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mercoledì, 28 marzo 2018 18:52 |
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Testa di sfinge, da Mêdinet Mâdi – calcare, Epoca Tolemaica, II sec. a.C.
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Francesca Bianchi
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Sarà visitabile fino al prossimo 13 maggio, presso il Civico Museo Archeologico di Milano, la mostra Milano in Egitto. Gli scavi di Achille Vogliano nel Fayum, a cura di Sabrina Ceruti e Anna Provenzali. Nella mostra, che è frutto della collaborazione tra il Civico Museo Archeologico di Milano, il centro papirologico “Achille Vogliano” dell’Università degli Studi di Milano e la cattedra di Egittologia dell’Università di Pisa, sono esposte opere provenienti dalle due località egiziane di Tebtynis e Medînet Mâdi, indagate dal papirologo milanese Achille Vogliano negli anni Trenta del ‘900.
FtNews ha intervistato la dott.ssa Sabrina Ceruti, consulente egittologa delle Civiche Raccolte Archeologiche di Milano, che ha spiegato quanto le campagne di scavo condotte da Achille Vogliano nel Fayum abbiano incrementato la conoscenza di questa regione, particolarmente rilevante per la storia dell’antico Egitto. La studiosa ha parlato degli oggetti e dei papiri rinvenuti a Tebtynis e dell'importanza di questo materiale per cercare di ricostruire qualche informazione sulla vita di un villaggio egizio di età greco-romana. Ci ha raccontato anche degli scavi a Medînet Mâdi, dove Vogliano scoprì un tempio risalente al XIX sec. a.C., dedicato alla dea-cobra Renenutet e al dio-coccodrillo Sobek, che in epoca greco-romana venne dedicato ad Iside. La dott.ssa Ceruti si è soffermata molto sul carattere multietnico della cultura egizia nel periodo greco-romano e sulla riuscita integrazione di culture diverse, una preziosa eredità di cui la nostra società, sempre più complessa e globalizzata, dovrebbe appropriarsi.
Dott.ssa Ceruti, come è nata l'idea di allestire una mostra relativa alle campagne di scavo condotte da Achille Vogliano nel Fayum?
L’idea della mostra è nata dall’intento di portare all’attenzione del pubblico il nucleo di reperti che costituisce un carattere distintivo della collezione egizia milanese, che è appunto il nucleo dei reperti provenienti dalle campagne di scavo che Achille Vogliano condusse negli anni ’30 del secolo scorso nel Fayum, nelle due località di Tebtynis e Medînet Mâdi. Gli scavi di Vogliano furono finanziati dal Comune di Milano, insieme all’Università (allora Regia, oggi degli Studi), e gli accordi, allora vigenti, di partage, con cui il governo egiziano concedeva alle missioni straniere di portare fuori dall’Egitto, nel proprio paese di provenienza, una parte dei ritrovamenti a scopo di valorizzazione e di studio, hanno consentito di far pervenire a Milano un buon numero di materiale, oggi suddiviso fra i due enti finanziatori dell’impresa: il Museo Archeologico e l’Istituto di Papirologia A. Vogliano, dell’Università degli Studi. Si tratta oltretutto di un nucleo di reperti poco noto, certamente poco noto al pubblico di non specialisti, perché per lo più conservato nei depositi del museo (per problemi conservativi e di mancanza di spazio espositivo), e non completamente edito, ma di elevato valore scientifico, in quanto proveniente dal contesto di uno scavo scientifico regolare e documentato. La collezione milanese ad oggi consta di circa 3000 reperti, tuttavia provenienti per lo più da donazioni private (situazione del tutto consueta nelle collezioni egittologiche). Si tratta, quindi, nella maggior parte dei casi, di oggetti privi di informazioni di contesto di provenienza, che non sempre è inferibile o accertabile dallo studio specialistico (testuale e/o tipologico, iconografico): quello degli scavi di Vogliano è l’unico nucleo di materiale da provenienza documentata che il museo conserva. Altri materiali da Tebtynis, tuttavia non dagli scavi della missione di Vogliano, sono conservati oggi in Italia al Museo Egizio di Torino e in parte a Padova, ma i reperti provenienti dagli scavi sistematici a Medînet Mâdi sono unicamente conservati nella collezione milanese: quello che non è qui dagli scavi nel sito è rimasto in Egitto, fatta eccezione per qualche reperto conservato a Pisa, proveniente dalle campagne successive condotte dalla cattedra pisana a partire dagli anni ’70.
