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La Penisola del Sinis (OR) tra storia, archeologia e natura

martedì, 29 gennaio 2019 17:38

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L'esterno del Museo Civico "Giovanni Marongiu" (dal sito del Museo).
Francesca Bianchi
THARROS (di Enrico Valdes)

Terra tra acque calme e senza pace,
colline del Sinis gialle di ginestre,
approdo di vascelli dei popoli del mare,
là sorse una città, fu chiamata Tharros.

S’alzarono le mura, alti templi e palazzi,
lingue diverse dall’Africa e da Oriente,
rotolar di carri tra le cento botteghe,
Tanit, potente dea d’amore e morte.

Tuniche e manti candidi e vermigli,
nei templi, nelle terme, nei mercati,
e sul basalto il suon delle legioni.
Si fusero le genti in una stirpe.

Bisanzio, Vandali e Regno d’Arborea,
dei Saraceni infine la razzia,
le mura atterrate, scomparve la città,
restano nude pietre a raccontar la storia.

Corsi son gli anni, i secoli, i millenni, 
lontani son quei popoli e i loro dei,
uguale è quel mare, quell’angolo di cielo,
ma soli siamo noi con le nostre domande


Leggendo questa meravigliosa poesia di Enrico Valdès, medico ed autore di romanzi e testi poetici, che ringrazio per la gentile concessione, mi rivedo sulla torre spagnola di San Giovanni di Sinis, costruita alla fine del XVI secolo sulla sommità del colle che domina l’Area Archeologica di Tharros, mentre contemplo dall'alto tutta la meraviglia che si offre al mio sguardo e cerco di immaginare la vita di coloro che anticamente approdavano in questo luogo dal fascino senza tempo. Da questo straordinario punto panoramico che domina tutto il golfo di Oristano si resta incantati ad ammirare su un versante il cosiddetto "mare morto", così chiamato perché, essendo protetto dal vento, non ha mai onde e fin dall'antichità ha consentito un approdo tranquillo e sicuro; sull'altro versante il "mare vivo", che il 2 gennaio scorso, giorno in cui mi sono recata in visita lì, era davvero impetuoso, agitato dal forte e gelido maestrale che soffiava incessantemente, rendendo l'atmosfera ancora più magica.
L'antica città di Tharros, ubicata all’estremità meridionale della Penisola del Sinis, in territorio di Cabras (OR), fu fondata intorno al 730-700 dai Fenici in un’area già frequentata in età nuragica. Come si può leggere sul sito dedicato all'Area Archeologica, su una delle tre colline su cui sorge la città, la più settentrionale, nota con il nome di "Su Murru Mannu" (in sardo “grande muso”), è visibile ancora oggi un importante villaggio protostorico, risalente all'età del Bronzo medio-recente: i resti di un monumento nuragico sono stati riconosciuti alla base della torre spagnola del colle di S. Giovanni; altri due nuraghi si trovano sul Capo S. Marco. Non conosciamo l’esatta ubicazione dell’abitato fenicio, ma abbiamo alcune testimonianze di ambito funerario e votivo. Fin da questo periodo sono in uso contemporaneamente due necropoli: quella più nota è posta sul Capo S. Marco, l’altra si trova oggi all’interno del villaggio moderno di S. Giovanni di Sinis. Le sepolture, databili a partire dall’ultimo quarto del VII sec. a.C., sono nella maggior parte dei casi semplici fosse scavate nella sabbia o nella roccia affiorante in cui sono deposti i resti incinerati dei defunti, accompagnati dai corredi ceramici e da oggetti personali. Per quanto riguarda l'ambito del sacro, si possono ricordare i materiali più antichi rinvenuti nel tofet, il tipico santuario fenicio-punico a cielo aperto, circondato da un recinto sacro e contenente le urne con i resti incinerati dei bambini morti in tenerissima età e degli animali sacrificati, e le stele, veri e propri signacoli in pietra con il simbolo o l’immagine della divinità posta su un trono o all’interno di un tempietto in miniatura.
