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giovedì, 16 aprile 2020 23:10 |
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Rosanna Raffaelli Ghedina
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Francesca Bianchi
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FtNews
ha intervistatoRosanna Raffaelli Ghedina, giornalista, scrittrice e operatrice culturale. Nativa di Bolzano e cortinese d'adozione, nel 2016 ha pubblicato un interessante libro dal titolo Leggende ladine delle Dolomiti – Lejendes de ra Dolomites (Michael Edizioni), scritto per trasmettere il valore della memoria, del raccontare e penetrare la magia della montagna con i suoi simboli, i suoi archetipi, i suoi miti. E proprio alla ricerca nell’ambito del folclore e delle tradizioni popolari delle Dolomiti la giornalista ha voluto dedicare questa nostra bella intervista, in cui ha affrontato con dovizia di particolari il tema relativo al sostrato storico-culturale da cui hanno origine la mitologia dolomitica e le numerose saghe relative alle terre montane.
Un discorso particolare è dedicato a una delle più belle saghe dolomitiche, ovvero la leggenda dei Fanes, una popolazione semi-leggendaria che ha abitato l’alpe di Fanes. La scrittrice ha spiegato che i Fanes avevano un'organizzazione sociale in cui il potere era affidato alla donna più anziana della comunità. Questo discorso le ha consentito di fare un breve riferimento al matriarcato di montagna ed esaminare dettagliatamente, con precisi riferimenti a Jung, la questione relativa al culto della Grande Dea Madre nella Terra delle Montagne. Rosanna Raffaelli Ghedina ha raccontato la storia di alcune figure femminili protagoniste delle leggende ladine, forse antico retaggio del culto dell’antica Dea nel suo aspetto di Signora delle Dolomiti: Dolasilla, Moltina, Lujanta, Samblana, l’Anguana Conturina, Merisana, Albolina, Soreghina, le Salvarie. Si è soffermata con ricchezza di dettagli su S. Maria Maddalena, emblema del femminino sacro, figura a cui in passato ha dedicato ben tre saggi editi da Edizioni Segno. La giornalista ha affermato che nelle vallate delle Dolomiti si trovano molte chiesette dedicate al culto della Santa più nota della cristianità, disquisendo anche dell'atteggiamento assunto dalla religione cristiana nei confronti di culti, riti, credenze e tradizioni pagane della Terra delle Montagne. Nel corso della nostra intensa intervista, la scrittrice ha fatto riferimento anche al processo per stregoneria che nel Medioevo nove donne subirono a Fiè, vicino a Siusi, luogo che secondo la tradizione era popolato da streghe e diavoli.
Nella fantasia popolare la montagna è soprattutto il regno di divinità, fate, streghe, animali magici, gnomi, folletti, demoni, ondine, spiriti delle acque che vivono in simbiosi con la natura. Questo mondo misterioso è confluito all'interno di leggende e tradizioni, miti, simboli e archetipi che rivelano il nostro io più profondo, le nostre paure davanti all'ignoto e al mistero, la nostra spiritualità.
Rievocando leggende che si perdono nella notte dei tempi, Rosanna Raffaelli Ghedina ci accompagna in un avventuroso ed entusiasmante viaggio nelle Terre Alte, con il preciso intento di restituire alla Montagna il suo grande valore come luogo dell’anima, àncora di salvezza per l’uomo di oggi, che nella profondità del silenzio di vette e ghiacciai può ritrovare la sua anima e afferrare il senso della Bellezza e del mistero insondabile che avvolge da sempre la vita degli uomini.
Sig.ra Raffaelli Ghedina, quando è nato in lei l'interesse per la ricerca nell'ambito del folclore e delle tradizioni popolari delle Dolomiti?
