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martedì, 16 agosto 2016 07:13 |
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Dabu a Yongning - Foto di Francesca Rosati Freeman
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Francesca Bianchi
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FtNews
ha intervistato l'antropologa, ricercatrice e scrittrice Francesca Rosati Freeman , autrice del libro Benvenuti nel Paese delle Donne, tradotto in francese col titolo SurlesrivesdulacMère, del docufilm NU GUO - Nel Nome della Madre, realizzato insieme a Pio d'Emilia, giornalista, scrittore e corrispondente di Sky Tg24 per l'Estremo Oriente, e del documentario Gammu. Montagna Dea Madre.
Da circa dieci anni la Freeman studia i Moso, una minoranza etnica matriarcale di 40.000 persone, non formalmente riconosciuta dal governo cinese, stanziata sulle pendici dell'Himalaya, nella regione cinese dello Yunnan. La studiosa ci ha raccontato della casualità con cui è venuta a sapere dell'esistenza di questa popolazione, rendendoci partecipi dell'emozione provata quando si è trovata per la prima volta in un villaggio Moso e facendoci conoscere gli aspetti meno noti di questo popolo accogliente ed ospitale che non conosce affatto l'usanza del matrimonio e ha una concezione della famiglia completamente differente dalla nostra.
Nel corso dell'intervista la studiosa ha parlato anche del suo libro Benvenuti nel paese delle donne e dei due documentari che ha girato nel corso dei suoi soggiorni nello Yunnan. Dalle sue parole si comprende che i valori più importanti che l'Occidente dovrebbe apprendere da questa straordinaria civiltà sono l'assoluta assenza della violenza e del concetto di possesso e di appartenenza della persona amata e la devozione nei confronti della Natura, considerata sacra. Un altro mondo è possibile e questo popolo ci indica la via da seguire: un cammino in cui femminile e maschile non si oppongono, ma si completano e si rafforzano a vicenda.
Quando ha iniziato ad occuparsi di civiltà matriarcali e come è venuta a sapere dell'esistenza della società Moso?
Nel 2004 ho iniziato ad occuparmi di civiltà matriarcali. Mi trovavo all'aeroporto di Fiumicino, quando all'improvviso il mio volo venne annullato. Per imbarcarmi su un altro volo dovetti attendere sette ore, che trascorsi in libreria, dove un libro dal titolo "Il paese delle donne" (Yang e Mathieu, 2003), scritto da una donna Moso, meglio conosciuta col nome di Namu, e da un'antropologa, catturò la mia attenzione. Mi misi a leggerlo per occupare il tempo della lunga attesa e con sorpresa questo testo mi trasportò nel sud-ovest della Cina, ai confini con il Tibet, sui contrafforti dell'Himalaya, nei villaggi sulle rive del lago Lugu, a cavallo fra la regione dello Yunnan e quella del Sichuan, a 2700 metri di altezza, in un luogo incantevole e sperduto. Attraverso il racconto dell'infanzia e dell'adolescenza di Namu, il libro mi fece scoprire l'esistenza di una società matriarcale, fino a poco tempo fa nota solo ai pochi antropologi che l'hanno studiata e ad alcuni avventurieri che si sono precipitati a visitare il "paese delle donne".
Cosa La colpì di quel libro?
Avendo lavorato in una Onlus, per molti anni mi sono occupata di minoranze etniche, per cui questo libro destò subito la mia curiosità. Ciò che più mi ha affascinata è stata la scoperta dell'esistenza, in una remota parte del mondo, di una società che valorizza le donne senza opprimere gli uomini, una società che non ha niente di selvaggio o primitivo e non è neppure una subcultura, ma una forma di vita contemporanea, un esempio positivo della condizione femminile, dove le donne non sono discriminate e non devono fare il resoconto della loro vita privata né ai padri né ai mariti, una società dove la violenza coniugale è inesistente e la separazione non costituisce un dramma.
Così decise di conoscere a fondo questa popolazione, recandosi direttamente sul posto. Come è stata accolta da amici e parenti l'idea di partire per luoghi così impervi e sconosciuti?
Dopo aver terminato la lettura del libro, ebbi un solo desiderio: recarmi quanto prima sul posto per capire il funzionamento di questa società, intercettare i legami fra il politico, il sociale, l'economico e il religioso, capire come fossero vissuti il sentimento d'amore e i rapporti sessuali fuori dai condizionamenti che il matrimonio e la società ci impongono e scoprire nei volti e nelle espressioni dei Moso l'appagamento e la serenità, provenienti da una simile struttura sociale. La mia decisione ha suscitato la sorpresa di molti, che mi dicevano che sarebbe stata una follia avventurarmi da sola in quei posti. Con l'aiuto di un'amica mi sono messa in contatto con un'agenzia turistica di Kunming, capoluogo dello Yunnan, che si è occupata di procurarmi un'autista e una guida che mi facesse anche da interprete. Infine sono partita con due amiche che erano curiose di scoprire una regione della Cina che non avevano mai visitato.
