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venerdì, 20 ottobre 2023 09:18 |
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Mosaico della battaglia di Alessandro e Dario, da Pompei, Casa del Fauno. Fine del II sec. a.C. Archivio fotografico MANN. Ph Luigi Spina
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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Paolo Giulierini: al Mann continua il racconto dell'epopea di Alessandro Magno
Lunedì 9 ottobre il Mann ha ospitato la presentazione del volume Alessandro Magno, edito da Electa, con testi di Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo, che ne sono anche i curatori, e una preziosa raccolta di saggi di Stefano De Caro, Anna Trofimova, Emanuele Greco, Calogero Ivan Tornese, Paola Piacentini, Luca Attenni, Fausto Zevi, Theodoros Mavrojannis, Elena Calandra, Michaelis Lefantzìs, Laura Giuliano, Lara Anniboletti, Paolo Giulierini, Laura Forte. I testi raccolti in questo volume raccontano, da vari punti di vista, l'epopea di Alessandro Magno, a partire dalle fonti e dalla ricca iconografia che da sempre accompagna il re macedone. In questa intervista Paolo Giulierini, Direttore del Mann, ha spiegato che nel libro sono sviluppati i tanti sentieri di ricerca definiti dalla mostra Alessandro Magno e l'Oriente, allestita al Mann da maggio ad agosto 2023. Il Direttore ha posto l'attenzione sulla capacità di unire ed esplorare culture diverse con la volontà di creare un mondo ecumenico, universale, dove potessero essere esaltate le caratteristiche migliori di ogni popolo.
Direttore Giulierini, da maggio ad agosto il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, da lei diretto, ha ospitato la mostra Alessandro Magno e l’Oriente, curata da Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo. La grande esposizione, ammirata da circa 200mila visitatori, è stata dedicata alla straordinaria figura di Alessandro Magno (356 - 323 a.C.). Re, filosofo, abile stratega e guerriero, profondo conoscitore degli usi e dei costumi dei popoli e delle genti d'Europa e d'Asia. Chi è stato Alessandro Magno? Ripercorriamo pure le tappe più significative della sua straordinaria impresa, con particolare riguardo al percorso di conquista e di scoperta che ha portato in Asia la cultura ellenistica. In che modo riuscì a fondere religioni, usi, costumi diversi?
Credo che Alessandro Magno abbia avuto un ruolo cruciale: un giovane della Grecia del nord, che all'epoca era la Macedonia, considerata dagli Ateniesi come una località periferica, durante il suo straordinario viaggio vide le più grandi meraviglie del mondo, quali le Piramidi egiziane e la porta di Ishtar a Babilonia, incontrò popoli che il più delle volte erano conosciuti solo attraverso i racconti dei periegeti o dei viaggiatori. Esperienze tanto importanti sono state vissute quando Alessandro aveva poco più di 20 anni, segnando così un destino straordinario. Credo che l'eredità più importante di Alessandro Magno sia la capacità e la volontà di unire ed esplorare i mondi non con l'atteggiamento tipicamente greco di definire gli altri barbari, ma con la volontà di creare un mondo ecumenico, universale, dove potessero essere esaltate le caratteristiche migliori di ogni popolo. L'Ellenismo è un prodotto di questo suo atteggiamento di grande apertura mentale. Nella mostra abbiamo cercato di sottolineare molto questo aspetto: abbiamo esposto una cartografia che andasse dall'attuale Portogallo fino al Giappone, senza concentrarci solo sul Mediterraneo; ad esempio, i nostri libri di scuola dedicano poche pagine all'impero cinese e ai regni indiani.
Lunedì 9 ottobre al Mann è stato presentato il volume Alessandro Magno, a cura di Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo, in cui sono sviluppati i tanti sentieri di ricerca definiti dalla mostra Alessandro Magno e l'Oriente. Come è strutturato il libro?
