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sabato, 20 maggio 2017 08:13 |
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Una delle shatter cones ritrovate sul cratere d'impatto.
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Francesca Bianchi
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FtNews
ha intervistato Alessandra Murgia, autrice insieme a Nicola Betti e a Luciano Melis del libro Il mare addosso. L'isola che fu Atlantide e poi divenne Sardegna, che stasera verrà presentato al Salone del Libro di Torino e martedì 23 maggio sbarcherà alla Libreria Aseq di Roma. Un saggio storico avvincente ed entusiasmante che, con il supporto di scrupolose testimonianze archeologiche e scientifiche, delinea uno scenario che potrebbe cambiare il volto della storia.
Nel corso della nostra coinvolgente intervista, Alessandra Murgia ci ha raccontato della grande emozione provata durante il rinvenimento, nel Sulcis, dei frammenti ferrosi di un meteorite, tracce di un cataclisma di dimensioni planetarie che colpì in modo particolarmente grave la Sardegna. Questo evento catastrofico causò un violento megatsunami che distrusse la civiltà intorno al 9700 a.C., data in cui Platone colloca la fine di Atlantide. Proprio in merito a questa mitica isola, la studiosa ha asserito con convinzione che non si tratta di una mera invenzione platonica, arrivando ad identificarla proprio con l'attuale Sardegna. La Murgia, ribadendo più volte che la storia del mondo e dell'umanità non è quella che abbiamo appreso sui libri di scuola, ha sottolineato che questo libro vuole essere proprio un invito allo scambio, all’apertura verso argomenti spesso banalizzati, un appello alla ricerca libera da pregiudizi e alla collaborazione tra appassionati e accademici.
Come e quando avete maturato l'idea di dare alle stampe il libro "Il mare addosso. L'isola che fu Atlantide e poi divenne Sardegna", un saggio in cui si delinea uno scenario che riscrive la storia del mondo?
L’idea del libro è maturata molto lentamente nel tempo, per poi subire un’accelerazione durante il mese di agosto 2016. Poiché, ad un certo punto, le prove raccolte erano tali da permetterci di condividere la scoperta con i lettori, abbiamo preso i contatti con Arkadia Editore. Le bozze hanno immediatamente interessato la casa editrice, che ha deciso, così, di pubblicarci nel giro di qualche mese.
Come e quando sono iniziate le Vostre ricerche?
I lavori di ricerca andavano avanti dal 2013, anno in cui abbiamo rinvenuto le prime pietre che, in un primo momento, definivamo “anomale” e che poi abbiamo compreso essere dei meteoriti. Le indagini sono iniziate per puro caso, come si evince anche nel capitolo del libro dedicato alla scoperta. In realtà noi non pensavamo di scrivere un libro né cercavamo qualcosa in particolare. Diciamo che la storia si è dipanata e quasi scritta da sé, come se il destino avesse scelto noi per fare quel ritrovamento e comunicarlo al mondo, ma non vi è stato nulla di programmato.
Dove si sono concentrate?
Dopo i primi fortuiti ritrovamenti, si è pensato di approfondire lo studio del territorio che aveva fornito i primi elementi. Ci siamo accorti che l’area interessata, almeno al momento, è pari a circa 40 chilometri quadrati che insistono sui comuni di Pula e Sarroch, anche se non possiamo escludere che la superficie colpita possa essere molto più vasta. Poi è seguita la fase di contatto con Università e laboratori di tutto il mondo per procedere alle analisi dei materiali rinvenuti. Dato che gli studi sono ancora in corso e molti dei nostri campioni sono tuttora in laboratorio, è probabile che in futuro vi saranno altre tracce interessanti da seguire.
Qual è stato il filo conduttore delle Vostre ricerche?
