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Don Francesco Cossu: una vita dedicata ad Arzachena

martedì, 04 ottobre 2022 06:06

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Benedizione delle Palme in piazza
Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
Questa estate, durante la mia permanenza in Gallura, ho conosciuto il rev.do don Francesco Cossu, per quasi quarant'anni parroco della chiesa di Santa Maria della Neve di Arzachena (SS). Profondo conoscitore della cultura agro-pastorale, nel corso della sua lunga vita don Cossu ha salvato la cultura orale gallurese. Convinto che con la morte dei vecchi, autentiche "biblioteche viventi", sarebbe scomparso tutto il patrimonio di tradizioni, storie e racconti che questi custodivano, ha deciso di andare di casa in casa per raccogliere le testimonianze di tanti, preziosi custodi della memoria, e registrare sui quaderni tutto quello che era destinato ad essere dimenticato per sempre. Nativo di Badesi, don Francesco è cresciuto con i nonni materni, semplici e saggi contadini e si è nutrito delle loro storie, delle leggende intrise di fede e di religiosità semplice. Il religioso ha fatto tesoro di tutto ciò. Nei suoi numerosi libri ha trascritto molti racconti orali tramandati attorno al focolare nelle veglie d'inverno o durante le lunghe sere estive alla ricerca di un refrigerio con i vicini di casa.
Nel corso del suo lungo apostolato ad Arzachena, il religioso è stato testimone della nascita della Costa Smeralda, dell'esplosione del turismo, delle profonde trasformazioni della comunità arzachenese e di tutta la Gallura. Don Francesco Cossu ha rilasciato una bella intervista a FtNews, partendo dalla ricorrenza dei cento anni dall'autonomia di Arzachena da Tempio Pausania e dal libro che ha pubblicato per l'occasione: Arzachena. Cent'anni di autonomia. Da Lu'nfarru a Lu Paradisu. Durante la nostra ricca conversazione ha affrontato molti argomenti: dalle condizioni di totale abbandono in cui vivevano cento anni fa gli arzachenesi alla lotta per la conquista dell'autonomia, dalla vita dura di chi viveva negli stazzi alle chiese campestri e al ruolo fondamentale esercitato dai parroci. A tal proposito ha spiegato che la parrocchia ha avuto un ruolo importantissimo nel creare il borgo, civilizzare la gente e obbligarla a coltivare la terra per poter vivere dei suoi frutti. Si è soffermato anche sull'avvento del turismo con la nascita della Costa Smeralda, di cui quest'anno è stato celebrato il sessantesimo anniversario. Ha ricordato l'Aga Khan, una persona intelligente e lungimirante che credeva nell'importanza del dialogo, nella libertà, nella pace. Ha infine invitato gli arzachenesi e tutti i galluresi ad accogliere i turisti, senza rinnegare le loro origini, la loro storia, le loro tradizioni, la loro identità.

