per scoprire le radici del megalitismo, ogni volta trovavo anche altre verità e momenti di risveglio che mi portavano a ricordare le mie memorie di sciamana. Ma il momento effettivo in cui sono diventata consapevole dell’esistenza delle culture matrifocali è stato a cavallo del mio 50° compleanno, quando una sciamana germanica, accompagnandomi nel transito verso la seconda parte della mia attuale incarnazione, mi ha parlato di Marija Gimbutas e dei suoi studi. Da quel momento la mia ricerca ha preso un’altra strada, sebbene abbia continuato a visitare siti megalitici, come il villaggio matrifocale neolitico di Skara Brae, nelle isole Orcadi, o il cerchio megalitico di Karahunj, in Armenia, dedicato alla Dea Avvoltoio. Per me i templi megalitici rimangono la base di partenza per il risveglio delle memorie, ma anche i luoghi incontaminati della natura. Tutto mi riporta alla Madre.
Quali sono le scoperte archeo-misteriche effettuate nei molteplici siti sacri che ha visitato, che più L'hanno emozionata?
Il più emozionante è stato sicuramente l’ahu di Rapa Nui, ovvero un altare megalitico sull’isola di Pasqua, in cui l’incastro delle pietre è identico alle architetture di Macchu Picchu o a quelle del tempio a valle della Sfinge, in Egitto. E’ stata la prova, senza ombra di dubbio, che in origine vi fu un’unica cultura mondiale in grado di costruire tali meravigliose opere architettoniche, simili in tutto il globo.
Spesso ha parlato della grande forza energetica che si sprigiona dagli antichi monumenti megalitici. In quali occasioni ha avvertito queste vibrazioni? Cosa L'ha spinta a scrivere resoconti di viaggio in cui racconta di queste scoperte?
I megaliti conservano le memorie dell’evoluzione dell’umanità e non possono essere distrutti da catastrofi geologiche. I templi megalitici sono piazzati in punti del pianeta che costituiscono la controparte terrestre di porzioni stellari; servono a permettere a chi prega in quei luoghi il collegamento multidimensionale. Le vibrazioni si avvertono ovunque ci siano megaliti, anche solo un menhir piazzato in mezzo a un campo. Sono eretti su punti geodetici che di per sé hanno particolari vibrazioni. Al mio ritorno a casa mi si risvegliano le memorie e sono “obbligata” ad accendere il computer e a trasferire in un file ciò che ho sperimentato o intuito e a scaricarlo, poi, sul mio sito. E’ il motivo stesso della mia attuale incarnazione. Solo se faccio questo onoro la vita che vivo in questo corpo.
Ci racconta qualcosa del Suo entusiasmante percorso sulle tracce della spiritualità femminile, gelosamente custodita nei luoghi di culto preistorici?
Ho cercato di vedere di persona e di “percepire” i siti archeologici legati alle culture matrifocali: Skara Brae, nelle Orcadi, i cosiddetti “palazzi” e le caverne sacre di Creta, Metsamor, in Armenia, e i musei di Piatra Neamt, in Romania dove sono conservati meravigliosi reperti della civiltà Cucuteni, una delle più antiche culture native matrifocali europee. Connettermi ai siti e ai reperti mi aiuta a risvegliare le memorie. E’ come tornare in quell’epoca. I forni, in particolare, mi hanno fatto vibrare in profondità: in quei forni le donne, che erano le sacerdotesse delle loro stesse case, cuocevano il pane in modo rituale, ricreando il Sacro Utero della Dea e la nascita del Figlio.
Cos'era, secondo Lei, il culto della Dea?
Io intendo la Dea come la Vita infinita auto fecondante e auto rigenerante, l’Essere primevo unitario prima della scissione duale in femmina e maschio. La Dea è la comprensione di appartenere a un unico grande corpo sacro, del quale siamo cellule, un corpo sacro che va onorato e rispettato affinché le comunità siano sane e garantiscano il benessere dei singoli. Naturalmente viene spontaneo pensare alla Dea come a un essere femminile che partorisce l’umanità. Di fatto, però, si tratta di una androgine, ossia che si feconda da sé per partenogenesi.
Dalle Sue ricerche emerge che nel passato il ruolo della donna era ben diverso da quello attuale. Che ruolo ricopriva la donna quando vigeva il culto della Dea?