Dopo il primo momento di incredulità e sconcerto, seguito dal ritrovamento di tutte quelle prove indirette che consentono di distinguere un cratere vulcanico da un cratere meteorico, abbiamo cominciato a pensare che quelle che avevamo in mano potessero essere le prove di quell’evento distruttivo di cui gli antichi Egizi avevano parlato con Solone nel 590 a.C., un evento noto a tutti attraverso il racconto successivo fattone da Platone nel Crizia e nel Timeo: la fine di Atlantide. In fondo, gli anziani di Pula parlavano ancora di una vecchia leggenda, tramandata di generazione in generazione, nella quale veniva ricordata una pioggia di pietre infuocate (Perdas de fogu in sardo) che cadeva dal cielo. Quindi abbiamo allargato il territorio di ricerca, poi abbiamo utilizzato modelli di ricostruzione al computer, anche cercando le tracce sottomarine dell’evento. Ad un certo punto la ricerca è necessariamente diventata multidisciplinare, coinvolgendo campi come la geologia, la mineralogia, l’astronomia, la storia, l’archeologia, la geografia e l’antropologia.
A quali fonti avete attinto?
Le fonti, come ho accennato poco fa, sono state moltissime. Basti pensare che il libro ha una bibliografia di quattordici pagine. I testi che abbiamo esaminato riguardano non solo argomenti di carattere storico, ma includono anche saggi scientifici e parecchi studi sugli affascinanti miti di popolazioni che non dovrebbero mai essere entrate in contatto tra loro prima dell’epoca moderna, ma che raccontano tutte la medesima storia: la distruzione della civiltà provocata dall’ira di un qualche dio che, scagliando fulmini o saette dal cielo, provocava un diluvio universale. Un modo primitivo per descrivere un mega-tsunami provocato dalla caduta di meteoriti.
Come è strutturato il libro?
Tra un prologo e un epilogo, si avvicendano una premessa e cinque capitoli che, passo dopo passo, accompagnano il lettore verso la nostra interpretazione del caso.
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Impattite rinvenuta sul sito oggetto di studio
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Il Vostro saggio parte dal ritrovamento nel Sulcis dei frammenti ferrosi di un meteorite. Riprendendo il sottotitolo del libro, come, quando e perché questo sciame di meteoriti cambiò per sempre il volto del Mediterraneo?
Il sottotitolo è molto esplicito e, per quanto sensazionale possa sembrare, non fa altro che raccontare ciò che abbiamo rinvenuto: le tracce di un cataclisma di dimensioni planetarie che colpì in maniera particolarmente grave la Sardegna. Ciò perché questi meteoriti non si limitarono a colpirla sulla terraferma, ma caddero in mare, provocando tremendi tsunami. Di fatto una situazione molto simile a quella che colpì l’isola di Atlantide nel 9700 a.C., così come descritta da Platone, la quale in circa ventiquattro ore venne messa in ginocchio da una pioggia di meteoriti e dai conseguenti maremoti, causando, molto probabilmente, la fine della Civiltà Sarda dell’epoca.
Quale zona della Sardegna fu colpita maggiormente da questo cataclisma?
Sebbene la traiettoria dello sciame meteorico che abbiamo individuato riguardi per lo più il sud della Sardegna, riteniamo che l’enormità della catastrofe fu tale da interessare l’intera isola che, ricordiamo, all’epoca era unita alla Corsica.
Come siete riusciti ad individuare un possibile cratere d'impatto?
In primis grazie alla presenza delle meteoriti ferrose, poi anche grazie alla presenza di tutti quegli indicatori indiretti che sono legati ad un impatto meteorico, ovvero elementi significativi come le shatter cones, le microsferule, le impattiti, tutte tracce di quella tipica trasformazione geologica che investe un territorio interessato da una esplosione atomica o dalla caduta di meteoriti.
Dopo quanto tempo si ripopolò la Sardegna?
Nel libro citiamo in anteprima uno studio che nei mesi successivi è stato pubblicato su Scientific Reports, una rivista di Nature, dal quale si evince che gli uomini che abitavano l’isola nel X millennio a.C., cioè l’epoca del cataclisma distruttivo, non sarebbero i progenitori dei sardi moderni. La Sardegna, sempre secondo questi studi, sarebbe rimasta disabitata per millenni, fino alla nuova colonizzazione da parte di altre popolazioni, avvenuta nel Neolitico. Da questi migranti discenderebbero gli attuali sardi.
Quali sensazioni avete provato quando Vi siete trovati al cospetto di queste pietre ferrose, che potrebbero portare a quello che Voi chiamate "disseppellimento della storia"?