Le leggende in genere mi sono sempre piaciute e hanno spesso attirato la mia attenzione e curiosità. Conoscendo un Paese e la sua cultura, sono sempre andata a leggere o cercare una fiaba del posto, perché lì c’è sicuramente una chiave di lettura della magia di un territorio. Inoltre, ho sempre letto ai miei bimbi le fiabe; è molto importante. Vede, le fiabe sono come i sogni. Non fanno altro che mostrarci le semplici verità della vita e della condizione umana, che altrimenti ignoriamo perché ci tornano scomode o pedanti, quando senza la fantasia. L’educazione dei bambini abituati alla lettura o all’ascolto della fiaba, o comunque al mondo fantastico, è molto più ricca e formativa, perché uno dei compiti delle favole è insegnarci qualcosa. Il loro scopo principale è quello di tutta la filosofia morale realistica: mostrare il mondo dell’esperienza, della storia e delle relazioni tra persone. Senza discorsi moralistici noiosi o principi ideologici astratti, infatti, la favola o la leggenda svelano la verità intuitivamente evidente, che è subito percepita e accettata. In più, il fantastico fa sognare e diverte. Guai a privare l’infanzia di questa letteratura! Dalle favole di Fedro, Esopo e La Fontaine, oggi con successo piccoli e grandi amano Star Wars. Infatti il fantastico, che è l’ingrediente principale delle leggende e delle favole, è essenziale per tutte le età, non solo perché offre un’evasione dalla realtà per rifugiarsi nella fantasia, ma soprattutto perché offre lo spunto per volgere lo sguardo verso cose grandi, verso noi stessi e la nostra anima che è assetata di Bellezza, verso le stelle, cercando i segni del nostro destino e della nostra identità. Questa letteratura fantastica e dell’immaginario con i suoi miti, i simboli, le leggende e le tradizioni ci rivela noi stessi. Vorrei aggiungere ancora che l’importanza di leggere leggende e fiabe è nutrire il “bambino” interiore che ognuno porta con sé. Esserne consapevoli è una ricchezza in più che aiuta e gratifica.
Per la stesura del libro Leggende ladine delle Dolomiti – Lejendes de ra Dolomites avrà senz'altro attinto a fonti della cultura popolare tedesca, ladina e italiana del Sud Tirolo, raccogliendo miti, fiabe e racconti epici. Cosa accomuna questi diversi filoni? Quali sono le peculiarità delle singole tradizioni?
Ho scelto di raccogliere e riscrivere le leggende del mio territorio, cioè delle Dolomiti ladine, proprio per offrire una ricchezza di memoria, tradizioni e storia. Avevo notato che mancava un libro di questo genere e che parecchie leggende erano andate perse, dimenticate e altre trascritte senza un senso. Ho scelto la formula della “leggenda” perché è un racconto che si riferisce a fatti e luoghi veri o verosimili con la presenza dello straordinario. Il mio intento, infatti, è dare il valore della memoria, del raccontare e penetrare la magia della montagna con i suoi simboli, i suoi archetipi, i suoi miti. Ho volutamente tralasciato la parte epica, che per eccellenza è stata splendidamente trattata dallo scrittore Karl Felix Wolff nella sua trilogia "I monti pallidi", "L’anima delle Dolomiti" e "Rododendri bianchi delle Dolomiti", oltre al famoso "Il Regno dei Fanes". Con la mia raccolta di leggende riscritte o raccolte ho voluto restituire alla Montagna il suo grande valore come luogo dell’anima, come salvezza per l’uomo moderno, in quanto la città e la società d’oggi hanno perso il senso della Bellezza e dei suoi archetipi, come il silenzio, la generosità, il rigore, la durezza, la semplicità, il sacrificio, la grandezza d’animo e l’elevazione di cuore e mente. In pratica, tutte quelle sensazioni e valori tipici della cultura di montagna che dobbiamo fare nostri. I tre filoni sono accomunati proprio da questi archetipi e da questi valori comuni tipici della tradizione e della montagna, con peculiarità diverse a seconda delle vallate, delle tradizioni e della parlata che ne hanno formato la cultura.