La prima parte del volume segue più da vicino l’allestimento della mostra: si parte dalla villa di Boscoreale, che secondo Coarelli è attribuibile, per un certo periodo della sua vita, a Giulio Cesare. Gli affreschi, una parte dei quali è conservata a New York, vengono riletti, secondo l'idea di Coarelli, come un'annunciazione del destino di Alessandro Magno. Il volume, così come la mostra, parte dallo studio di questo edificio pieno di riferimenti al mondo macedone. Giulio Cesare si identificava con la dinastia che aveva conquistato un grande impero, proprio come lui si stava accingendo a fare a Roma. Un'altra parte del volume è legata all'incontro con le culture dell'India, come la celebre produzione dell'arte del Gandhāra, frutto della mescolanza di influssi greci e orientali, soprattutto dell'arte buddista. Questa sezione accoglie i contributi dei colleghi del MuCiv, il Museo delle civiltà di Roma. Incrementando le conoscenze veicolate dall’esposizione, la pubblicazione si conclude con gli articoli degli studiosi greci che si sono occupati degli scavi recenti nell'area di Verghina e Pella. Un focus ad hoc è riservato agli studi che, oggi in corso, sono dedicati al supposto tumulo di Efestione, compagno più caro di Alessandro Magno.
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Alessandro e l’Asia, da Boscoreale, Villa di P. Fannius Synistor, oecus. Metà del I sec. a.C. Archivio fotografico MANN. Ph Luigi Spina
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Nell'esposizione Alessandro Magno e l'Oriente come è stato affrontato l'aspetto relativo ai viaggi di conquista e di scoperta del sovrano macedone?
In una prima fase di elaborazione del progetto espositivo, il titolo della mostra comprendeva la parola conquista, poi abbiamo riflettuto sul fatto che le azioni belliche, in una prospettiva storica di lunga durata, non rappresentano l'elemento più importante di quella spedizione, rispetto al portato di conoscenza che essa determinò. Il distacco della prospettiva storica permette di superare la dimensione ideologica della condanna o esaltazione del passato. La mostra ha cercato di evidenziare non solo gli aspetti ideologici della conquista, ma anche e soprattutto la formazione di una nuova cultura, l'Ellenismo, nata dalla fusione degli elementi greci con quelli orientali. In mostra abbiamo raccontato anche il desiderio di conoscenza di mondi nuovi, ricordando che Alessandro portò con sé, come farà poi Napoleone, anche degli scienziati con il compito di catalogare tutto quello che di nuovo si trovava. Ad esempio, sappiamo che Teofrasto, allievo di Aristotele, concepì un'opera sulle piante del mondo antico e integrò le sue opere con queste informazioni di prima mano provenienti dall'Oriente. Come dimenticare, infine, i confronti tra i filosofi greci e i gimnosofisti, ovvero i sapienti indiani, gli asceti e i mistici incontrati da Alessandro Magno durante la sua spedizione in India?
Ritornando alla conquista, la mostra evidenzia quanto i simboli non abbiano un valore assoluto, ma funzionale a chi li utilizza. Facciamo qualche esempio: nell'allestimento è stato evocato il palazzo di Susa, dove era stato trasportato il famoso gruppo scultoreo dei Tirannicidi all'epoca in cui i Persiani aveva conquistato Atene. Il simbolo della ritrovata libertà dei Greci diventa, a Susa, emblema della loro sconfitta da parte dei Persiani. Quando Alessandro conquista il regno dei Persiani, riporta simbolicamente le statue ad Atene: paradossalmente restituisce alla Grecia un simbolo di libertà, ma allo stesso tempo le impone il giogo macedone. Un altro esempio di propaganda: prima di partire per la sua spedizione, Alessandro visita la tomba di Achille (un tumulo che si riteneva fosse la tomba dell'eroe) per suggerire la sua identificazione con il protagonista dell'Iliade, eroe per eccellenza della Grecia. Anche la scena dello scioglimento del nodo di Gordio, che apriva le porte dell'Asia a colui che l'avesse sciolto, evidentemente era stata preparata con accuratezza: se Alessandro non fosse riuscito a sciogliere quel nodo, nel giro di pochi giorni l'avrebbero saputo in tutto il Mediterraneo, in quanto le notizie circolavano rapidamente. Tutte queste azioni preparatorie fanno sì che le tre grandi battaglie, quella del Granico, quella di Isso e quella di Gaugamela, siano tre episodi fondamentali, facenti parte di una catena di azioni preparatorie o integrative alla progressiva trasformazione di Alessandro da greco a faraone d'Egitto. L'eroe macedone andò all'oasi di Siwa per farsi riconoscere come figlio di Ammone e poi come faraone. In mostra questi aspetti li abbiamo evocati attraverso reperti simbolici: il Granico con la statuetta romana di Alessandro, proveniente da Ercolano, il cui originale greco faceva parte di un gruppo scultoreo attribuito a Lisippo, che aveva rappresentato i cavalieri che si erano sacrificati per salvarlo. Per l'Egitto abbiamo scelto la Tazza Farnese, un'opera alessandrina di età tolemaica. Per la battaglia di Gaugamela abbiamo presentato una riproduzione del grande mosaico della battaglia, dalla Casa del Fauno di Pompei. Quel mosaico è la copia romana di un grande dipinto celebrativo, forse di Apelle.