una bella immagine in cui si possono ammirare il "mare morto", a sinistra, e il "mare vivo", a destra
In età punica la città viene monumentalizzata: nel periodo compreso tra la fine del VI secolo e il 238 a.C., anno della conquista romana dell’isola, vengono costruiti numerosi edifici che ancora in parte si conservano sotto quelli di età successiva. Va ricordata l’imponente cinta fortificata che chiude la città da possibili attacchi da terra e da mare; un complesso sistema si attesta all’estremità settentrionale di "Su Murru Mannu" e da lì prosegue fino alla sommità della collina di S. Giovanni, dove viene impiantata, al posto del preesistente nuraghe, una torre o una struttura fortificata. Il tofet, che viene ora compreso all’interno dello spazio fortificato, continua la sua attività, subendo varie risistemazioni. Nell’area ad ovest del santuario si impianta, verosimilmente alla fine del V sec. a.C., un importante quartiere artigianale specializzato nella lavorazione del ferro. Ad età punica risalgono alcuni tra i più importanti luoghi di culto di Tharros, tra cui il cosiddetto tempio monumentale o “tempio delle semicolonne doriche”.
Sono da attribuire ad età punica le caratteristiche tombe a camera visibili sul Capo S. Marco e tra le case del villaggio di S. Giovanni. Queste sepolture ospitavano gli inumati, deposti in posizione supina insieme a ricchi corredi ceramici e a oggetti personali anche preziosi. Proviene proprio da queste tombe la maggior parte dei numerosissimi manufatti (ceramiche, terrecotte, gioielli, amuleti, scarabei) che oggi si trovano custoditi presso i maggiori musei sardi, italiani e stranieri, recuperati in occasione degli scavi regolari e soprattutto clandestini che almeno dal 1830 hanno interessato le necropoli tharrensi.
A partire dalla conquista romana dell’isola, avvenuta nel 238 a.C., iniziò un processo di profondo cambiamento che ebbe compimento solo in età romano-imperiale. All'età repubblicana viene fatta risalire la costruzione del cosiddetto “tempietto K”, attribuito al II secolo a.C. che, pur rifacendosi a schemi architettonici tipicamente italici, conserva alcuni elementi di tradizione punica. Il reimpiego, nel complesso monumentale romano, di due blocchi che recano incise alcune lettere semitiche ha fatto ipotizzare l’esistenza di un preesistente tempio, definito per tale ragione “tempio delle iscrizioni puniche”. Nella successiva età imperiale la città subisce un'imponente risistemazione urbanistica: attorno al II secolo d.C. le strade vengono dotate di una pavimentazione in basalto e viene realizzato un sistema fognario molto articolato per lo smaltimento delle acque bianche; vengono edificati numerosi edifici pubblici monumentali, tra cui tre impianti termali, ubicati nella parte centrale della città e dotati di spogliatoi, ambienti riscaldati artificialmente e altri in cui potevano farsi dei bagni freddi, in vari casi decorati con mosaici policromi. All'età imperiale risale l’acquedotto, i cui resti sono in parte visibili lungo la strada moderna che conduce agli scavi; a questo viene connesso il cosiddetto "castellum aquae", un grande edificio posto al centro della città, interpretato come deposito dell’acqua portata a Tharros dall’acquedotto.
