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Gabriele Gallo: ritratti alpini, racconti di un anno in montagna

venerdì, 12 febbraio 2021 16:50

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Altopiano della Gardetta, Valle Maira (foto di Gabriele Gallo)
Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato il giornalista Gabriele Gallo, autore di Ritratti alpini. Racconti di un anno in montagna (Catartica Edizioni, 2020), un libro in cui sono raccolti, in maniera romanzata, alcuni fatti di cronaca verificatisi nel territorio alpino della provincia di Cuneo tra la fine dell'Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento. L'autore, che ha all'attivo una laurea in Scienze e Cultura delle Alpi, ha scelto di suddividere il libro in dodici capitoli dedicati ognuno ai mesi dell'anno. Gallo fa rivivere la quotidianità di un tempo in borgate di montagna: una vita di fatica, sacrifici, dolore, solitudine. Come ci confida nel corso della nostra conversazione, l'attenzione si focalizza sul rapporto di amore e odio tra l'uomo e la natura. Quest'ultima era impietosa, spesso foriera di devastazione e morte. Nonostante ciò, e forse proprio in virtù di ciò, dalle storie narrateci dallo scrittore emerge un forte senso di solidarietà, condivisione e collaborazione. Non bisogna, però, attendersi il rimpianto del passato, perché di idilliaco allora non c'era nulla, come ha ribadito più volte. Dobbiamo piuttosto accogliere l'invito della saggezza montanara a rallentare, a trovare il tempo per metterci seduti attorno al fuoco e condividere storie, racconti, esperienze di vita, cercando di sollevare il nostro sguardo alla contemplazione della bellezza che ci circonda, con il cuore colmo di gratitudine.

Gabriele, lei da alcuni anni si occupa di comunicazione e promozione del territorio, con particolare riguardo all’ambiente alpino della provincia di Cuneo, cui ha dedicato diverse pubblicazioni. Quando è nato l'amore per la scrittura e per la montagna?
La scrittura e la montagna hanno sempre fatto parte della mia vita, in un primo momento anche controvoglia. Sono, infatti, figlio di un'insegnante di lettere che sin da quando ero piccolino ha cercato di sensibilizzarmi alla lettura e alla letteratura, anche se io non ne ero proprio felicissimo. Poi, durante gli anni del Liceo e dell'Università, è nato in me un grande amore per la scrittura e la lettura. Quanto, invece, alla passione per la montagna, mio padre era solito andare in montagna e spesso mi portava con sé. Anche qui, non ero molto contento: preferivo di gran lunga andare al mare con i miei amichetti. Dunque, l'approccio iniziale sia con la scrittura che con la montagna è stato quasi traumatico. Ricordo che un giorno, durante gli anni del Liceo, ebbi modo di imbattermi in qualche passo di Rigoni Stern. Queste letture mi colpirono così tanto da indurmi ad approfondire quanto leggevo. Compresi, così, che quella dimensione descritta da Rigoni Stern mi faceva stare bene. Oggi per me la montagna è vita: anche se non vado in montagna, ovunque io mi trovi, la cerco con lo sguardo.