Che ricordo ha del Suo primo soggiorno presso i Moso? Come è stata accolta?
Dopo una lunga ed estenuante giornata di viaggio arrivammo a 2.700 metri d'altezza, nel nord dello Yunnan. Un portale con una scritta cinese attraversava la strada da un'estremità all'altra. Incuriosita, ho chiesto alla guida cosa ci fosse scritto. Mi rispose che la scritta recitava queste parole: "Benvenuti nel paese delle donne", e aggiunse: "qui abitano i Moso, una società matriarcale". Ammirando la ricchezza del paesaggio, mi pervase subito una grande emozione: il tramonto che colorava di rosso il cielo azzurro, abeti, rododendri ed azalee selvatiche costeggiavano la strada che conduce alle acque blu e trasparenti del lago, circondato da colline verdeggianti. Questo spettacolo naturale mi comunicò subito un senso di pace e mi lasciò presagire l'armonia e l'equilibrio che caratterizzano la vita degli abitanti dei villaggi attorno al lago.
Mi sono sentita subito accolta con gioia: li ho trovati aperti ed ospitali, si sono fatti riprendere e fotografare senza problemi. Sin dal primo viaggio la guida mi ha portato nella famiglia di Ake Dama, una donna che veniva chiamata nelle varie città a parlare della cultura Moso e che quindi poteva facilmente rispondere alle mie domande. Non sempre ho visitato questi luoghi in compagnia. A volte, quando mi sono trovata da sola, la gente si è mostrata più disposta ad invitarmi e a parlare ed è stato più facile fare conoscenze e stringere amicizie. Tutte le volte che mi sono trovata a passeggiare lungo il lago Lugu, mi è capitato sempre di venire invitata dagli abitanti del luogo ad entrare nelle loro case per bere un tè e sgranocchiare noci, mais e cereali secchi abbrustoliti. Anche se non è stato facile comunicare, ho cercato di stabilire un contatto con loro con i gesti e i sorrisi. Con l'aiuto dell'interprete ho intervistato molte di queste persone, approfittando della loro disponibilità: tutti hanno risposto con gioia, anche quando ho azzardato domande molto personali. Per ringraziarli, ho lasciato loro piccoli e graditi regali: foulard, profumi, collane, fermagli, magliette, giocattoli.
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Preparazione dei cosiddetti Baba Moso (al centro F.R. Freeman) - Foto di Francesca Rosati Freeman
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E' vero che presso i Moso non esiste il matrimonio?
Proprio così! Nella cultura Moso non è contemplato il matrimonio, ma lo zouhun , letteralmente unione in cammino, una sorta di unione di fatto che non prevede la convivenza. Per i Moso non ha importanza il contratto matrimoniale, ma la purezza dei sentimenti. Nello zouhun i figli portano il cognome della madre e vivono con la famiglia materna. In questo modo, se l'amore tra i genitori finisce, i bambini non subiscono il trauma della separazione. Nella cultura di questa popolazione, infatti, il padre è considerato quasi un estraneo: non abita con la sua compagna, madre dei suoi figli, ma vive a casa della sua famiglia materna. Il padre naturale può avere un rapporto affettivo con i figli, ma non ha responsabilità materiali nei loro confronti. Il ruolo del padre è esercitato dallo zio materno, che si prende cura dei nipoti, figli delle sue sorelle, proprio come se fosse il padre biologico. I bambini crescono circondati da affetto e amore. Mamme, nonne e zii trasmettono loro un'educazione senza discriminazione o privilegi legati al genere e li educano al rispetto dei principi di modestia, ordine ed altruismo, trasmettendo loro i valori della cura, del rispetto, della condivisione, della reciprocità.
Cosa l'ha affascinata maggiormente di questa popolazione?
Mi ha colpito il rapporto di profonda venerazione nei confronti della Natura, soprattutto da parte delle donne. La Natura, considerata sacra, è sempre concepita come un'entità femminile: il Lago Shinami è il loro lago Madre, e la loro montagna, Gammu, che le leggende rappresentano ora come tessitrice ora come donna innamorata, è concepita come Madre. Il legame con la Madre Terra è molto sentito dalle donne, detentrici di un sapere frutto di una familiarità millenaria con la terra, che ereditano dalle loro antenate e che amano, curano e rispettano come un dono sacro e prezioso e con questi valori la trasmettono alla generazione successiva. Sentire sulla propria pelle il legame ancestrale con la Natura ha risvegliato in me sensazioni mai provate prima e mi ha iniziato ad un percorso per il quale sono ancora in cammino.
