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venerdì, 23 dicembre 2016 14:12 |
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Francesca Bianchi
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FtNews ha intervistato la professoressa Giuliana Borghesani, autrice del libro La Stirpe del Sole. Laureata in lettere classiche all’Università di Padova e specializzata all’Università di Pisa in Archeologia Preistorica, ha partecipato a scavi archeologici in Italia, all’organizzazione di convegni internazionali, all'ordine e alla revisione di collezioni preistoriche. Insegnante di ruolo di Lettere, ha curato varie raccolte di racconti, anche in antologie con altri.
Ne La Stirpe del Sole la studiosa ripercorre la leggenda della "strega" Medea in chiave storica, con riferimenti precisi del periodo antico. Nata nella lontana e misteriosa Colchide, Medea raccoglie le conoscenze antiche delle donne della terra del Vello d’oro. Figlia del re Aieta, signore di quei luoghi, nipote di Circe e di Pasifae, madre del Minotauro, Medea conosce passione e ragione, e la trasporta l’amore per un uomo indegno. Dalla notte dei tempi le donne dipendono dalla Luna, la grande Madre, signora degli animali, eppure Medea appartiene anche alla stirpe del Sole, un dio forte e maschile. Si mescolano in lei il mondo che tramonta, dove il matriarcato le vede Regine, e quello nuovo indoeuropeo che si affaccia, dove è il patriarcato che impera. L’età del Bronzo è punto di svolta tra queste diverse società. Euripide ci ha lasciato l'immagine di una Medea assassina; forse non è stato così, forse serviva che così fosse per i Greci del V secolo, ma la verità si può leggere diversamente.
Nel corso della nostra bella intervista, la prof.ssa Borghesani ci ha rivelato qualche dettaglio in merito alla struttura del libro, parlandoci anche del motivo che l'ha spinta a scrivere questo lavoro che riabilita la figura di Medea, restituendole giustizia e dignità. Fermamente convinta che Medea è stata una donna innamorata che ha scoperto in ritardo che l’oggetto del suo amore non era degno di lei e che, nonostante tutto, ha continuato a dedicare anima e corpo a questo amore per tenere in piedi la famiglia, la studiosa ha espresso il desiderio che in futuro si possano rileggere le figure emblematiche della Storia con maggiore equilibrio e, soprattutto, verità.
Quando ha maturato l'idea di pubblicare il libro "La Stirpe del Sole", romanzo ricco di precisi riferimenti storici che cerca di restituire dignità e giustizia alla figura di Medea?
Difficile dire quale momento preciso abbia segnato l’inizio di questa avventura. La mia formazione è archeologica, quindi ho sempre apprezzato il mito. Tempo fa ho scoperto che Medea era nipote sia di Circe che di Pasifae, due donne particolarmente interessanti, che nella storia hanno anch’esse rivestito un aspetto negativo; madre del Minotauro l’una, strega e distruttrice di uomini l’altra. Mi ha incuriosito e ho cercato di vedere meglio le implicazioni contenute nel mito. Poi ho provato ad ambientare più esattamente la storia nel periodo corretto, l’età del Bronzo nel Mediterraneo. Prima di diventare mito, la storia era leggenda e, prima ancora, ricordo atavico di fatti e di riti realmente esistiti in tempi ancora più lontani, di cui già nell’epoca della Grecia classica si era perso il vero significato. La scoperta che a Corinto, dove si svolge la storia di Medea, esisteva un santuario dedicato a Hera, dea della famiglia, dove come rito di passaggio si portavano i bambini, è stata illuminante. Lì erano come morti per la famiglia e dopo un anno riemergevano diversi e adulti.
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Giuliana Borghesani (foto di Cinzia Rosati)
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Questo mi ha convinto che la “strega” Medea, donna barbara per i Greci, proveniente dal paese delle maghe, la Colchide, non avesse ucciso i figli, ma solo ingannato un marito fedifrago. E Giasone di figli ne ha anche scordati altri, tanto che Hera, sua protettrice all’inizio, l’ha abbandonato al suo destino. Non ci voleva altro per farmi fantasticare a come sarebbe dovuta essere la vita di Medea e così ho fatto.
Come è strutturato il libro?
Inizio la storia immaginando che un uomo, che poi diventerà un Titano, Prometeo, sia giunto in Colchide per offrire la conoscenza della fusione dei metalli. In quella terra c’era una grande quantità di oro che si raccoglieva utilizzando una pelle di pecora. Nel Caucaso esiste una leggenda o un mito, simile a quello di Prometeo, quindi ho stabilito le premesse del futuro regno di Colchide. Poi ho immaginato che il racconto prendesse le mosse dal momento della nascita di Medea, alla presenza delle due zie: Circe, lo spirito, e Pasifae, la passione. Sono le due caratteristiche che vedo combattere nell’animo della protagonista, preda della passione da un lato e della logica rigorosa dall’altro. Quindi getto un occhio sulla vicenda di Giasone, recuperando tutta la sua storia, considerando che la generazione degli Argonauti è stata la generazione dei padri, quelli che hanno esplorato e creato rapporti commerciali. La generazione seguente sarà quella dei figli conquistatori che hanno distrutto Troia. Tra l’altro, è curioso notare come Circe, zia di Medea, si accompagni a Ulisse, figlio di Laerte, compagno di Giasone, nell’impresa del Vello d’oro. Il racconto si chiude con una Medea che ha recuperato la sua famiglia, i suoi figli e che, tornata in patria, si dedica ancora allo studio delle erbe medicamentose e, forse, velenose, ormai serena.
