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venerdì, 07 luglio 2023 05:27 |
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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Il prof. Aroldo Barbieri, già insegnante di Storia della lingua latina, Letteratura latina e Storia della retorica classica all’Università di Roma “La Sapienza”, del cui Senato Accademico ha fatto parte, ha rilasciato a FtNews una ricca intervista sul libro Tellus, La sacralità della terra nell’antica Roma (Salerno editrice, 2019), scritto dall’on.Gerardo Bianco (Guardia Lombardi, 12 settembre 1931 – Roma, 1º dicembre 2022) . Bianco, esponente storico della DC ed ex ministro dell'Istruzione, è stato un raffinato e dotto latinista.
Prof. Barbieri, in che senso possiamo parlare per l’antica Roma di una religione tellurocentrica?
Se ne può sicuramente parlare, ma serve un’importante premessa. Il culto della Tellus affonda le radici nell’età del bronzo in un’area vastissima, che va dai Pirenei alla Mongolia. Prima della dea Tellus c’era il Chaos, quindi l’indistinto, che è per natura stessa aniconico (come mette in risalto Bianco a p. 36). Quando si comincia a superare la dimensione indistinta e si va verso quella antropomorfa, a Tellus, principio femminile, si affianca il paredro Tellumo. Sull’idea che in origine ci fosse il chaos concorda anche la filosofia più immanentista e antiprovvidenziale, che è l’epicureismo. La prima e più importante distinzione va fatta, quindi, tra le teorie che presuppongono un demiurgo, una causa dell’evoluzione dal chaos all’ordine, e quelle che la considerano insita nella trasformazione evolutiva della Natura, secondo un criterio di casualità. In quest’ambito la religione della terra nella romanità si distingue per il particolare interesse alla dimensione concretamente spaziale su quella temporale, su cui insiste giustamente Bianco. È assai significativo al riguardo l’importante ruolo riconosciuto al dio Ianus, divinità del tutto romana (Ov. Fasti I, 89-90), dio degli inizi, principium deorum, ma anche dei passaggi e perciò bifronte, nonché al dio Termine. Divinità sì, ma anche protettore dei cippi di pietra, messi a delimitare il nascere della proprietà agricola. Una funzione assai pratica, per evitare confusione e liti, come confermato da Ovidio (Fasti II, 655-663): “Delle città, dei popoli segni il confine e dei grandi regni: ogni campo senza di te fia litigioso. Tu non sei partigiano, né sei corrotto dall’oro; serbi con retta fede i campi a te commessi” (trad. F. Bernini). Con Summanus, identificato da Varrone, il grande sistematore delle antichità Rerum divinarum, con Giove, le tre divinità sono i punti estremi di un triangolo. Summanus è espressione della elevatezza: penes Ianum sunt prima, penes Iovem summa (Aug. De civ. Dei, VII, 9 ).
Quando la Tellus diviene Terra madre?
È questo il secondo momento. Se il primo è il passaggio dal chaos all’ordine, l’identificazione con la terra, generosa dispensatrice di frutti all’uomo, sconta l’affermarsi dell’agricoltura con il suo bagaglio di divinazione dell’influsso astrale e il calendario dei momenti più significativi del ‘sacro’ rapporto tra Terra e umanità. L’agricoltura, divenuta l’attività principale, necessariamente stanziale, propone dei costumi, mores che mettono al centro, quale elemento positivo della società, l’agricola. Questi, vivendo a stretto contatto con la Tellus, ottiene da lei i giusti frutti (iustissima tellus) in cambio del suo sudato lavoro (cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 286- 292). Al contrario, il ‘nero’ mare desta diffidenza e viene legato alla rischiosa attività mercantile, che però genera maggiori ricchezze. Di qui la condanna moralistica dell’arricchimento e della avidità, di solito simboleggiata dall’oro e dal potere tirannico ed iniquo che la ricchezza facilita. Mentre nella Teogonia di Esiodo (vv. 36 e ss.) si legge che gli dei, dispensatori di beni, sono generati da Terra e Cielo (Gea-Demetra e Urano), questa ierogamia non è sottolineata nel mondo latino (come dice Bianco). Zeus diviene guida degli dei e degli uomini in nome della giustizia. Questo legame tra Zeus, “il migliore fra gli dei e la forza più grande”, e il ius è particolarmente sentito dai romani, che integrano in modo del tutto peculiare natura, divinità, giustizia e ritualità. Cicerone (De natura deorum II, 8-9) si spinge ad affermare che la cultura romana può essere inferiore a quella di altre popolazioni straniere, ma certamente prevale per religiosità, quale culto rituale della divinità. Intesa in questo modo, è del tutto valida la difesa che Bianco fa della religione dei romani, contro le valutazioni che la vorrebbero formale e ‘senza cuore’.
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Quale fu la posizione di Catone il Vecchio?
Con il De agricoltura di Catone si è già lungo quel cammino che porterà alla non sempre ben riuscita fusione tra religiosità romana e quella greco-orientale. Basti pensare a Marte, originariamente divinità della fertilità, del risveglio della natura nel mese di marzo (le festività dei morti si celebravano in febbraio), non della guerra, che era appannaggio di Bellona (un simbolo di questa sovrapposizione si ha nel proemio del De rerum Natura di Lucrezio). Catone, nella prefazione all’opera, celebra l’agricola quale cittadino modello, perché “è dagli agricoltori che nascono gli uomini più forti e i soldati più coraggiosi. Essi conseguono un guadagno massimamente giusto e il più stabile e meno soggetto all’invidia. Per null’affatto coloro che sono impegnati in questa attività sono soggetti a pravi pensieri" (trad. Canali-Lelli). In precedenza, Catone aveva stilato una graduatoria moralistica, che vedeva al secondo posto il mercante, poi il ladro e infine l’usuraio. Comunque in Catone, squisitamente romano, non abbiamo la celebrazione dell’età dell’oro con tanto di Saturnia Tellus, di una terra che dà i frutti spontaneamente.
