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lunedì, 25 febbraio 2019 09:19 |
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Francesca Bianchi
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FtNews
ha intervistato Giorgio Ieranò, professore ordinario di Letteratura greca all’Università di Trento, che lo scorso anno ha pubblicato il libro Arcipelago. Isole e miti del Mar Egeo, un viaggio nel tempo e nello spazio, fra mito e storia, in quello che è considerato il "principe dei mari".
Nel corso della nostra bella conversazione, lo studioso ha spiegato come è nata l'idea di scrivere "un isolario del XXI secolo" sul fascino arcano che, da tempi immemori, circonda l'Egeo; si è soffermato sulle fonti cui ha attinto per ripercorrere la storia delle isole di quello che i Veneziani chiamavano "Arcipelago", illustrando approfonditamente in che misura favole mitologiche, resoconti di viaggio e fantasie poetiche sono confluite nel suo libro.
Nell'intervista il prof. Ieranò ha preso in considerazione anche la rappresentazione che la mitologia e la letteratura, a partire da Omero fino all'età ellenistico-imperiale, forniscono del mare, analizzando approfonditamente le caratteristiche dell'Egeo nelle descrizioni tramandate dagli antichi. Lo studioso, infine, ha accennato brevemente alla religione cretese durante l'età minoica, sostenendo la difficoltà di poter parlare con certezza del culto di una Dea Madre a Creta, l'isola da sempre considerata "madre degli dei".
Prof. Ieranò, lo scorso anno ha pubblicato il libro Arcipelago. Isole e miti del Mar Egeo, un viaggio nel tempo e nello spazio, fra mito e storia, in quello che è considerato il "principe dei mari". Come è nata l'idea di questo libro e a cosa fa riferimento il termine "arcipelago" presente nel titolo?
Il libro nasce innanzitutto da quarant’anni di viaggi nelle isole delle Grecia. L’idea era quella di riconnettere in un unico racconto le storie e i miti, gli eventi e le leggende che hanno segnato le isole dell’Egeo, rendendole un luogo senza paragoni in tutto il pianeta. Un luogo che i veneziani chiamavano appunto “Arcipelago”. Il nome forse nasce da un equivoco: il greco “Aigaion pelagos” (Mare Egeo) sarebbe stato malinteso dagli occidentali e storpiato in “Arcipelago”, un termine poi interpretato come “Mare principale” o “Principe dei mari”. In origine, insomma, “Arcipelago” era sinonimo di “Mar Egeo”. Solo più tardi il nome verrà usato per qualsiasi costellazione di isole.
Come definirebbe questo testo e, soprattutto, come si inserisce all'interno della tradizione letteraria inaugurata nel Rinascimento da Cristoforo Buondelmonti con il suo Liber Insularum Archipelagi?
Il libro vuole essere un isolario del XXI secolo. Vuole rinnovare, attraverso lo sguardo e la sensibilità di un viaggiatore di oggi, l’antica tradizione degli isolari rinascimentali e secenteschi: un fortunato e glorioso genere letterario, quello degli Isolari, fiorito appunto intorno alla descrizione dell’Egeo, a partire dal Liber Insularum Archipelagi ovvero Libro delle isole dell’Arcipelago, scritto nel XV secolo dal fiorentino Cristoforo Buondelmonti, personaggio affascinante e stravagante, nobiluomo, erudito, umanista, avventuriero e forse anche spia. Gli Isolari erano libri che intrecciavano il diario di viaggio alle rievocazioni storiche, la fantasia alla realtà, che univano il racconto delle “favole”, cioè dei miti pagani, alle “historie”, cioè alla descrizione degli eventi del passato e del presente.
A cosa era legato il nome Egeo? A quali fonti ha attinto per ripercorrere la storia delle isole del Mar Egeo?
Innanzitutto le fonti antiche: storici, mitografi, poeti, ma anche iscrizioni e documenti archeologici o figurativi. Le isole dell’Egeo sono spesso protagoniste sia del mito (si pensi a Nasso e al mito di Arianna abbandonata; oppure a Creta e al Labirinto) sia della storia greca: Samo, Rodi, Delo hanno avuto un’importanza cruciale nella vicenda culturale, politica ed economica del mondo antico. Ma la sfida, per me che sono un antichista, è stata quella di andare oltre i confini del mondo antico: di viaggiare nell’Egeo meno conosciuto, l’Egeo bizantino e veneziano, l’Egeo dei pirati, cristiani e musulmani, che hanno infestato le isole fino all’Ottocento inoltrato. Per questo sono stati preziosi i resoconti di viaggio, spesso poco conosciuti, ma affascinanti e anche divertentissimi, che vanno dagli isolari rinascimentali, alle relazioni secentesche dei padri gesuiti venuti nelle isole per convertire gli ortodossi al cattolicesimo, fino alle cronache di scrittori come Mark Twain, Henry Miller o Lawrence Durrell. Sull’origine del nome Egeo, poi, già gli antichi discutevano: c’era chi lo legava al nome del padre di Teseo, il re Egeo, ma non tutti concordavano.