Le aree funerarie appaiono più estese rispetto al periodo precedente: tombe romane ad inumazione e ad incinerazione compaiono lungo l’intera fascia costiera tra il Capo S. Marco e il villaggio di S. Giovanni, all’interno del fossato di "Su Murru Mannu" e nell’area compresa tra la Chiesa di S. Giovanni e la costa. Tra i numerosi tipi tombali documentati, si segnalano deposizioni in semplici fosse, sarcofagi monolitici, tombe alla cappuccina, inumazioni entro anforoni commerciali (enchytrismoi), tombe a cupa, incinerazioni in urna fittile o in piombo. In età paleocristiana ed altomedievale le principali strutture pubbliche romane subiscono delle modifiche. Il continuo spoglio delle strutture antiche, perpetrato per secoli, ha notevolmente pregiudicato la ricostruzione di questa fase tarda della storia di Tharros. Sappiamo di una lenta decadenza, dovuta anche alle incursioni dei Saraceni, e di un progressivo spopolamento, sebbene la sede episcopale sia rimasta ancora a lungo nella città. È solo nel 1071 che questa viene trasferita a Oristano, divenuta anche capitale giudicale, decretando ufficialmente la fine del centro antico http://www.tharros.sardegna.it/
Mercoledì 2 gennaio, dopo la bella mattinata trascorsa a Tharros, ho visitato un altro sito gestito sempre dalla Società Cooperativa Penisola del Sinis: il Civico Museo Archeologico di Cabras, inaugurato nel 1997 e dedicato a Giovanni Marongiu, Ministro della Repubblica e grande sostenitore e promotore del progetto museale.
La struttura custodisce importanti testimonianze del territorio dalla preistoria al Medioevo: sono esposti in maniera permanente materiali provenienti dall’insediamento di Cuccuru is Arrius e di Sa Osa, dalla città di Tharros e dal relitto romano di Mal di Ventre. Come si può leggere sul sito del Museo, la prima sezione della struttura è dedicata a Cuccuru is Arrius, un grande sito preistorico scavato negli anni 1976-1980. Le tracce archeologiche più antiche provengono dalla necropoli del Neolitico medio (V millennio a.C.), nelle cui tombe a grotticella artificiale i defunti erano deposti in posizione fetale, accompagnati da ricchi corredi costituiti da vasi ceramici, statuine femminili in pietra, monili e strumenti in ossidiana e in osso. Le successive fasi abitative, dal Neolitico superiore alle fasi iniziali dell’Età del Rame (fine V-inizi III millennio a.C.), sono documentate da ceramiche lisce e con ricche decorazioni incise, oggetti per la filatura e la tessitura, statuine votive in ceramica e in marmo, strumenti in pietra e in rame. La frequentazione dell’area in epoca nuragica è attestata dalla presenza di un tempio a pozzo che venne riutilizzato in epoca romano-repubblicana (III-I sec. a.C.) come sede di un culto agrario e salutifero, cui si riferiscono numerose statuine femminili, altri tipi di terrecotte e altri oggetti votivi. I materiali di una necropoli di età imperiale romana (I-III sec. d.C.), con tombe ad incinerazione ed inumazione, riportano alle ultime fasi di vita dell’insediamento.
Il Museo ospita numerosi materiali provenienti dal sito di Sa Osa, sede di un grande insediamento preistorico e nuragico, frequentato dall’Età del rame (III millennio a.C.) alla prima Età del Ferro (IX-metà VIII sec. a.C.). Il villaggio è caratterizzato da strutture abitative infossate nel terreno che hanno restituito resti di pasto, ceramiche e strumenti in osso e in ossidiana. Nell’area erano scavati numerosi pozzi nuragici, in uno dei quali, profondo circa 5 metri, sono stati rinvenuti numerosi reperti ceramici, ossa di animali, semi d’uva e di fico. L’umidità presente nei pozzi ha fatto sì che si conservassero resti vegetali che, insieme alle numerose ossa animali, consentono di ricostruire le attività produttive delle genti nuragiche insediate nell’area.
Dal 22 marzo 2014 due sale del Museo sono dedicate alle sculture di Mont'e Prama. Nel sito di Mont’e Prama, ubicato al centro della Penisola del Sinis, fu indagata negli anni Settanta una necropoli nuragica riferibile ad una fase molto avanzata di tale civiltà, probabilmente al periodo compreso tra il 950 e il 750 a.C. All’interno di una trentina di tombe a pozzetto circolare erano deposti inumati di entrambi i sessi, in posizione seduta o inginocchiata, senza corredi di accompagno. Al di sopra furono rinvenuti oltre 5000 frammenti di un complesso statuario, distrutto intenzionalmente in epoca successiva. Tali frammenti, oggetto di un lungo restauro negli anni 2007-2011, si riferiscono a quasi trenta statue maschili alte fino a 2,50 metri, rappresentanti pugilatori, arcieri e guerrieri, oltre che ad almeno sedici modellini di nuraghe, sia del tipo complesso che monotorre. Il Museo di Cabras ospita una selezione di statue maschili e di modelli di nuraghe esposti nell’ambito di una musealizzazione temporanea, articolata nei due poli di Cabras e del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.