L’idea della mostra è anche frutto di una contingenza, quella della programmata chiusura dell’allestimento permanente della Sezione Egizia del Museo Archeologico. Nel nuovo allestimento, infatti, sarà operata una valorizzazione di questo materiale da scavo, tuttavia, per motivi di spazio, non sarà possibile proporre che una limitata scelta di questi reperti: con la mostra si è perciò voluto raccontare più in dettaglio questo importante ‘capitolo’ della storia della formazione della raccolta milanese.
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Cesta di corda e fibre di paglia, da Tebtynis – Epoca Romana, I-II sec. d.C.
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Chi era Achille Vogliano? Cosa lo indusse ad intraprendere le sue campagne di scavo in Egitto e che tipo di materiale rinvenne durante queste campagne?
Achille Vogliano era un papirologo, docente all’Università di Milano. Era, quindi, uno studioso di papiri scritti in greco, geograficamente diffusi nell’orizzonte del Mediterraneo e del Mediterraneo orientale ellenistico-romano, ma di fatto provenienti in massima parte, se non esclusivamente, dall’Egitto, le cui condizioni climatiche ne hanno permesso la conservazione. La Papirologia è, sotto questo aspetto, in gran parte sinonimo dello studio storico-culturale dell’Egitto greco-romano, cioè di un Egitto non più stato autonomo, ma sottoposto alla dominazione politica ed amministrativa dei Tolomei (305-30 a.C.) e poi provincia di Roma (30 a.C. – 395 d.C.). L’attività di Vogliano si colloca negli anni in cui si stava affermando definitivamente la ricerca papirologico-archeologica italiana in Egitto, al fine di trovare nuovi documenti su cui portare avanti la ricerca storica (nel 1908 era nata la Società per la Ricerca dei Papiri in Egitto). Vogliano, spinto dalla volontà di ricerca, fondò così, nel 1933, la Missione Archeologica dell’Università di Milano, e con questa partì alla volta del Fayum, con il preciso intento di fornire materiale per accrescere le collezioni museali cittadine e, nel contempo, materiale di studio (cioè papiri) all’istituzione universitaria.
Qui lavorò in due siti: Tebtynis e Medînet Mâdi, che si trovano al bordo meridionale del Fayum. A Tebtynis nel 1934, ospite della Missione Archeologica Italiana in Egitto diretta da Carlo Anti, che ne aveva la concessione, ma con i mezzi della missione milanese, si concentrò in un settore dell’abitato e in parte nella necropoli dei coccodrilli. Da qui riportò soprattutto papiri e oggetti di uso quotidiano che permettono di entrare nella vita di un villaggio della nuova provincia romana dell’Impero. Nel 1935 aprì il proprio scavo a Medînet Mâdi, in cui riportò alla luce un intero complesso templare: per la monumentalità del sito che si trovò davanti, qui il papirologo cedette il passo all’archeologo. In questo contesto riportò infatti alla luce il tempio fondato nel lontano XIX sec. a.C. dal faraone Amenemhat III della XII dinastia, in onore della dea-cobra Renenutet e del dio-coccodrillo Sobek, cuore originario di un complesso maggiore che prese forma definitiva in epoca greco-romana, quando il santuario fu sottoposto ad un notevole ampliamento da parte prima dei Tolomei e poi dei Romani e fu dedicato ad Iside-Thermouthis insieme a Sobek.
Come è strutturato il percorso espositivo che attende i visitatori?