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Nel testo afferma che è forte la suggestione dell'Egeo come luogo immaginario. Favole mitologiche, resoconti di viaggio, fantasie poetiche in che misura sono confluite nel Suo racconto? E' possibile stabilire un confine netto tra notizie storicamente fondate e tradizioni leggendarie e fantasiose?
Ho usato moltissimo i miti e le leggende perché ci raccontano qual era l’immagine che i greci avevano delle isole dell’Egeo. Non vanno prese come testimonianze di fatti storici, ma come testimonianza di una mentalità, di una maniera di rappresentare il mondo insulare. Poi queste leggende, a loro volta, riplasmano la realtà. Sono una lente attraverso la quale tutti i viaggiatori guardano alle isole dell’Egeo. Chi va a Nasso non può non pensare ad Arianna, chi visita Creta cerca subito il Labirinto. Così il mito viene incorporato nel paesaggio stesso dell’isola, fa parte della sua suggestione.
Com'era l'arcipelago degli antichi?
Un luogo di traffici e commerci, percorso incessantemente da navi di mercanti, guerrieri o pirati. Uno spazio di comunicazione, dove viaggiavano le idee e le merci, le invenzioni e la poesia. Ancora in età romana isole come Delo e Rodi sono centri religiosi, culturali e commerciali di primissima importanza. A Delo s’installano molti mercanti italici. A Rodi lavorano alcuni tra i più importanti artisti del mondo antico (per esempio quelli che hanno scolpito la celebre Nike di Samotracia) e anche Cicerone vi si trasferisce per studiare nelle sue famose scuole di retorica.
A quando risale la prima testimonianza di un insediamento umano nelle Cicladi? Come si presentava l'Egeo a quei tempi? Quali furono le caratteristiche principali delle civiltà egea e in quale momento storico il centro nevralgico di questa cultura si spostò dal continente alle isole?
La civiltà delle isole dell'Egeo è molto antica. A Lemno, tremila anni prima di Cristo, si costruisce quello che gli archeologi considerano il primo parlamento del mondo. Negli stessi anni nelle Cicladi fiorisce un’arte straordinaria, rappresentata da quegli idoli di marmo che hanno influenzato, con l’astratta purezza delle loro forme, persino le avanguardie novecentesche. In verità, la civiltà nell’Egeo sembra essersi sviluppata già prima, intorno al 6500 a.C., sulla terraferma, nei villaggi di Dimini e di Sesklo, in Tessaglia. Ma intorno al 3000 a.C. le isole assumono un ruolo di primo piano: prima le Cicladi e poi Creta, dove intorno al 2000 sorgono raffinati palazzi e si afferma una civiltà di marinai e mercanti che percorrono con le loro navi tutto il Mediterraneo orientale.
Il campo semantico della parola “mare” in greco presenta molteplici possibilità di espressione: als, pélagos, póntos, thalassa sono tutti termini con cui i Greci indicavano la vasta distesa marina. Quali sono le sfumature di significato tra queste espressioni? Cosa rappresentava il mare per gli antichi Greci?
Il mare era, per i greci, un luogo al tempo stesso molto familiare e molto inquietante. Lo conoscevano bene, lo attraversavano in continuazione, ma lo guardavano sempre e comunque con un certo terrore reverenziale. Il mare era lo spazio degli incanti e dei prodigi, dei mostri e dei pericoli, come ci raccontano i miti delle Sirene o di Scilla e Cariddi. Fin da Omero, il mare ha molti nomi. Thalassasembra essere il più antico, mutuato forse dagli abitanti pre-greci dell’Egeo. Pontos indica che il mare è un “ponte”, un passaggio. Ma Omero parla di un pontos “colore del vino” o, più precisamente, “con l’aspetto del vino” (oinops), cioè mobile, insidioso e ricco di riflessi come il vino che si agita in una coppa.
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Un particolare della copertina: Ulisse e le Sirene, mosaico pavimentale da Dougga, III secolo d.C. Tunisi, Museo del Bardo
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Che immagine ci forniscono del mare la mitologia e la letteratura, a partire da Omero fino all'età ellenistico-imperiale?