Qual è il sostrato storico-culturale da cui hanno origine la mitologia dolomitica e le numerose saghe relative alle terre montane?
A mio modesto parere credo che l’origine venga proprio dalla magia e dal mistero della montagna. Quando la montagna era inaccessibile e sconosciuta, attorno ad essa, alla sua vita e ai fenomeni vi era molto più mistero, oscurità e incomprensione dei fenomeni meteorologici che la interessavano. Attorno a questi si è intrecciata una rete di interessi, racconti e miti legati al territorio, alle sue peculiarità, una rete che si è sviluppata col crescere della scoperta e della conoscenza della montagna. Nasce, così, dal racconto verbale prima, e dal cantastorie poi, un’attenzione che suscita nuove versioni di antiche narrazioni, che vanno a formare un fenomeno letterario interessante e sorprendente con al centro il Mito e l’Epica. Nel corso dell’ultimo secolo abbiamo assistito al ritorno di questo interessante fenomeno di narrativa nel genere chiamato fantasy, che non ha interessato solo la carta, ma anche il grande schermo. Spazio, quindi, alla fantasia e al sogno con grandi scrittori anglosassoni e tedeschi che hanno proposto, nei loro racconti leggendari, storie ricche di molti significati dai valori profondi e arcaici, che questa volta, invece, si legano a miti ed epiche dell’Europa.
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La Gusela, la Tofana di Rozes e la Tofana di Mezzo dal Passo Giau (foto di Roberto Ghedina)
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La leggenda dei Fanes, una popolazione semi-leggendaria che ha abitato l'alpe di Fanes, è considerata una delle più belle leggende dolomitiche. Si tratta di un racconto infarcito di sovrapposizioni storiche o è soltanto un racconto leggendario?
Sicuramente è una delle leggende più belle e complesse che i ladini si sono tramandati oralmente per generazioni. È una saga paragonabile ai grandi cicli europei, come quello relativo a re Artù o il ciclo dei Nibelunghi. È stata analizzata con ricerche archeologiche, storiche e geologiche e sono stati intravisti dei riferimenti al quadro culturale dell’epoca tra l’età del Bronzo e quella del Ferro. Fanes è un luogo meraviglioso situato tra la Val Badia e Cortina, particolarmente affascinante anche dal punto di vista geologico. Questa leggenda è comunque ritenuta il luogo della fantasia, del mito, del Sacro, dell’avventura. Il Regno dei Fanes è per antonomasia il mistero della Montagna.
In quelle zone è molto forte la tradizione del matriarcato di montagna. Dei Fanes si dice proprio che fossero organizzati in un regime sociale di stampo matriarcale. Secondo lei, è esistito un matriarcato di montagna? Abbiamo attestazioni del culto della Grande Madre Dea nella Terra delle Montagne?
Le leggende hanno un’origine antichissima e si sono arricchite di un bagaglio culturale legato al periodo precedente l'arrivo del cristianesimo in queste vallate, per cui c’è davvero questo ingrediente del matriarcato e comporta la figura della donna forte, decisionista, che ha un potere in casa o nell’azienda, e porta alla cintura il mazzo delle chiavi. Il culto della Grande Madre (o Grande Dea, o Dea Madre) risale al Neolitico, e forse più. Figure di divinità femminili sono state trovate in tutta Europa. La Grande Madre ha assunto personificazioni distinte che corrispondono ad altrettanti archetipi, ad esempio Afrodite (l'amore sensuale), Venere, Demetra, Cerere (la fertilità dei campi), Diana (la caccia). La Grande Madre rappresenta il femminile, la morte e la rinascita nel ciclo naturale delle messi. Nella psicologia di Jung la Grande Madre è una delle potenze numinose dell’inconscio, un archetipo di grande potenza ambivalente: distruttrice e salvatrice, nutrice e divoratrice. Il matriarcato nella leggenda dei Fanes è una forma di organizzazione sociale nella quale il potere è affidato alla donna più anziana o alla cosiddetta “regina” di una certa comunità. Il matriarcato si esprime in diverse esplicazioni: la matrilinearità, quando il potere è della regina e si trasmette per linea femminile, cioè di madre in figlia, e matrilocalità, quando il marito va ad abitare nella casa della moglie.