Ribadisco che prima della scoperta noi non cercavamo fama né pensavamo di scrivere alcunché. Abbiamo tutti delle occupazioni soddisfacenti e non era nemmeno lontanamente pensabile l’idea di mettere a repentaglio la nostra reputazione, affrontando argomenti così spinosi. Però, quando abbiamo cominciato a ricevere le prime conferme a quelle che in un primo momento reputavamo essere solo ipotesi fantasiose, il nostro punto di vista è cambiato radicalmente ed abbiamo cominciato a chiederci se fosse giusto tenere per noi una notizia del genere. Alla fine abbiamo deciso di condividerla nel libro, attraverso un discorso semplice e snello, ma non privo di supporti scientifici, storici e mitici.
Un capitolo del Vostro libro si intitola "L'umanità prima dell'umanità". A cosa fate riferimento con questa espressione?
E’ possibile che fra qualche decina d’anni il nostro mondo venga colpito da un asteroide, causando la fine del nostro mondo tecnologico? Gli astronomi dicono di si. In linea teorica, dunque, una civiltà avanzata potrebbe scomparire, lasciando ai posteri poco o niente del suo passaggio sul pianeta. Inoltre, se anche qualcosa rimanesse, come potrebbe essere letta da popoli con cognizioni, elaborazioni intellettive e percezioni diverse dalle nostre? Un DVD ritrovato tra 10.000 anni sarebbe probabilmente illeggibile. Cosa potrebbe rappresentare per l’archeologo del futuro un disco piatto con un incomprensibile buco al centro? La sua prima idea non sarebbe certo quella di riconoscerlo come un supporto digitale pieno di informazioni leggibili attraverso apparecchiature complesse. Molto probabilmente sarebbe portato a credere, così come facciamo noi, che la sua sia la civiltà più evoluta che abbia mai calcato il suolo terrestre e il gran numero di anni passati non farebbe che confermare le sue ipotesi per mancanza di prove. Penserebbe che quel disco luminescente fosse un ornamento indossato da antichi sacerdoti che tentavano di blandire il popolo al sorgere del sole, indossandolo come un’aureola. Ecco, ciò che intendiamo dire in quel capitolo è che non possiamo assolutamente essere certi di essere la prima civiltà umana e tecnologica ad aver abitato la Terra. Presentiamo anche alcuni casi interessanti che meriterebbero maggiore approfondimento.
Cosa Vi ha fatto pensare che Atlantide non sia affatto un'invenzione di Platone, ma realtà?
Platone nelle Leggi parla ancora di una civiltà vissuta diecimila anni prima, sottolineando: E quando dico diecimila anni, intendo diecimila anni. Questo passo ci ha indotto a pensare che Platone fosse stato già fortemente criticato dai suoi contemporanei, quando aveva raccontato la storia di un’isola distrutta da una catastrofe nel 9700 a.C. Pertanto, abbiamo concluso che non volesse dire novemila mesi, come qualcuno ha più volte affermato, parlando del mito atlantideo, ma che fosse stato più che preciso nel riportarne le cronache. Tra l’altro gli antichi Egizi, almeno dal V millennio a.C., erano dotati di un calendario solare, erano grandi scienziati ed astronomi e non potevano confondere i mesi con gli anni. Per loro il calcolo dello scorrere del tempo non era affatto un mistero, ma una scienza. Sarebbe stato imperdonabile per noi dare così poco credito al grande filosofo da una parte e agli scienziati Egizi dall’altra. In fondo, se le Colonne d’Ercole sono state davvero posizionate nel Canale di Sicilia in tempi remoti, quei tempi corrispondono all’epoca della caduta di Atlantide, cioè 12.700 anni fa circa, periodo in cui il livello del mare era più basso rispetto ad ora e le due isole che venivano così denominate erano ben visibili ai navigatori che arrivavano da Oriente.
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Impattiti conficcate nel granito a causa dell'esplosione meteorica.
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La Sardegna è stata Atlantide?
Noi sosteniamo di si. I lettori finora hanno risposto in maniera entusiasta alla nostra teoria. Diciamo che abbiamo rimesso Atlantide al suo posto e, considerando la scoperta fatta, le sue implicazioni e gli studi scientifici e storici, anche nella giusta epoca. Ovviamente senza dimenticare il mito, che contiene sempre una parte di verità, la cui comprensione si palesa più fortemente, quando altre tessere del puzzle della storia vanno ad incastrarsi, consentendone una più puntuale interpretazione.