In realtà non emerge dalle mie ricerche: io sto solo dando un minuscolo contributo, ma le meravigliose donne che hanno scritto i testi a cui mi riferisco sono in primis Marija Gimbutas, a seguire Heide Goettner-Abendroth, Riane Eisler, Anne Baring e Jules Cashford. E’ giusto tributare loro un omaggio enorme. La donna nelle culture matrifocali era la sacerdotessa della sua casa. Le anziane guidavano le comunità, le madri erano preposte alla creazione di corpi per ospitare le anime del clan. Ogni azione quotidiana era considerata sacra. Non vi erano templi né gerarchie. Le anziane guidavano come le madri di famiglia: col buonsenso, non con l’esercizio del potere. Gli uomini erano i custodi del benessere delle donne, poiché solo una comunità dove le donne erano felici e appagate poteva essere una comunità sana. Naturalmente vigeva la massima libertà. Tutto veniva condiviso dalle madri del clan secondo le necessità di ogni membro. Non esistendo la proprietà, non esisteva il matrimonio né la paranoia della successione al figlio maschio, che si è poi sviluppata con il patriarcato. I beni del clan passavano dalle madri alle figlie minori, ma solo per conservarli e distribuirli, non per accumularli o possederli.
Come siamo arrivati alla società attuale, in cui il maschile ed il maschilismo regnano sovrani, fomentando divisione e violenza?
Secondo le studiose a cui mi riferisco, le invasioni dei popoli guerrieri dalla Mongolia e dal Caucaso, da collocarsi tra il 5000 e il 3000 a.C. portarono distruzione e cultura della violenza, oltre alla sottomissione delle donne, laddove prima si era vissuti in pace e armonia per decine di migliaia di anni. Quella cultura patriarcale, dove il guerriero che da' la morte ha più valore della madre che da' la vita, è la stessa nella quale ci muoviamo oggi e da cui le donne che si risvegliano sono decise ad uscire.
Nel 2013 ha ideato il Cerchio Planetario delle Donne, relativamente al quale nel 2014 ha pubblicato il libro "Sciamane. Storie di canti e risvegli di anziane sedute in cerchio", scritto con Susanna Garavaglia, scrittrice, naturopata e counselor. Cos'è e come si svolge il Cerchio Planetario delle Donne?
Il Cerchio Planetario delle Donne è nato da una visione che avevo avuto diversi anni prima, costituita da un gruppo di donne sedute in cerchio, assorte nella condivisione delle loro storie, e dall’esigenza di creare un censimento, cosa che è stata fatta attraverso il nostro sito womenplanetarycircle.altervista.org. L’idea era di uscire allo scoperto e far sapere al mondo quante donne di conoscenza esistono. Di questo cerchio ora sono la guardiana. Il cerchio si riunisce due volte l’anno: c'è un incontro nazionale, alla fine di gennaio, in Italia, e uno internazionale, in autunno, in un luogo sacro dell’Antica Europa. La Dea mi suggerisce il luogo e le date, io redigo il programma e lo pubblico. Stiamo insieme per 36 ore, condividendo le nostre storie in cerchio, celebrando, cucinando, mangiando e dormendo. Facciamo esperienza concreta di come dovevano essere le comunità matrifocali neolitiche.
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Negli ultimi tempi sempre più donne si riuniscono in cerchio. A cosa pensa sia dovuto questo lento e progressivo risveglio della spiritualità femminile?
Credo sia previsto nel programma dell’umanità questo momento di risveglio, questo ritorno palingenetico al culto della Madre. Il fatto che in ogni parte del mondo le donne si sentano chiamate a sedere in cerchio, tutte con la stessa modalità, dimostra che stiamo rispondendo a una chiamata e questa è l’unica vera forma di globalizzazione creativa.
Ha ribadito più volte la necessità di risacralizzare ogni gesto della nostra vita quotidiana. In che modo possiamo fare ciò? Come possiamo ristabilire una connessione con la nostra Madre Terra, cercando di sentirci una sola cosa con le sue bellezze e vivendo in comunione con tutte le sue creature?