Il grande modello di tutte la letteratura marinara è ovviamente l’Odissea: è nel poema di Omero che si stabiliscono i canoni della rappresentazione del mare come luogo di pericoli e di incanti, in cui la minaccia della morte si alterna al fascino del prodigio. Il mare era il luogo della dissoluzione e dell’annientamento. Morire in mare era, per gli antichi, la sorte più terribile: significava scomparire nel nulla, essere privato degli onori funebri. Alcuni versi di un epigramma, attribuito ad un tale Flacco, dicono: “Fuggi le opere del mare e dedicati ai buoi e all’aratro | se vuoi arrivare dolcemente a vedere il termine della vita. / In terraferma la vita è lunga: sul mare invece | non è facile vedere una testa canuta”. Ma, al tempo stesso, il mare è popolato da creature misteriose e affascinanti: il dio Posidone, le Nereidi, le Sirene. Sono creature talvolta dotate di uno strano potere di metamorfosi, in cui si riflette la natura mutevole e cangiante del mare.
Quali sono le caratteristiche dell'Egeo nelle descrizioni che ci tramandano gli antichi? Che mondo è quello degli dei e degli eroi che lo popolano?
Le isole dell’Egeo, anche se popolate, civili e frequentate, sono spesso immaginate come un mondo a parte, un luogo dove possono accadere eventi incredibili e imprevisti. Le isole spesso sono immaginate esse stesse come ninfe e come protagoniste di storie mitologiche. C’è, per esempio, il famosissimo racconto sull’isola di Delo, una ninfa che in origine si chiamava Asteria, e vagava in eterno per il mare, prima che Apollo la ancorasse ai fondali dell’Egeo. O la storia di Rodi, isola, ma anche ninfa bellissima, che Helios, il dio del sole, innamoratosi di lei, fa affiorare dagli abissi del mare.
A Creta sono state trovate statue di dee con serpenti in mano, ma anche statue di dee con altri simboli, tra cui la Dea dei Papaveri e la Dea della Morte, probabilmente aspetti diversi di un'unica grande divinità femminile. La Dea dei Serpenti è stata spesso interpretata come la Dea Madre cretese. Secondo Lei, si può parlare dell'esistenza, a Creta, di un culto della Dea Madre? A cosa fa riferimento con l'espressione madre degli dèi, con cui nel libro definisce l'isola di Creta?
Creta è “madre degli dei” perché talvolta gli antichi sostenevano (lo scriveva, per esempio, Diodoro Siculo) che tutti gli dei della Grecia erano nati nell’isola. E più o meno tutti concordavano sul fatto che alcune divinità, come Zeus e Dioniso, erano state cresciute in grotte di Creta. I greci percepivano che quella cretese era civiltà antichissima e sentivano qualcosa di arcano nella sua tradizione religiosa, come dimostra anche il mito del Labirinto. Per il resto, sulla religione cretese del III-II millennio a.C., cioè del tempo dei minoici, che non erano greci, possiamo dire ben poco. Mi sembra difficile esprimersi con certezza sul culto di una Dea Madre a Creta. Anche perché noi siamo, per esempio, abituati a definire la statuetta della figura femminile che impugna due serpenti come una divinità. Ma chi ci assicura che fosse effettivamente una divinità? Maneggiare serpenti era spesso, nella Grecia d’età storica, un gesto rituale femminile, per cui in teoria la statua potrebbe rappresentare anche una adorante e non una dea.
Lei parla delle varie isole dell'Egeo, soffermandosi sulle peculiarità di ognuna. Quanto l'odierno turismo di massa ha sfruttato queste immagini tradizionali?
Mi è capitato sott’occhio un manifesto pubblicitario del 1955 che promuoveva una crociera dell’Egeo. C’era tutto un set di immagini che sono quelle tradizionali da sempre: i mulini di Mykonos, la Venere di Milo, il palazzo di Cnosso, vulcani e delfini. Ci sono stereotipi che piacciono sempre. A Creta, del resto, oggi come al tempo degli ant ichi romani, si va a visitare la grotta dov’è cresciuto Zeus, sul Monte Ida, l’odierno Psiloritis.
Quale messaggio si augura possa arrivare a coloro che avranno il piacere di immergersi nella lettura di questo Suo lavoro?
Spero che il lettore si diverta, che possa scoprire cose nuove o conoscere meglio vicende di cui ha sentito sempre parlare, ma di cui ha solo un’idea vaga. Le storie e i miti che ruotano intorno all’Egeo sono tutti di straordinario fascino e sono spesso sorprendenti.
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