Quanto la leggenda di Alessandro ha nutrito l'immaginario collettivo?
Alessandro è un punto di riferimento fondamentale subito dopo la sua morte. Sarà sempre un esempio, in primis per i dinasti macedoni. Sarà, poi, l'ossessione di tutti i grandi condottieri romani, a cominciare da Cesare. Lo stesso Augusto volle visitare la tomba di Alessandro e vide il corpo mummificato del sovrano macedone. Traiano, colui che portò l'impero romano alla massima espansione, disse che se fosse stato più giovane avrebbe conquistato l'India come aveva fatto Alessandro. La figura di Alessandro è ben presente anche ai grandi dell'età moderna, in primis a Napoleone che, quando preparò la spedizione in Egitto, portò anche un grande esercito di scienziati, proprio come aveva fatto Alessandro Magno. Dobbiamo alla spedizione napoleonica il censimento di tutti i monumenti dell'Egitto e la decifrazione dei geroglifici stessi grazie a Champollion.
Tema centrale della grande mostra Alessandro Magno e l’Oriente è stato il restauro dello straordinario mosaico della battaglia tra Alessandro Magno e Dario di Persia (331 a.C.), capolavoro iconico del MANN e tra i più celebri dell’antichità. Cosa sappiamo di questo mosaico? Come è stato possibile riconoscere nell’affresco di Boscoreale il giovane volto di Alessandro?
Il mosaico, scoperto nel 1831 e datato tra la fine del II e l’inizio del I sec. a.C., è arrivato al MANN nel novembre del 1843 su un carro trainato da sedici buoi. Nel gennaio del 1845 le casse furono aperte e l'opera ebbe la sua prima collocazione sul pavimento di una sala al piano terra dell’ala occidentale; mentre nel 1916 fu spostato dove si trova attualmente, a parete, nella sezione mosaici, al piano ammezzato. Dietro la superficie musiva si conservano ancora gli strati di preparazione antichi, ovvero malte realizzate oltre duemila anni fa. Nel corso del tempo il mosaico è stato oggetto solo di interventi di manutenzione ordinaria, eseguiti prevalentemente dai restauratori del Museo, consistenti in riadesioni puntuali di tessere, velinatura di piccole lesioni che sono andate formandosi, altre operazioni necessarie. Lo stato conservativo è andato, tuttavia, gradualmente peggiorando, ragion per cui da circa una ventina di anni il mosaico è diventato una sorta di 'sorvegliato speciale': si sono susseguite indagini diagnostiche e proposte di intervento, finalizzate alla definizione di un restauro complessivo e non più limitato a interventi puntuali. Tali fenomeni consistono in: ampia depressione della superficie musiva nella parte centrale del mosaico, stato di generale e diffuso distacco delle tessere e della relativa malta di allettamento dagli strati preparatori sottostanti, rigonfiamenti puntuali in particolare lungo il perimetro, diffuse lesioni soprattutto in corrispondenza della citata depressione centrale. L’inaccessibilità del retro, tuttavia, non ha mai permesso di comprendere se e in che misura lo stato di conservazione delle malte originali sia connesso ai fenomeni di degrado che si rilevano sulla superficie. La scelta di intervenire anche sugli strati di preparazione che si trovano sulla parte posteriore del manufatto era pertanto improcrastinabile. Ne consegue che il ribaltamento del mosaico è una operazione propedeutica e necessaria alla esecuzione del restauro, per una conoscenza completa degli strati di sottofondo. Da qui la necessità di far progettare un macchinario che possa accogliere come una sorta di telaio il mosaico e lo ribalti di circa 45° per consentire le operazioni di analisi e, successivamente, restauro vero e proprio.