Dove è possibile rinvenire immagini ed etimologie legate alla capitale di Atlantide?
Questo è un altro argomento che abbiamo affrontato approfonditamente nel libro. Tralasciando le località chiamate Perdas de Fogu, che casualmente si trovano sulla traiettoria del corpo celeste che portava in scia i meteoriti che abbiamo rinvenuto, vi sono tantissime tracce dell’evento nella toponomastica e nella geografia sarda. Inoltre, molte raffigurazioni simboliche tradizionali sembrano richiamare la forma urbis della capitale di Atlantide.
Quando la Sardegna è diventata Sardegna?
Per lungo tempo quest’isola è stata sotto la luce del Sole, tanto che molti geologi affermano che sia una delle prime terre emerse. Pertanto, perché negarle anche una lunga storia? Di fatto la Sardegna è sempre stata una grande terra, fatta di grandi uomini e monumenti. Ciclicamente ha ripetuto i suoi splendori: Atlantide prima, nuraghi e Shardana poi, Giudicati in ultimo. Aspettiamo un nuovo rinascimento per questa isola-museo che detiene il record mondiale di monumenti preistorici per chilometro quadro.
Questo libro delinea uno scenario che rivoluziona la storia sarda e cambia per sempre il volto della storia, portando alla luce una realtà molto diversa rispetto a quella che vorrebbe la nascita della civiltà in Medio Oriente. Dove è nata la civiltà? Perché, secondo Lei, la cultura cosiddetta ufficiale vuole occultare la storia vera?
I motivi possono essere diversi. Platone dice che Atlantide cadde nel momento in cui i suoi abitanti persero la virtù e divennero un popolo arido e avido. La damnatio memoriae del luogo fisico Atlantide potrebbe essere una nemesi storica portata avanti dai popoli un tempo assoggettati a questa potenza, prima apprezzata e poi odiata. Più realisticamente, invece, una civiltà che nasce in Occidente, lasciando un ricordo sfocato della sua esistenza, ricordata vagamente da alcuni miti e più precisamente dagli Egizi, va contro tutte le teorie storiche che nel tempo hanno concordato con la versione biblica dello sviluppo umano. Più localmente, possiamo dire che la storia della Sardegna non è organica al sistema Stato italiano, che cerca dal 1861 di aggregare popoli con culture, storie e tradizioni diverse. Si studiano i Mesopotamici, gli Egizi, i Greci e i Romani, in cui tutti possono riconoscersi, per poi concentrarsi solo sulle storie degli Europei e degli Americani. La storia della Sardegna non viene raccontata perché non appartiene al sentire comune degli italiani. Tutto cambierebbe se si accettasse l’ipotesi di una storia ben più remota di quella che viene raccontata, ove i civilizzatori provenienti da Oriente non sarebbero altro che i colonizzatori di terre ad Occidente, prima abitate da popoli civili e poi distrutte da un cataclisma.
Attualmente state lavorando a qualche progetto?
In realtà i nostri studi non si sono mai interrotti. Il progetto per il momento è questo. Speriamo, con il trascorrere del tempo, di potergli fornire ulteriore credibilità; i primi risultati ci fanno ben sperare!
Quale messaggio Vi augurate possa arrivare a coloro che leggeranno questo entusiasmante libro?
Ogni lettore trova una diversa chiave di lettura nei testi che approccia. Noi speriamo che nel nostro libro possa aver trovato lo spirito della condivisione, perché ciò che abbiamo scritto non è contro qualcuno o qualcosa, ma è un invito alla multidisciplinarietà, allo scambio, all’apertura verso argomenti che spesso vengono banalizzati senza una vera ragione scientifica. Il libro è un appello alla ricerca libera da pregiudizi, alla collaborazione tra appassionati e accademici. Inoltre, ultimo ma non meno importante, esso contiene una richiesta di rispetto nei confronti di chi ci ha preceduto, ma è stato dimenticato, e per la Terra che ci ospita transitoriamente, così come ha ospitato quei lontani antenati di cui abbiamo quasi perso il ricordo, una Terra sulla quale, parafrasando Sergio Atzeni, abbiamo il dovere di camminare leggeri.
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