Il percorso si apre con una breve introduzione all’Egitto greco-romano, che è la fase cronologica principale che interessa gli scavi di Vogliano. Dopo una presentazione della figura di Vogliano, prosegue con un percorso cronologico che segue l’attività del papirologo-archeologo. Si segue prima la sua fortunata campagna a Tebtynis (1934). Qui Vogliano rinvenne un ripostiglio, noto oggi come la ‘cantina dei papiri’, dove, in mezzo ad una quantità di oggetti di uso quotidiano di vario materiale, buttati perché in disuso, rinvenne una notevole quantità di papiri (circa 750), fra cui un rotolo integro, di contenuto letterario, che ha restituito i riassunti di opere altrimenti perdute di Callimaco, un poeta greco del III sec. a.C. La parte più cospicua dei papiri della cantina è tuttavia di tipo documentario. Si tratta di testi che permettono di entrare nella vita e nelle vicissitudini degli abitanti del luogo in epoca greco-romana: fra contratti di affitto e registrazioni di pagamenti di tasse, troviamo domande oracolari al dio-coccodrillo Sobek, venerato nella località, o contratti di matrimonio e finanche di divorzio. In mostra è esposta una selezione dei reperti conservati in Museo – svariati utensili di uso quotidiano, di differenti tipi di materiale (legno, corda, ceramica) – e una nutrita selezione di papiri, prestito della preziosa collaborazione con l’Istituto di Papirologia A. Vogliano dell’Università degli Studi di Milano.
La seconda parte è dedicata all’avventura più lunga di Vogliano, quella di Medînet Mâdi, che lo impegnò dal 1935 al 1940. In questa seconda parte i reperti sono di natura totalmente diversa: non più di oggetti di uso quotidiano, bensì stele votive, statue ed epigrafi commemorative che attestano la devozione sia di privati sia di personaggi pubblici. Ad accompagnare i reperti un apparato esplicativo, corredato anche delle foto di scavo di Vogliano; qui ci si è avvalsi anche dell’imprescindibile collaborazione con la cattedra di Egittologia dell’Università di Pisa, che dagli anni ’70 fino al 2011, pressoché continuativamente, ha lavorato nel sito, riprendendo laddove Vogliano aveva interrotto e avanzando e completando in modo determinante l’indagine complessiva del sito. Le ricostruzioni delle decorazioni del tempio di Medio Regno e le piante riprodotte nei pannelli sono frutto del pluridecennale lavoro dell’equipe pisana, cui si deve anche la realizzazione di un video, proiettato in mostra in italiano e in inglese, in cui il visitatore può visualizzare la struttura dell’area sacra di Medînet Mâdi ed anche trovare, virtualmente posizionati, gli oggetti più rilevanti dello scavo conservati a Milano, fra cui la statua del faraone Amenemhat III, fondatore del tempio, purtroppo la grande assente della mostra, a causa di problemi conservativi inattesi, rivelatisi durante le fasi preparatorie, che purtroppo non hanno consentito il suo trasporto in mostra.
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Vista di parte del percorso espositivo dedicato a Mêdinet Mâdi
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I reperti rinvenuti che immagine ci forniscono della cultura che li ha prodotti? Ci rivelano qualcosa dell’ambiente sociale, economico, culturale e religioso dell'Egitto di età greco-romana?
Quanto al contenuto dei papiri rinvenuti, invece, si può inferire qualcosa della quotidianità di un villaggio egizio di epoca romana? Ad esempio, è possibile stabilire qualche dettaglio circa l'organizzazione del sistema amministrativo?
Lo studio dei documenti testuali è di notevole importanza per ricostruire il quadro della vita politica, economica, sociale e culturale dell’Egitto greco-romano. I documenti di Tebtynis sono per lo più databili al II sec. d.C. e sono di grande importanza, nel loro complesso, per ricostruire la storia e l’amministrazione della provincia romana d’Egitto. Tale documentazione, insieme ad altrettanta messe documentaria coeva proveniente da altri siti egiziani forieri di papiri (Ossirinco, per citarne uno fra i più famosi), fa’ sì che l’Egitto sia la provincia più studiata e conosciuta fra quelle dell’Impero romano, la provincia che era allora letteralmente il ‘granaio’ di Roma, dal momento che le tasse erano pagate in massima parte in natura, ovvero in misure di grano. Le dominazioni greca e romana dell’Egitto hanno certamente conosciuto alti e bassi nel paese in termini di popolarità fra la popolazione egiziana, ma in fondo sono state in grado di garantire stabilità economico-sociale al paese, promuovendo l’interazione e la mobilità sociale. Si sa che le alte cariche politiche ed amministrative erano occupate dai greci o dai romani, ma le amministrazioni locali, che da quelle dipendevano e cui dovevano rendere conto, erano per lo più in mano ad egiziani, nel tempo sempre più ‘ellenizzati', cioè in grado di comunicare e scrivere in greco, piuttosto che a greci o romani.