Un'altra cosa che mi ha colpito è che in ogni casa ci sono due pilastri, quello femminile e quello maschile. Mentre il pilastro maschile è tagliato dalla parte superiore dell’albero, quello femminile è tagliato dalla parte inferiore, ovvero la parte che ha le radici a contatto con la terra. L’associazione con l'eterno alternarsi dei cicli della natura è visibile nell’esistenza in ogni casa della devpa, la stanza dei misteri, che è la stanza della vita e della morte. Anticamente le donne partorivano nella devpa, aiutate dalle proprie madri, e qui, ancora oggi, il defunto viene deposto per circa quindici giorni in attesa dei funerali e della cremazione. Questa stanza simboleggia per i Moso l’alternarsi della vita e della morte in un ciclo continuo. La cerimonia funebre prevede che il defunto, condotto su una portantina da sei uomini, venga fatto passare al di sopra delle donne inginocchiate davanti al cancello della sua casa. Le donne inginocchiate e con la testa abbassata simboleggiano il ponte tra la vita e la morte. Una volta passato il defunto, le donne si rialzano: la morte passa sopra la vita, ma le donne si rialzano e la vita continua e si rinnova incessantemente, come la Natura che nasce, muore e rinasce.
Ci sono stati momenti storici in cui i Moso, a causa delle numerose imposizioni imperiali, hanno temuto per la sopravvivenza delle loro tradizioni. Come è possibile che la cultura Moso sia arrivata così pura fino ai giorni nostri?
Senz'altro il periodo peggiore è stato quello che ha visto il dominio di Mao, che voleva uniformare costumi e tradizioni. Per i Moso è stato un periodo drammatico perché non volevano sposarsi. Mao prometteva il possedimento di una proprietà agli uomini che decidevano di staccarsi dalla loro famiglia d'origine per crearne una nuova. Nella mentalità Moso ciò era inconcepibile: per loro non è mai esistito e tuttora non esiste il concetto di proprietà privata. Mao inviò nel paese dei Moso le Guardie Rosse, che imposero il matrimonio a tutte le coppie in relazione dichiarata. Questo comportò la dissoluzione delle famiglie già esistenti: i consanguinei, che erano abituati a stare tutti insieme, dovettero separarsi secondo le decisioni arbitrarie delle Guardie Rosse. Non appena queste lasciarono la regione, quasi tutte le coppie che erano state costrette a sposarsi si separarono e le figlie tornarono a casa delle madri. Soltanto nel 1984 è stata stipulata una legge secondo cui tutte le minoranze etniche potevano praticare le loro usanze, le loro tradizioni, la loro religione. Si pensa che i Moso siano sopravvissuti alle imposizioni imperiali che subirono molte minoranze etniche nel corso dei secoli perché vivevano in zone impervie ed inaccessibili, tanto che nemmeno i missionari ci sono arrivati, come fa notare Christine Mathieu nel suo libro.
Quali sono le attività da cui i Moso traggono sostentamento e come giudicano il turismo?
Oggi il turismo è diventato la principale risorsa nei due villaggi più turistici, Luoshui e Lige. La maggioranza dei Moso, però, continua a vivere di agricoltura ed allevamento. Ogni famiglia, infatti, alleva maiali, galline e possiede almeno un bufalo o una mucca. Tradizionalmente i Moso si dedicano anche al commercio: in passato gli uomini partivano in carovane e si spingevano fino in Tibet e in India per scambiare i loro prodotti agricoli con sale e tè. Oggi questo non accade più, ma molti si dedicano alla gestione di negozi, bar, ristoranti ed alberghi, che si concentrano soprattutto nei villaggi di Luoshui e Lige, dove quasi ogni famiglia ha adibito parte della propria abitazione a pensione per i turisti. Le attività artigianali più redditizie sono la tessitura e la fabbricazione di gioielli d'argento o bagnati nell'argento. Tra le attività economiche vanno annoverate anche la vendita della legna da ardere, la raccolta di erbe medicinali e il trasporto delle merci.
Con l'afflusso di un turismo sempre più invadente, i Moso sono consapevoli che un giorno la loro cultura verrà assimilata da altre culture, dato che la loro popolazione è sempre più ridotta e non hanno neppure una lingua scritta. Quello che gli anziani Moso sperano ardentemente è che i giovani Moso possano conservare la spiritualità e i valori positivi della loro cultura ed integrarli con altre realtà.