Possiamo attuare ciò, trasformando in riti i gesti quotidiani: caricando con frasi positive e gratitudine l’acqua con cui ci si lava la faccia al mattino, ringraziando per il cibo prima di cucinare e prima di mangiare, accudendo la propria casa come un luogo sacro, considerando tutti gli esseri da una prospettiva di compassione, come le madri guardano i propri figli, rivolgendoci alla Dea per avere chiarezza e sostegno spirituale, se ne abbiamo bisogno, camminando nella natura come in un luogo sacro, facendo piccole offerte all’acqua per ringraziare la Dea dei suoi doni.
Lei si è occupata anche di temi inerenti l'agricoltura biologica. Al fine di ristabilire una connessione con la natura, quanto è importante riscoprire e valorizzare i metodi di coltivazione biologici e rifiutare tutti quei cibi velenosi che l'industria alimentare e la pubblicità mettono continuamente sotto i nostri occhi?
E’ per me evidente che un cammino di risveglio dove si onora la Creazione non può prescindere da un'alimentazione non violenta. Posso meditare, pregare e fare riti quanto voglio, ma se ciò che metto nel piatto è ottenuto mancando di rispetto al pianeta e ai suoi abitanti, inquinando e sfruttando i popoli più deboli, il mio risveglio è solo una rumorosa illusione. La coerenza prima di tutto. L’alimentazione biologica, almeno nelle intenzioni (le mie sicuramente), sostiene il pianeta. Mangio biologico da quando ero studentessa universitaria. La mia tesi era sulla Valutazione di Impatto Ambientale. Credo ancora nel bio, a dispetto di tutte le critiche che vengono mosse al settore. Per me basta comparare il sapore di una carota biologica con quello di una convenzionale per sentire la differenza.
Tra i Suoi numerosi libri, ce ne sono cinque che costituiscono la cosiddetta "Pentalogia dell'Immortalità". Quali temi vengono affrontati in questi lavori? In che modo possiamo raggiungere l'immortalità?
E’ difficile rispondere in poche righe. La pentalogia dell’immortalità ha richiesto 10 anni della mia vita e ancora sono in ricerca, perché la mia idea di immortalità ogni tanto evolve. Al momento attuale posso dire che la coscienza di essere fatti di energia, a cui le nostre credenze danno forma, mi rende difficile credere alla morte. L’energia non muore, può solo trasformarsi, trasferirsi, sublimarsi. Con riferimento alla cultura della Dea, posso dire che in essa il concetto di morte è assente: la Dea è triplice – Fanciulla, Madre e Anziana – e in questo terzo aspetto è preposta alla rigenerazione. La Vita entra in questa dimensione attraverso la porta dell’est e ne esce da quella dell’ovest: ciò che si chiama morte è la fase in cui comincia il viaggio verso il nord mistico, negli Inframundi, dove non occorre un corpo denso, ma da cui si ritorna, quando si chiude il cerchio a est con un nuovo corpo pronto ad ospitarci.
Recentemente ha pubblicato i "Racconti del Risveglio per le Bambine e le loro Mamme", che sono stati tradotti anche in spagnolo e francese. Quale messaggio si augura possa arrivare alle mamme e alle bambine che leggeranno questo lavoro?
A febbraio 2016 ho avuto un'intuizione che mi ha aperto gli occhi su come il patriarcato mantenga il dominio in questa dimensione. Innanzitutto i nostri cognomi, che ci impongono di riconoscere solo la nostra discendenza maschile, riconfermano in modo sottile il concetto di essere proprietà degli uomini. La scoperta che le fiabe di infanzia addestrano le bambine al conflitto e alla paura delle donne, a causa delle perfide streghe matrigne e sorellastre. Il conflitto tra donne ha sostituito il mutuo sostegno. Così ho deciso di riscriverle, eliminando queste figure femminili negative e restituendo a streghe e matrigne il loro ruolo di sciamane, educatrici e madri amorevoli. Il messaggio è quello di tornare a cooperare e a fidarsi delle nostre sorelle. Siamo tutte sacre Figlie della Dea. Le fiabe sono scaricabili gratuitamente dal mio sito, anche in spagnolo e in francese e in attesa delle versioni tedesca, ungherese, rumena e brasiliana: tutto lavoro gratuito delle sorelle del Cerchio Planetario delle Donne, Women Planetary Circle.
Così io, Devana, figlia di Liliana, ho parlato!
www.devanavision.it
pagina fb: Devana Sciamana
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