La sezione dedicata a Tharros offre una panoramica dettagliata delle indagini archeologiche condotte dall’Ottocento in poi, in particolare nelle due necropoli fenicie e puniche, nel tofet e nel quartiere metallurgico punico. Dalle aree funerarie provengono ricchi corredi costituiti da ceramiche, oggetti personali e di ornamento. Nel tofet erano deposte migliaia di urne in ceramica, contenenti resti incinerati di bambini e di animali; a queste erano associate centinaia di stele in arenaria, piccoli monumenti votivi spesso raffiguranti in dimensioni ridotte edifici di culto e simboli divini.
L’ultima sezione del Museo, inaugurata il 7 giugno 2008, ospita i materiali provenienti da un relitto di una nave oneraria romana ritrovato nel 1989 nel braccio di mare compreso tra la costa del Sinis e l’isola di Mal di Ventre (relitto di Mal di Ventre). Il relitto deve la sua importanza al carico, interamente costituito da circa mille lingotti in piombo, unico caso finora documentato per il mondo antico. I lingotti, del peso di circa 33 kg ciascuno, sono dotati del cartiglio epigrafico che riporta il nome dei produttori, nella maggioranza dei casi i fratelli Caio e Marco della famiglia dei Pontilieni. Sulla nave furono recuperati materiali della dotazione di bordo, tra cui quattro ceppi di ancora e due contromarre in piombo, tre ancorotti, due scandagli, alcune macine in basalto, anfore da trasporto destinate a contenere le scorte alimentari dell’equipaggio, scarsa ceramica d’uso, vasi in bronzo, circa 200 proiettili in piombo e una moneta; appartenevano invece allo scafo numerosi chiodi in bronzo, lastre di rivestimento e un tubo in piombo della pompa di sentina. Le numerose analisi effettuate sui lingotti, rese possibili grazie alla collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso e con il CNR di Pisa, hanno dimostrato l’eccezionale purezza del metallo, proveniente dalle aree minerarie della Sierra di Cartagena, in Spagna, area da cui verosimilmente proveniva la nave, affondata tra l’89 e la metà del I sec. a.C. ( http://www.museocabras.it/museo/
I miei più sinceri ringraziamenti alle due gentilissime guide turistiche che mi hanno accompagnato nell'Area Archeologica di Tharros e al Museo Civico "Giovanni Marongiu" di Cabras: Renzo Carrus, che con competenza, professionalità ed entusiasmo mi ha consentito di esplorare ogni angolo di quello che è considerato uno dei siti archeologici più suggestivi ed importanti della Sardegna e di immergermi nella sua storia millenaria; Maria Lucia Pinna, che con competenza, professionalità ed entusiasmo mi ha accompagnato nelle belle sale del Museo, raccontandomi approfonditamente e con grande coinvolgimento la storia e le caratteristiche del bellissimo percorso museale.
Un sentito ringraziamento alla Società Cooperativa Penisola del Sinis per l'impegno profuso nel promuovere e valorizzare il patrimonio storico, archeologico e naturalistico del Sinis, in collaborazione con il Comune di Cabras, la Soprintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano, l’Area Marina Protetta “Penisola del Sinis – Isola di Mal di Ventre”, le Associazioni culturali e gli operatori turistici attivi nel territorio.
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