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Donne Moso fanno girare i loro mulinelli di preghiera per ingraziarsi gli spiriti della natura - Foto di Francesca Rosati Freeman
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I soldi che vengono guadagnati con le varie attività che fine fanno?
I guadagni ottenuti non appartengono a un solo individuo, ma a tutti i membri della famiglia, che ne demandano la gestione alla Dabu, la matriarca, la donna più anziana e saggia, che svolge un ruolo di guida e di consigliera ed è il fulcro di ogni famiglia Moso. Nonostante i grandi cambiamenti che l'economia di queste zone sta conoscendo, le famiglie non hanno ancora allentato i tradizionali legami di solidarietà e il denaro guadagnato da uno è a disposizione di tutti i suoi familiari.
Come è strutturato il Suo libro "Benvenuti nel Paese delle Donne. Un viaggio straordinario alla scoperta dei Moso"?
La prima parte del libro è dedicata a tutto quello che ho visto prima di arrivare dai Moso. E' come se prendessi per mano il lettore e lo conducessi attraverso il viaggio che mi ha portato presso questa straordinaria comunità. Il libro è uscito nel 2010 ed è il risultato di tante interviste che ho realizzato tra il 2005 e il 2010. Ha avuto un grande successo, tanto che in autunno verrà ristampato. Ho dedicato un capitolo al cambiamento, arrivato con una rapidità incredibile. In questo libro i racconti di tutti i miei viaggi si intrecciano e si mescolano alle ricerche e alle riflessioni che la scoperta di questa società fuori dal comune mi ha spinto a fare.
Come è nata l'idea di realizzare il documentario "NU GUO - Nel Nome della Madre"?
Nel 2011 avevo progettato di realizzare un documentario perché per i Moso era impossibile riuscire a leggere il libro, per cui volevo che restasse loro un ricordo della loro civiltà in quel particolare momento storico. Ho impiegato molto tempo per farlo. Un giorno ricevetti una telefonata del giornalista Pio d'Emilia. Mi disse che a Pechino, a casa di un suo collega, aveva trovato il mio libro e, incuriosito, volle andare di persona a visitare il paese delle donne Moso. Abitando sul posto, D'Emilia si offrì subito di darmi una mano per realizzare questo docufilm. Anche grazie al suo prezioso aiuto è venuto fuori un documentario stupendo che ho portato in giro per il mondo, anche nelle scuole, e che a febbraio del 2015 ha ricevuto il premio del pubblico per il miglior documentario al Festival Internazionale del Cinema Asiatico di Vesoul, in Francia, ed è stato selezionato in vari altri festival.
Quest'anno è uscito un altro Suo documentario dal titolo "Gammu. Montagna Dea Madre". Di cosa si tratta?
Fin dal primo viaggio avevo sentito parlare di un pellegrinaggio alla montagna sacra. La popolazione Moso, sulle pendici dell’Himalaya, a 3000 metri di altitudine, ha costruito un luogo di culto a Gammu, un tempietto con l’immagine di una giovane donna che cavalca un cavallo bianco. L’ingresso nella grotta, situata a 3500 metri, per me è stata una vera e propria iniziazione: l'oscurità, l’umidità, il gocciolio dell’acqua sulle rocce, hanno suscitato in me sensazioni mai provate prima. E’ stato come entrare nel ventre materno e rivivere la ri-nascita. Gammu, la montagna sacra, è considerata la grande Dea creatrice e protettrice di tutti i Moso, ed è anche la Dea dell'amore e della fertilità. A Gammu si riconosce la funzione del potere creativo e creatore e alla donna si riconosce la funzione della continuità di questo potere, una funzione creatrice che fa della sacralità, della natura e della donna una sola entità. Questo mio nuovo filmato, le cui riprese sono state realizzate l’estate scorsa da me e da una giovane Moso, deve essere visto come complementare a "Nu Guo". Nel 2012, infatti, quando abbiamo girato "Nu Guo", non avevamo potuto assistere alla festa della montagna e per me questo costituiva una mancanza importante che sono riuscita a colmare con questo nuovo filmato, reso possibile grazie al montaggio di Antonio Papa e alla collaborazione di Lorenza Garbolino e di Stefania Renda. Questo cortometraggio fa comprendere il sentimento di profonda e sincera venerazione che i Moso nutrono nei confronti di Gammu e stimola a riflettere sulla necessità da parte di tutte noi donne di riconnetterci alla nostra Madre Terra, di cui siamo preziose Guardiane.
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