Don Francesco, dal 1962 vive ad Arzachena, di cui è stato parroco dal 1977 al 2016. Ancora oggi rappresenta una guida autorevole e un punto di riferimento indiscusso per tutta la comunità arzachenese. Quest'anno, in occasione del centesimo anniversario dell'indipendenza comunale di Arzachena da Tempio Pausania, ha pubblicato il libro Arzachena: cent'anni di autonomia. Da Lu'nfarru a Lu Paradisu, dove ha ripercorso la storia di Arzachena prima che diventasse comune. Ci parli pure di questo suo lavoro, spiegando cosa ha permesso ad Arzachena di ottenere l'autonomia. Qual è stato il punto di forza degli arzachenesi?
Per rispondere a questa domanda bisogna partire dalla situazione di abbandono in cui si trovavano gli arzachenesi. Arzachena era completamente isolata: senza strade, senza luce elettrica, senza acqua potabile, senza fognature, senza scuole, senza medico, senza levatrice, senza l'ufficio dello Stato civile, senza l'ufficio di Conciliazione, senza uno spazzino, un necroforo, una guardia comunale, senza i carabinieri, senza un rappresentante nel Consiglio comunale di Tempio. Specialmente in 'Monti di Mola', oggi Costa Smeralda, priva anche del cimitero, quando vi era maltempo, capitava che le famiglie dovessero tenere in casa i cadaveri dei propri cari, a volte anche per una settimana.
Tempio si ricordava di Arzachena quando bisognava pagare le tasse. Le condizioni disperate degli arzachenesi furono la scintilla che fece scoppiare l'incendio della lotta per la conquista dell'autonomia. Nel libro: Arzachena: cent'anni di autonomia. Da Lu'nfarru a Lu Paradisu ho preso lo spunto dalla celebrazione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri e dalla presenza nel comune di Arzachena di un monolite chiamato Lu Capu di Dante (la testa di Dante), di una località chiamata Lu Canale di Lu'nfarru (il canale dell'inferno) e, verso la zona Pantogia, che sovrasta la Baia del Pevero, di uno stazzo chiamato Lu'nfarru (l'Inferno). Ho pensato di intrecciare l'Inferno di Dante con la situazione infernale in cui si trovavano gli arzachenesi cento anni fa. In queste condizioni di abbandono totale era forte il desiderio di essere liberi da Tempio e conquistare l'autonomia e realizzare il proprio Risorgimento. Un movimento popolare per uscire dall'Inferno fino ad arrivare, attraverso il Purgatorio, in Paradiso.
Il punto di forza degli arzachenesi è stato non solo la disperazione della loro situazione sociale, ma soprattutto la loro unione intorno a Salvatore e a Michele Ruzittu, i condottieri, come Mosè ed Aronne, verso la conquista dell'autonomia. Una lotta di tutto il popolo contro l'indifferenza di Tempio. Salvatore Ruzittu riuscì a unire tutte le frazioni del comune di Tempio contro il predominio del Capoluogo. Insieme i frazionisti riuscirono a vincere le elezioni comunali tenute nel 1914 e ad eleggere l'arzachenese Salvatore Ruzittu sindaco di Tempio. Nel ruolo di primo cittadino riuscì a sensibilizzare tutti i vari enti (Comune, Provincia, Parlamento, Senato) sulla necessità di promuovere l'autonomia di Arzachena, ottenuta il 4 ottobre 1920.
L'insediamento del primo consiglio comunale di Arzachena, il 14 maggio 1922, fu la conquista del paradiso.

A quei tempi ad Arzachena, così come in tutta la Gallura, era diffusa la cosiddetta cultura degli stazzi. Come si viveva all'interno degli stazzi? Quali erano le condizioni di vita della popolazione?
La maggior parte delle famiglie galluresi viveva nell'habitat disperso delle campagne, in luoghi impervi, in un totale isolamento, sfruttando, tuttavia, in modo razionale il territorio con gli alveari, con il taglio del legname, l'allevamento dei maiali, con l'utilizzo della quantità delle ghiande per la loro alimentazione, diversificando l'ambiente per l'allevamento del bestiame bovino e caprino e le terre riservate all'agricoltura. I pastori e i contadini erano molto legati alla loro terra. Quando i contadini, dopo la mietitura, riuscivano a introdurre il grano nella propria casa, erano felici perché consapevoli di avere il necessario per vivere. Era grande la gioia di avere il pane per tutto l'anno: il pane e il vino erano tutto. Per festeggiare la farina del nuovo grano, il 1° agosto le donne preparavano li chjusoni, gli gnocchetti lavorati a mano e conditi con la salsa di pomodoro del proprio orto. Questa usanza continua ancora oggi. Era una vita di sacrifici, una lotta per la sopravvivenza, ma vi erano anche la solidarietà, l'ospitalità, la fede. Si seguivano i ritmi della natura e il calendario liturgico.
Processione rionale guidata dal rev.do don Francesco Cossu
Ha affermato che si seguivano i ritmi della natura. In merito, ci racconti pure qualche curioso aneddoto.
Io sono arrivato ad Arzachena nel 1962 in qualità di viceparroco e sono ripartito nel 1965, per tornare, poi, nel 1973. Ho avuto la possibilità di conoscere la società agro-pastorale e l'inizio del fenomeno turistico, ho incontrato tanti anziani, custodi del prezioso patrimonio che trasmettevano oralmente. Ho raccolto parte di quella cultura agro-pastorale del tempo. Una signora mi raccontò che suo padre, un uomo molto anziano, nel tepore di una giornata quasi primaverile di febbraio, convinto fosse in estate, si tolse il maglione e rimase in canottiera. Questo accadde perché lei aveva comprato un melone e il padre, profondamente legato alla società agro-pastorale e ai suoi cicli naturali, sapeva bene che il melone è un frutto tipicamente estivo.