Dolasilla, Moltina, Lujanta, Samblana e l’Anguana dei laghi montani sono alcune figure femminili protagoniste delle leggende ladine. Possono essere un antico retaggio del culto dell’antica Dea nel suo aspetto di Signora delle Dolomiti?
Il femminile che rappresentano queste e altre protagoniste delle leggende ha una valenza molto importante. È l’archetipo della Bellezza, della dolcezza, tenerezza, che la vita fra le crode nella sua durezza reclama, ma anche del potere magico del trasformismo, perché è solo il femminile che sa accogliere, trasformare, per poi rigenerare: insomma, la magia della vita. Tra le protagoniste femminili delle Dolomiti c’è Dolasilla, la principessa arciera, eroina di mille battaglie, artefice delle fortune militari dei Fanes, che ha in sé i migliori attributi della femmina e del maschio guerriero. Conturina è trasformata in pietra dalla matrigna (archetipo del bene e del male), Merisana, in ladino Merijana, è figlia del “re dei raggi” (Meridiana). Albolina vede sorgere dall’acqua esili figure femminili vestite di bianco, è uno spirito dei monti e delle acque. Soreghina, la figlia del sole ("sora l’ega", ovvero 'sopra l’acqua'), che rinvigorisce a mezzogiorno e muore se rimane desta allo scoccare della mezzanotte, è l’archetipo del momento magico del risveglio del giorno.
Lujanta e Dolasilla sono le gemelle del re dei Fanes; la prima, scomparsa il mattino dopo, viene sostituita da una marmotta. Il mistero si dipana nel mito dei gemelli, spesso intesi uno umano e uno divino. Moltina è la bambina orfana cresciuta da un’anguana, vive in mezzo alle marmotte, apprendendone linguaggio e usanze, fino a saper trasformarsi in una di loro. I Silvani sono i pagani antichi cacciati nei boschi dagli antenati perché non hanno voluto cristianizzarsi e si sono ritirati su per le crode. Le Salvarie o “donne selvatiche” sono le donne dei Salvani o uomini selvatici, categoria folcloristica diffusa in tutta Europa. Le mitiche Anguàne sono favolose creature di razza celtica già presenti nelle antiche storie delle Dolomiti tra l’era pagana e quella cristiana. Vivono anch’esse nel macroclima montano, specie nei siti dolomitici con presenza di laghi, e nel loro gruppo ci sono fatine, genietti, ninfe acquatiche. I loro poteri sono simili a quelli delle streghe, a seconda della località dove sono insediate. Nelle favole ladine sono spiriti elementali benevoli con forme femminili leggiadre (snelle, occhi turchini, alta statura, capelli corvini), che dimoravano nei siti ladini d’Ampezzo e nel Cadore sin dai primissimi abitanti delle Alpi Euganee e delle Prealpi. Avevano, però, piedi caprini, a forma di zoccolo, col collo alto, per poter scarpinare sulle crode impervie rocciose, dove si erano ritirate a vivere indisturbate.
Altri personaggi delle leggende ladine?