A quali fonti ha attinto nella fase di ricerca del materiale?
Due sono i filoni: uno letterario, l'altro archeologico. Ho attinto ad Euripide, Seneca e al testo degli Argonauti, per quanto riguarda la storia di Medea, e ad uno studio su Euripide che dimostra come agli Ateniesi del V secolo sembrasse ovvio che una donna barbara e strega fosse lasciata in disparte rispetto a una greca. Teniamo conto anche del fatto che le donne greche, eccetto forse le spartane, vivevano chiuse nei ginecei. Medea, invece, mostra un carattere più forte e deciso di loro. Ciò era impensabile all’epoca del tragediografo. L’altro aspetto indagato, più inerente ai miei studi, è stato quello archeologico: la Colchide, terra ricca di oro e di grano (oro vegetale), meta dei Greci che tramite il poema degli Argonauti ci raccontano l’esplorazione geografica propedeutica alla conquista; Creta, ricca e civile, circondata dal mare e senza mura, ispirazione dei Micenei, che da quella civiltà attingeranno molto; infine l’età del Bronzo in terra d’Italia, così diversa, meno ricca, ma altrettanto interessante. Ho cercato anche di ricordare come molti riti che si evincono dal racconto mitologico in realtà erano già all’epoca il ricordo di riti e credenze neolitiche, oscure presenze di un passato ricordato oralmente nei suoi aspetti rituali e non più presente nella sostanza della credenza.
Euripide ci descrive Medea come un'assassina così spietata da uccidere i suoi stessi figli. Chi era, secondo Lei, la vera Medea?
La vera Medea è una donna della Colchide, il paese noto per le conoscenze tipiche delle donne riguardo la medicina naturale. Una donna complessa e difficile, ma assai stimolante, quasi una donna moderna. Si tratta di una figura che incute paura; non a caso, in tempi ben più recenti, donne con queste conoscenze sono state bruciate come streghe. Medea è una donna che ama, che scopre in ritardo che l’oggetto del suo amore non è degno di lei, ma decide di seguirlo sempre e comunque. Ha tagliato i ponti con il padre e con il suo mondo e si dedica anima e corpo a questo amore, cercando, consapevolmente, di tenere in piedi la famiglia.
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Giuliana Borghesani (foto di Cinzia Rosati)
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Una donna tradita ed umiliata, coraggiosa e sfortunata, che troverà un altro uomo che si propone di aiutarla, salvo pretendere quello che troppo spesso si chiede in cambio ad una donna.
Cos'era, secondo Lei, il culto della Grande Dea Madre?
Senza voler essere blasfema, ritengo che il modo di immaginare Dio come madre sia la più semplice delle posizioni umane. La nostra mente può costruire le immagini che vuole, può anche credere fermamente in un Dio creatore e ordinatore dell’Universo, ma l’istinto dice a tutti noi che la Madre è il primo e l’ultimo riferimento degli uomini: la prima parola che impariamo e l’ultima che pronunciamo al termine della vita. Quindi mi pare possibile, se non addirittura certo, che nell’infanzia del mondo sia stata la Grande Madre, o almeno la speranza della sua esistenza, ad aiutare gli uomini ad affrontare la complessità della vita.
Che peso hanno avuto in merito le ricerche di Marija Gimbutas, straordinaria studiosa che con instancabile passione ha indagato i culti della Vecchia Europa dell'età neolitica?
La Gimbutas ha avuto il grande pregio di mostrare coraggio. Non è da tutti costruire un tale complesso di studi, deduzioni e certezze, riferendosi ad un tempo tanto lontano, quando nessun testo scritto può supportare le intuizioni geniali, a mio parere, che hanno caratterizzato l’opera della studiosa. Personalmente mi ha sempre affascinato l’aspetto spirituale degli antichi e, nel corso dei miei studi, mi sono sempre immaginata la loro sensibilità, il loro modo di affrontare l’imperscrutabile e l’infinito, consapevole che è difficile, senza dati oggettivi, ricrearne il pensiero. Per questo ho sempre ammirato la Gimbutas, che si è impegnata in ciò con notevoli risultati.
Quale messaggio si augura possa arrivare ai lettori del Suo libro?
Non sono una femminista, credo che uomini e donne siano un coacervo paritario di pregi e difetti, ma ovviamente, dato che sono donna, mi piacerebbe che colpe e virtù siano equamente divisi e mi disturba che, invece, ci siano pregiudizi millenari. Vorrei che si potessero rileggere le figure emblematiche della Storia con meno maschilismo e meno femminismo, ma con equilibrio e, per quanto possibile, verità. Inoltre, ho un piccolissimo desiderio: aiutare a riportare in auge gli studi classici e l’amore per il passato, perché solo conoscendo chi siamo stati, sapremo consapevolmente decidere chi saremo
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