In che misura il potere politico influenzò la sfera culturale e religiosa?
Siamo in presenza di un’interazione reciproca: sicuramente la religione della Tellus, come sottolinea a più riprese Bianco, ha fatto cultura e politica a Roma, ma questo rapporto pesa anche al rovescio: la politica ha diretto sempre il discorso circa l’interpretazione del fenomeno religioso. Questo è chiarissimo nel primo secolo a. C. La crisi della religiosità a Roma, denunciata da Sallustio (De coniuratione Catilinae IX 2), è crisi di tutta la repubblica romana. Sallustio, un sabino tradizionalista, denuncia nel Bellum Iugurthinuml’amore per il denaro, prima divinità, quale causa della corruzione che ha spinto molti comandanti e senatori romani a vendersi a Giugurta. Come avrebbe potuto un reuccio quale Giugurta far fronte alla potenza romana, si chiede Sallustio, se non ci fosse stata l'interessata connivenza di molti ai suoi piani?
Che dire del contributo di Cicerone e di Varrone Reatino?
Si tratta di un contributo importantissimo, lungo una linea di compromesso fra ideale ed utile e di sintesi fra religione della Terra e pantheon greco, quello elaborato da rappresentanti della Nuova Accademia: Cicerone e Varrone. In risposta a Lucrezio, che aveva equiparato la religio alla superstizione, denunciandone per di più la cinica delittuosità nel sacrificio di Ifianassa, Varrone dà fondamento alla religione civile di Roma: quel che conta non è il credere in Giove e negli altri dei, secondo quanto cantato dalla poesia mitopoietica; la religio si giustifica come instrumentum regni. È uno dei fondamenti, forse il più importante, nel rapporto tra l’uomo-cittadino e gli dei che assicurano a Roma la sua stessa esistenza, attraverso la pax deorum. Varrone è poi importante anche per il rapporto fra omen e rito. Questo ne rappresenta l’evidenza nella celebrazione della festa religiosa, legame evidente tra Roma e le sue divinità. Nel De lingua Latina, Varrone lega strettamente la parola alla Verità, lungo il percorso della ricerca etimologica, cara allo stesso Cicerone. L’Arpinate tiene poi a valorizzare il rapporto tra religione e diritto. In chiusura del secondo libro del De legibus, con un voluto riferimento al Platone dei nòmoi, Cicerone afferma che le leggi sono essenziali a mantenere insieme la struttura dello stato, constituta religione, una volta regolamentati i culti.
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Come interpretare la Saturnia Tellus di Virgilio?
Virgilio è dotato di uno spirito fortemente religioso e, soprattutto nelle Georgiche, opera una mirabile sintesi tra agricola, il cittadino più morale per via del contatto costante con la Tellus, la religione e il destino imperiale di Roma. Se un uomo mite come il mantovano si spinge ad indicare per bocca di Anchise, pater familias, che il destino dei Romani è l’impero (Aen. VI, 851-853), l’imporre la pace a costo di parcere subiectis e debellare superbos, questo richiede, al di là della funzione propagandistica a favore di Augusto e della gens Iulia, che si dia a un destino, presentato come conquista per sempre, un fondamento ideale. Virgilio riporta perciò in auge la Tellus di Saturno, quella che per l’uomo viene prima di Crono e di Giove, quella dell’età dell’oro. Per certi versi assimila i valori morali, che erano stati di Esiodo e del suo mito delle età, nella dimensione di Roma e della sua religione, molto concretamente legata all’agricoltura, ai Prognostica, ai riti e al calendario, che segna i momenti del rapporto tra l’uomo e dio.
Ovidio ha cercato di immedesimarsi nella mentalità arcaica di Roma?
È significativo, per rispondere alla domanda, rilevare come la poesia di Ovidio corra su un doppio binario, in cui i Fasti prevalgono sulle Metamorfosi, il calendario sull’interpretazione cosmica dell’esistenza. A mio modo di vedere, anche nella reinterpretazione della religione di Roma, Ovidio porta a maturazione un processo, così come per l’elegia d’amore. Il Sulmonese ne rappresenta infatti la maturazione-conclusione, mostrando di tenere più alla forma che alla sostanza. Quale poeta aveva reso più dettagliatamente il rapporto uomo romano-divinità, recuperando miti e festività? Nessuno! Peccato che Ovidio nel suo calendario dettagli passo passo ciò che è fas e il suo opposto, ma senza comunicarci, salvo eccezioni, la sentita religiosità di Virgilio. Tutto nella realtà è trasformazione, metamorfosi, ed anche nella fede circa l’eternità di Roma cominciano a mostrarsi delle crepe.
Dopo i travagli dell’età giulio-claudia, con aperture sempre più importanti ad Iside, anch’essa una Magna mater, il culto della quale era stato introdotto a Roma fin dai tempi della seconda guerra punica, toccherà alla dinastia sabina dei Flavi riportare in auge la tradizione italica, ma si tratterà di un recupero solo temporaneo. Per una religiosità davvero sentita, bisognerà attendere la sintesi operata dal cristianesimo, lungo il percorso indicato dalle festività pagane reinterpretate ad uso del nuovo credo. Ma neppure il cristianesimo farà propria la dimensione aniconica dell’originale culto di Tellus, che resterà squisitamente romano.
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