Sono il nascosto popolo degli spiriti elementali (citati da Jung, ma anche anticamente da Paracelso). Questo popolo ha due nature, una umana, spessa, palpabile, sensibile e mortale, e l’altra spirituale, cioè impercettibile, eterna. C’è una natura intermedia, partecipe delle due, assottigliata fino all’invisibile che collega questi esserini alla creazione divina. E’una grande presenza silenziosa della natura: spiriti delle acque, cascate, stagni e torrenti. Spiriti curiosi e benevoli, a volte burloni o dispettosi, che vivono in simbiosi con la natura e vanno a creare le nostre suggestioni e i nostri sentimenti. Tutte le antiche tradizioni popolari sono popolate da questi esseri invisibili, di materia sottile, che noi conosciamo come elfi, fate, gnomi, folletti, ondine, anguane. Un popolo minuto, che lo vede chi lo vuol vedere e sentire, che, seppur eterico, vive nell’ambito dei quattro elementi: Fuoco, Terra, Aria e Acqua. Corrispondono, simbolicamente e archetipicamente, al piano Fisico (la Terra), all’Emozionale (l’Acqua), al Mentale (l’Aria) e all’Energetico e Spirituale (il Fuoco). Qui sta la grande valenza significativa dei simboli e degli archetipi delle leggende, con il loro linguaggio di saggezza popolare mescolato ai miti e ai valori della vita.
Che ruolo hanno nel contesto delle leggende i miti e gli archetipi?
Un ruolo prezioso, grazie al quale la letteratura fantastica è la prima a comparire in ogni cultura ed è essenziale, perché consente di esprimere le emozioni anche negative e affrontare anche gli argomenti che sono tabù. Il mito è anche un mezzo per esorcizzare l’atavica paura delle cime, delle guglie erte e impervie site a strapiombo nel vuoto, ma è anche prova dell’intimo rapporto tra l’uomo, gli animali e la montagna nella vita dei montanari. I miti e i simboli, le leggende e le tradizioni ci rivelano noi stessi, perché nella letteratura dell’immaginario ci può essere lo specchio dei gusti, degli umori, dei dubbi, delle paure, delle esigenze e delle domande più profonde. L’esperienza quotidiana, se nutrita dai simboli che la provocano e la animano, è esperienza spirituale e acquisisce un valore profondo. Il linguaggio del simbolo trasfigura la realtà ed è capace di mantenere intatta la sua intensità nel tempo.
Si dice che a Bolzano, sua città natale, fosse diffuso il culto di Mitra. Come si passò da questo culto al Cristianesimo?
Il culto di Mithra ha origini molto antiche (risale circa al 1400 a.C.) nelle terre indo-persiane, da dove si diffuse nell’Impero Romano con riti che saranno poi assorbiti dal cristianesimo. A venerarlo furono intere legioni di soldati, ai quali si prometteva la vita eterna. La cosa stranissima del notevole successo di questo culto è la sua grande somiglianza con il cristianesimo: un dio che nasce da una vergine in una grotta, muore a 33 anni, ascende in cielo per risorgere a vita eterna e… tante altre similitudini come battesimo, comunione, stretta di mano e altro. È risaputo che fin dal passaggio delle Alpi di Annibale, soldati, romani e non, iniziarono a fermarsi nelle Alpi e nelle zone dell’Alto Adige. Si dice che solo nel terzo secolo d.C. il cristianesimo ebbe la meglio sull’altro culto che pian piano scomparve.
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Cadini di Misurina (foto di Roberto Ghedina)
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Le credenze e le leggende popolari hanno operato diverse trasformazioni su alcuni santi del calendario. Quali sono i santi più venerati nella Terra delle Montagne? A quali figure del paganesimo rimandano?
Per quel che ne so, sono solo figure recenti. Ho registrato che ci sono tante chiesette sparse nelle vallate dedicate a S. Maria Maddalena, che è la più grande santa della chiesa nascente e contemporanea di Gesù. Anche alle porte di Bolzano c’è una località, una collina soleggiata coltivata a vite, che produce un famoso vino prelibato e squisito che si chiama come la località, ovvero Santa Maddalena. Sicuramente sarà perché è la santa più famosa e grande della cristianità e di tutti i tempi, tanto più, molto conosciuta per i primi dieci secoli.