Quali sono le caratteristiche fondamentali della cultura egizia del periodo greco-romano?
L’Egitto greco-romano è un Egitto multietnico e multiculturale, e, diremmo oggi, multi confessionale, in un clima generale più di tolleranza e di interazione che di conflitto, almeno fino alle fasi finali dell’affermazione del Cristianesimo: numerose sono le testimonianze di influenze culturali e religiose, certamente in un quadro complesso di rapporti fra vincitori e vinti, fra greci ed egiziani che, in particolare negli ultimi decenni in cui l’interesse per questa fase culturale dell’Egitto ha conosciuto un nuovo impulso, gli studiosi specialisti del periodo stanno contribuendo a chiarire. Sebbene oltre ai Greci, arrivati in massa dopo la conquista di Alessandro Magno del 332 a.C., fossero presenti altre minoranze etniche, ad esempio una comunità fenicia e una giudaica, il paese divenne essenzialmente biculturale e bilingue: si parlava, e scriveva, egiziano, nella forma in uso allora del demotico (mentre la scrittura geroglifica rimase confinata alla redazione di iscrizioni monumentali), ma si parlava, e scriveva, anche in greco, la lingua ufficiale dei conquistatori e della nuova amministrazione macedone, che rimarrà tale anche sotto i romani. Si pensi alla famosa stele di Rosetta, con cui è stata scritta la storia della decifrazione dei geroglifici: si tratta di un decreto regale del 196 a.C., inciso sulla pietra in due lingue e tre scritture: greco ed egiziano nelle due forme di scrittura del demotico e del geroglifico.
Nella mostra è possibile ammirare anche la documentazione fotografica degli scavi. Dove è conservata e quanto è importante oggi per la ricerca scientifica?
La documentazione di archivio è conservata presso la Biblioteca Archeologica del Comune di Milano e riguarda esclusivamente le campagne di Medînet Mâdi. Comporta non solo fotografie, ma anche documenti, relazioni e distinte di spese che Vogliano inviava regolarmente per comunicare lo stato di avanzamento dei lavori (e anche avanzare ulteriori richieste finanziarie!) ai suoi finanziatori. Tale documentazione è molto preziosa, e talora fondamentale, per chiarire e ricostruire alcuni punti delle tappe del lavoro di Vogliano, nonché per lo studio dei singoli reperti pervenuti a Milano, per verificarne il posizionamento al momento del ritrovamento, e lo stato conservativo originario: la maggior parte dei reperti dal sito è infatti di calcare locale, un calcare di non buona qualità, e molti reperti, una volta in Italia, hanno nel tempo sofferto alterazioni, anche notevoli, che hanno in qualche caso condotto alla totale ‘scomparsa’, ovvero al completo degrado, del reperto stesso. Per questi la documentazione fotografica è evidentemente fondamentale, perché unica testimonianza rimasta ed unica su cui basare la ricerca scientifica specialistica.
Da questa interessante mostra è nato un catalogo, intitolato Milano in Egitto - Gli scavi di Achille Vogliano nel Fayum, pubblicato da Nomos Edizioni. Come è strutturato?
Il catalogo si configura primariamente come una guida alla mostra e ne riproduce, più o meno passo passo, il percorso espositivo. E' corredato delle immagini di ogni opera esposta in mostra, accompagnate ciascuna da una breve presentazione.
Quali riflessioni si augura che questa esposizione possa suscitare in tutti coloro che avranno il piacere di visitarla?
L’uomo contemporaneo ha spesso una visione molto lontana del passato, è concentrato sul presente, incline a non valutare le esperienze della storia. L’Egitto greco-romano, invece, ci presenta – certamente all’interno di un quadro politico particolare e non paragonabile al nostro – una società assai simile a quella contemporanea una società, diremmo oggi, ‘globale’, e questo pone di fronte a noi, mi sembra, una riflessione fondamentale: che non stiamo affatto sperimentando una situazione così nuova nella storia!
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