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Paolo Giulierini, Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli
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Le caratteristiche fisiognomiche del ritratto di Alessandro sul mosaico, insieme ad una serie di considerazioni di carattere iconografico, hanno guidato una nuova interpretazione del famoso ciclo di affreschi dalla villa di Fannio Sinistore a Boscoreale, scavata all'inizio del Novecento. Gli affreschi sono divisi tra diversi musei e solo in minima parte conservati qui al MANN. Alcuni arrivarono al Metropolitan Museum di New York, altri andarono a finire a Bruxelles, un terzo nucleo al Louvre e una parte fu acquisita dall'allora Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Secondo l'ipotesi di Coarelli, il copricapo che si vede nell'affresco è un riferimento ai classici copricapi macedoni, che sopravvivono ancora oggi nei copricapi dei guerriglieri afghani. Questo personaggio, che ha una sorta di volto asessuato, perché è un po' fanciulla e un po' fanciullo, tiene tra le mani una lunga lancia, una sarissa, la tipica lancia della falange macedone, che pianta con la punta su una parte rocciosa preceduta da un tratto di mare. Ciò fa pensare all'atto di guerra contro la Persia e a quando Alessandro piantò la sarissa, una volta superato l'Ellesponto, prima delle tre grandi battaglie che condusse in Asia. Secondo Coarelli, il pallore del volto e una certa posizione del collo - come riferiscono le fonti, Alessandro aveva sempre la testa un po' reclinata - fanno pensare a un Alessandro giovane che ha di fronte inginocchiata la Persia, l'Ellesponto, i regni che conquisterà, e ha alle spalle questa figura di anziano con un bastone in mano, che tradizionalmente veniva già identificato con Aristotele, il suo pedagogo. Si aggiungono, poi, i due frammenti arrivati da Bruxelles e da Parigi, riposizionati nell'ambiente nella stessa posizione in cui furono trovati, che sono stati identificati con i Cabiri, cioè le due divinità di Samotracia, dei demoni alati; le fonti ricordano come il primo amplesso tra Filippo e Olimpiade, i genitori di Alessandro, avvenne prima ancora che loro si sposassero, durante una loro iniziazione ai riti dei Cabiri di Samotracia. Infine, di fronte ai nostri affreschi, abbiamo posizionato la ricostruzione degli affreschi che ora sono al Metropolitan, in cui si vedono una donna seduta velata e un uomo in nudità eroica, forse zoppo: sono stati identificati come Olimpiade e Filippo. Il ciclo di Boscoreale, quindi, è una sorta di "cappella dell'annunciazione" del destino di Alessandro.
La mostra ha coinvolto un pubblico molto ampio...
La mostra ha avuto la finalità di intercettare l’interesse degli studiosi e dei non addetti ai lavori: abbiamo proposto, ad esempio, una sezione finale che consentisse, a ipovedenti e non vedenti, l’esplorazione tattile del Mosaico di Alessandro. Ancora, è stata allestita una sala dove i visitatori potevano annusare le spezie che, con la conquista dell'India, sono state conosciute anche in Occidente. Abbiamo proposto laboratori tematici per i bambini e, a queste attività, seguirà la pubblicazione, per i tipi di Electa, del fumetto Nico alla scoperta di Alessandro Magno, firmato da Blasco Pisapia, uno dei più apprezzati disegnatori Disney e Panini Comics.
Perché una mostra su Alessandro Magno oggi? Quali riflessioni può suscitare e cosa può insegnare agli uomini e alle donne di oggi la sua storia?
Oggi Alessandro Magno può ancora dire molto. Innanzitutto, essendo un condottiero giovane, può svelare alle nuove generazione cosa significa avere un coraggio fuori dal normale e riporre fiducia nel futuro. Un altro messaggio molto importante si rivela nella capacità di Alessandro di avere un interesse per le culture diverse dalla propria: unire e non dividere, accettare la diversità religiosa ed etnica, anche dietro un atto di conquista. Alessandro ha incarnato non solo la capacità di incuriosirsi di fronte all'ignoto, ma anche la voglia di creare mondi nuovi. Non dimentichiamo che lui stesso sposò Roxane, figlia di un satrapo di una delle ultime satrapie dell'impero persiano, per dare testimonianza di come si potessero fondere due popoli.
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