Fino ad oggi è la santa più presente nell’arte figurativa di tutti i secoli, la più presente nella letteratura romanzata e intorno alla quale si sono intrecciate storie e leggende legate al Santo Graal. In realtà, mai nella storia dell’umanità c’è stata una santa più celebre di lei. Gesù ha detto alla Beata Battista Camilla da Varano (1458) che S.M. Maddalena è la più grande mistica della Chiesa di ieri, di oggi e di domani. L’unica chiamata dai Padri della Chiesa l’"apostola degli apostoli" e considerata da sempre, dopo la Vergine, la madre spirituale della Chiesa (S. Giovanni Crisostomo). La sua fama e valenza come santa derivano dal fatto che è stata la prediletta dal Redentore: la peccatrice convertita e redenta, divenuta tutta “amore” e dono di sé, perché ha saputo spogliarsi di tutto ciò che non fosse amore, fino al punto di essere solo amore che si consuma per il suo Dio. Nel disegno divino rappresenta, quindi, il femminile per eccellenza; la sua figura e il suo esempio nella chiesa, oltre a riscattare l’importanza della donna che era sottomessa, senza diritti e importanza sociale, diventano l’archetipo di questi valori nel percorso della teologia della Misericordia (penitenza e riconciliazione), utili anche per realizzare in noi l’eterno femminino, essenziale per poter amare, perdonare e credere.
Che atteggiamento ha assunto la religione cristiana nei confronti dei culti, dei riti e delle tradizioni pagane, soprattutto celtiche, della Terra delle Montagne? In che maniera il Cristianesimo ha riletto le figure delle antiche tradizioni pagane, appropriandosi di credenze profondamente radicate nel popolo? Quanto alle streghe, invece, sappiamo che la loro presenza è molto forte soprattutto sull’Alpe di Siusi. Cosa unisce le sante e i santi alle streghe?
Lo Sciliar, dove c’è l’Alpe di Siusi sopra Bolzano, è un suggestivo massiccio montuoso, importante simbolo della Montagna altoatesina e del suo Parco naturale, ricca di simboli, miti e leggende, la cui magia aleggia da antichi secoli. Si narra di strani spiriti; secondo la tradizione questo luogo era abitato da diavoli e streghe, i cui racconti sussistono e a tutt’oggi rivivono nelle mascherate del carnevale, fino in Pusteria. A Fiè, vicino a Siusi, esiste un famoso “trono delle streghe”, attrattiva ancora suggestiva da vedere, dove le streghe si radunavano per scatenare forti temporali sulle vallate. Fra le streghe, oltre a quelle “malefiche” che appaiono nella leggenda di Re Laurino, c’era pure la strega “buona”, chiamata “Marta”. Chissà se avesse connessioni con la Santa Marta che conosciamo come sorella di Santa M. Maddalena. Nel Medioevo, proprio nella zona di Fiè, furono processate e uccise nove donne per stregoneria. Si sa che la caccia alle streghe fece una strage di innocenti, in quanto c’erano donne levatrici che già praticavano parti cesarei o altre cure, salvando madri e figlioli: erano cure e pratiche non ancora conosciute dalla medicina ufficiale e che oggi sono conosciute e praticate. Solo perché erano pratiche non conosciute dai medici di allora, queste donne venivano accusate di stregoneria, anche se salvavano la gente. In altre zone sono stati trovati dei massi a forma di panca, conosciuti nella fantasia popolare come “panche delle Streghe”. Qui a Cortina, sulla parte bassa della parete del Faloria, c’è una parte di roccia sopra il bosco molto liscia e levigata, da sembrare un grande portone, detto e conosciuto come “la Porta del dio Silvano”, protettore dei boschi e delle selve (retaggio pagano).