Un grande amore, quello per la montagna, che l'ha portata a laurearsi in Scienze e Cultura delle Alpi...
Sì. Pensi che all'inizio decisi di iscrivermi alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino con indirizzo in Relazioni Internazionali. Ben presto compresi che quella non era la mia strada, non provavo affatto interesse. Decisi, allora, di cambiare Facoltà e alla fine del mio percorso mi laureai in Scienze e Cultura delle Alpi, sempre a Torino (Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari), conseguendo i Corsi di Perfezionamento in Project Management per la montagna (Livello avanzato) e in Turismo Sostenibile per la Montagna presso l’Università degli Studi di Milano, sede distaccata Unimont di Edolo (BS). Ho avuto modo di studiare climatologia, nivologia, botanica, zoologia, antropologia, linguistica, sociologia: una formazione interdisciplinare che mi ha aiutato molto nella mia attività di scrittore.
Chiesa abbandonata di Narbona di Castelmagno, Valle Grana (foto di Gabriele Gallo)
Come è nata l'idea di dare alle stampe il libro Ritratti alpini. Racconti di un anno in montagna? Perché ha deciso di suddividerlo in dodici capitoli dedicati ognuno ai mesi dell'anno? Qual è il filo conduttore di tutti i racconti?
L'idea è nata per caso. Da alcuni anni gestisco la pagina Facebook "Alpi di Cuneo", in cui ho sempre pubblicato e ancora continuo a pubblicare foto e articoli. Nel mese di novembre del 2019 di quell'anno mi capitò davanti agli occhi una foto di Ferrere di Argentera, paesino della Valle Stura abbandonato negli anni Sessanta. Incuriosito, su un portale ho fatto una piccola ricerca sul numero degli abitanti di Ferrere in quegli anni. Digitando sul motore di ricerca l'espressione "ultimo abitante di Ferrere", mi sono imbattuto in un articolo del 1967 tratto da "La Guida", il settimanale di Cuneo. Ho interiorizzato la vicenda riportata nell'articolo e ho provato a raccontarla sul portale, dove ha avuto un numero altissimo di condivisioni e commenti. Ho iniziato, così, a cercare notizie vecchie circa storie ambientate sulle nostre montagne, tutte arricchite da mie considerazioni personali, da un commento spesso romanzato. Constatando che questa mia iniziativa aveva un notevole riscontro, continuai a giocare su questo aspetto, cercando qualche episodio interessante da poter narrare. A marzo dello scorso anno, poi, è arrivato il lockdown con la reclusione forzata, così ho deciso di ingannare il tempo cercando episodi degni di nota e riproponendoli sulla pagina "Alpi di Cuneo". Poi, parlando con il responsabile di Catartica Edizioni, si è pensato di far confluire alcuni racconti in un libro, senza pretendere di realizzare un saggio antropologico. Sono rimasto colpito da molte storie, per noi testimonianza autentica di un mondo ormai completamente scomparso. Ho scelto di non parlare di cronaca nera, ma di fatti di cronaca legati al rapporto degli uomini con la natura, attimi di vita quotidiana di un tempo. Ho selezionato 60 storie. Ogni mese è rappresentato. Abbiamo provato a immaginare come potesse essere un anno sulla montagna tra la fine dell'Ottocento e il secondo dopoguerra. Ho voluto smentire la visione idilliaca e mitizzata della vita di un tempo nelle borgate di montagna. Non "si stava affatto meglio quando si stava peggio”! La realtà era ben diversa, come emerge chiaramente da queste storie. Nonostante ciò, ho deciso di non occuparmi dei fatti di cronaca nera, che di certo non mancarono. Sono storie che si concentrano, come dicevo poco fa, sul rapporto tra uomo e natura, tutte legate all’ambiente e alle sue asperità: neve, valanghe, alluvioni.

Cosa emerge da queste storie?
Nella crudezza della vita dell'epoca, emerge il forte senso di solidarietà. Del resto, la povertà estrema costringeva ad essere solidali: in momenti di difficoltà estrema, si è portati ad aiutare, perché da un momento all'altro si potrebbe aver bisogno di aiuto. Va detto anche che, il più delle volte, questo discorso era valido per gli abitanti di una stessa borgata: tra abitanti di borgate confinanti erano più frequenti sentimenti di rivalità. Questi racconti sono ricchi di saggezza montanara e di accettazione del destino: vi si legge una grande capacità di sopportare le disgrazie peggiori, perché la vita era quella, non ci si poteva ribellare. La chiesa, grazie alla sua fortissima influenza nella rete sociale, ebbe un ruolo non di poco conto in tal senso.

A quali fonti ha attinto? Quanto tempo ha dedicato alla stesura di questo libro?
Sono fatti realmente accaduti, fatti di cronaca che ho trovato consultando l’archivio regionale online delle testate giornalistiche, in giornali dell'epoca come “La Sentinella delle Alpi”, che poi divenne "La Sentinella d'Italia", ma anche nella “Unione Monregalese”. Lì si trovano tutti questi fatti. Per me è stata un'occasione anche per rendermi conto del cambiamento del modo di fare cronaca nel corso degli anni. I fatti che racconto sono scelti senza criterio: di cronache, come è facile immaginare, ce ne sono tantissime, ma alcune non erano interessanti e funzionali al taglio che io volevo dare al libro, indirizzato all'indagine, nella quotidianità, del rapporto uomo-natura. I miei studi nell'ambito della sociologia e dell'antropologia alpina mi hanno aiutato a ricostruire l'ambientazione. Alcune delle borgate in cui sono ambientati i racconti oggi non esistono più. Quanto ai tempi di stesura, devo dire che a una fase di ricerca è subentrata una fase di creazione: entro giugno ho individuato e selezionato le 60 cronache, poi da giugno a fine ottobre-inizio novembre c'è stato il tentativo di contestualizzarle, creando il racconto romanzato.

In alcuni racconti si parla anche di donne, del loro ruolo fondamentale in montagna. Che idea si è fatto in merito? I giornali dell'epoca lasciano intendere qualcosa?
In realtà i giornali dell'epoca erano fortemente maschilisti: le donne non erano quasi mai menzionate e i femminicidi venivano sempre giustificati. Scrivendo di donne di montagna, ho pensato al romanzo "Fiori di roccia" di Ilaria Tuti, in cui si narra l'eroismo delle portatrici carniche, donne che nel corso della prima guerra mondiale assicurarono i rifornimenti agli uomini in trincea sulle Alpi Carniche. Ho voluto insistere su questa realtà, sul fatto che la donna in montagna fosse un elemento fondamentale; ho voluto sottolineare il valore delle donne, che in montagna non si sono mai risparmiate, facendo anche i lavori da uomo, cosa che ai tempi era normale. Tutto questo non emerge dai vari giornali dell'epoca, che si soffermano solo sulla solidarietà nei confronti della donna vedova.
Visione di Castelmagno, Valle Grana (foto di Gabriele Gallo)
Quali conseguenze produssero le due guerre mondiali nel territorio alpino della provincia di Cuneo?
La prima guerra mondiale ha causato lo sterminio di un'intera generazione, svuotando per sempre alcune borgate. Per quanto riguarda il secondo conflitto mondiale, invece, queste sono state terre di partigiani, quindi si è assistito ad una accettazione della situazione, un rispetto e una forma di gratitudine verso i militari, che garantivano presidi, protezione, lavoro alle osterie. Tante famiglie vedevano nel soldato il proprio nipote o il proprio figlio. Nei primi tempi tra i militari e la popolazione c'è stata una collaborazione costruttiva. Lo scoppio della guerra ha poi rovesciato il paradigma e da una borgata all'altra si sono levate voci di libertà. Per quanto riguarda le due guerre mondiali, però, non ho approfondito, perché ho attinto esclusivamente ai giornali dell'epoca, che erano tutti giornali di regime, quindi totalmente inattendibili sulle vicende militari.

Com'era il rapporto tra l'uomo e la natura a quei tempi?
Prima di rispondere a questa domanda, bisogna premettere che alla fine dell'Ottocento la montagna era molto abitata, quindi molte persone erano esposte alle calamità. C'era una densità di popolazione tale che molte persone potevano finire vittime delle intemperie. Il rapporto con la natura era un rapporto di amore e odio: si sfruttava ciò che la terra offriva e si accettava quello che di negativo avrebbe potuto dare. C'era una capacità di accettazione che oggi manca, ma allora c'era una fede totalizzante che permetteva di tollerare tutto. Un rapporto così passivo e rassegnato con questa amica-nemica che era la natura oggi come oggi sarebbe terrificante, perché era una natura matrigna.

Quale messaggio si augura possa arrivare a coloro che leggeranno i suoi ritratti alpini?
Quando scrivo, qualche obiettivo me lo pongo sempre, mi chiedo sempre quale messaggio veicolare al lettore. Vorrei si sottolineasse il valore della solidarietà, il sentimento di pazienza e accettazione del destino, la condivisione del tempo, dello stare insieme a parlare senza grandi necessità. Vorrei anche che venisse meno il luogo comune del "si stava meglio quando si stava peggio": ribadisco con cognizione di causa che non era tutto rose e fiori, come si può evincere dai miei racconti, sebbene non contemplino vicende di cronaca nera. Il passato non deve essere mitizzato, ma sarei felice se tutti noi potessimo imparare dallo spirito di condivisione e socializzazione che c'era all'epoca: mi hanno sempre affascinato i racconti corali di comunità e mi piacerebbe se oggi si potesse tornare a raccontare, a condividere con gli altri racconti ed esperienze di vita. Questo dobbiamo ereditare dal passato, cercando di vivere le giornate con più calma e concentrare la nostra attenzione su quello che ci circonda.
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