In Cadore, nella zona di Auronzo, e precisamente a Tarin, il 19 marzo del 2000 Elio Vecellio Galeno scoprì alcune lamine di bronzo contenenti iscrizioni protostoriche e due dischi di bronzo che raffiguravano due divinità. I racconti antichi di quelle zone ci parlano di boschi sacri, di divinità acquatiche, di geni e folletti che abitavano grotte, anfratti cavernosi e castelli fantasticati fra le guglie a strapiombo. La montagna, infatti, con tutte le sue formazioni, è sempre stata considerata un dono divino, anche dopo l’avvento del Cristianesimo. Una bella leggenda del Genio del Torrente Boite è proprio qui a Cortina, dove era sistemato un mulino. Tante conoscenze sono state frutto di ricerche archeologiche che hanno dimostrato la veridicità di intuizioni di personaggi appassionati al territorio e alla cultura, interrogando gli anziani del luogo.
Nel 1975 ha fondato Cortina Oggi, un mensile di cultura e di vita cittadina che ha diretto per ventotto anni. Ha fondato un settimanale di carattere culturale e turistico, Cortina Vacanze Oggi, che dirige da vent’anni; ha fondato anche l’associazione culturale Cortina Terzo Millennio. Dal 1996 organizza eventi culturali, dibattiti, incontri e mostre. Ha istituito il Premio Raponzolo d’Argento al Personaggio dell’Anno, che si svolge da vent’anni. Ormai è cortinese d'adozione. Quando è nato il suo legame con Cortina? Cosa l'ha affascinata e cosa l'affascina ancora oggi della "Regina delle Dolomiti"?
Vedo che è informatissima, complimenti! Ho conosciuto mio marito nel 1968 sul Sass Pordoi, a 1950 metri, e quindi sono a Cortina dal 1969. Ero già giornalista a diciotto anni, prima di arrivare a Cortina, e il mio legame con Cortina è legato alle nozze d’oro che ho festeggiato l’anno scorso insieme ai 50 anni di giornalismo. Ho creato anche un altro importante Premio che ho portato avanti per sei anni, dal 1996 al 2002, chiamato “Protagonisti della Montagna”, con cui ho premiato i più meritevoli e conosciuti campioni o personaggi legati alla cultura di montagna nelle sue diverse espressioni sia sportive che culturali. Il Raponzolo d’Argento al personaggio dell’anno continua ed è ora alla 23° edizione. Il mio legame forte con Cortina è nato proprio con il giornalismo e con il mensile che lei ha citato, dedicato completamente alla trasparenza della notizia, e che mi ha procurato quindici processi per diffamazione attraverso stampa, intentati da amministratori a cui non è piaciuta la trasparenza. Tutti vinti, quindi sono un vanto e una medaglia di cui vado fiera, anche se sudati sotto tutti i punti di vista.
Di Cortina, che prima non conoscevo, mi ha affascinato la sua strabiliante bellezza e posizione geografica con le sue gite, i suoi percorsi, le sue montagne, la sua magia. Conoscendola, invece, mi ha intrigato la sua inadeguata gestione politica, i suoi bisogni e… mi sono messa in gioco con un giornalismo di servizio e di trasparenza senza scopo di lucro. Dal 1996 mi sono dedicata anche alla gestione culturale, organizzando eventi che tuttora porto avanti. Il mio compito, ieri e oggi, è stato soprattutto infondere nel cittadino la responsabilità di un radicato senso civico. Purtroppo, è ancora e ovunque spesso radicata nel tessuto sociale la brutta abitudine (se non “vizio”) di dare sempre la colpa agli altri di ogni cosa che non va!
Cosa si augura per il futuro di questa terra di confine?
Auguro di mantenere preziosa, e mai barattare, la propria libertà, la propria opinione e la propria cultura con le tradizioni, i modi di pensare, vestire e gesticolare… La cultura ampezzana è stata molto “tentata”, “corteggiata” e “aggredita” da una cultura e da usanze cittadine che non le appartenevano, fino a rischiare di perdersi. Questo non dovrebbe mai succedere. Non ci manca niente, se non il coraggio di dire no in certe situazioni importanti.
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