Quanto l'avvento della Costa Smeralda ha contributo a far cadere nell'oblio la cultura agro-pastorale e le tradizioni galluresi? La nascita improvvisa della Costa Smeralda fu come un repentino terremoto, una rivoluzione che sconvolse non solo il territorio, con la costruzione di ville, alberghi, discoteche, night e chalet, ma mutò l'economia, la vita sociale della comunità, le tradizioni e le usanze e la stessa struttura psicologica delle persone. Braccianti, contadini, pastori si allontanarono dalle campagne per trovare lavoro nell'edilizia e nel settore alberghiero. Soprattutto i loro figli frequentarono le scuole e si laurearono, indossarono i colletti bianchi. L'arrivo di turisti, ricchi e potenti, di teste coronate e di divi con macchine costose, panfili ed anche con elicotteri ed aerei personali suscitò e stimolò gli indigeni alla loro imitazione, alla corsa al denaro. Si ebbe un forte disorientamento, soprattutto fra i giovani, che si orientarono tutti verso il nuovo mondo del turismo, mentre gli anziani si sentirono come naufraghi, smarriti: la loro vita erano la terra e gli animali, la ciclicità delle stagioni, un mondo che il turismo spazzò via improvvisamente.

I giovani arzachenesi di oggi quanto sanno di quella che è stata la civiltà dei loro nonni, dei loro bisnonni?
Oggi si constata un ritorno e una ricerca di quella civiltà. Spesso vengono a farmi visita coloro che devono preparare tesi di laurea o studi particolari; le maestre mi invitano frequentemente nelle scuole per parlare ai bambini di quella cultura. Negli anni passati, invece, ci si vergognava della civiltà agro-pastorale, dei propri nonni che erano stati pastori nelle campagne. Si arrivò addirittura a non parlare più il gallurese e a buttare al macero i mobili, le poesie in gallurese, quel patrimonio prezioso dei loro avi. Adesso, invece, noto un ritorno alle origini.

Don Francesco, oltre ad essere la memoria storica di Arzachena e un pastore di anime stimato e benvoluto, lei è uno scrittore prolifico. Quanti e quali libri ha pubblicato nel corso della sua vita?
Ho pubblicato 26 libri che si possono dividere in tre settori: libri sulla Gallura e sulle tradizioni popolari galluresi, libri sulla storia e sulla cultura di Arzachena, libri sulla pastorale che ho svolto ad Arzachena. Il primo libro pubblicato, Tradizioni popolari di Gallura, è stata la mia tesi di laurea. Della cultura gallurese ho raccolto le preghiere in gallurese che i fedeli recitavano durante la loro giornata e in tutte le circostanze della loro vita, la tradizionale ospitalità, molte composizioni poetiche e musicali, la gastronomia, i proverbi, i racconti e, soprattutto, il Vangelo apocrifo di Gesù che i genitori raccontavano ai loro figli. Secondo i galluresi, infatti, Gesù non sarebbe fuggito in Egitto, ma in Gallura, dove sarebbe stato battezzato da San Giovanni Battista a Luogosanto.
Avrebbe visitato gli stazzi insegnando l'ospitalità, punendo chi non condivideva il pane con gli indigenti e premiando coloro che, pur non avendo nulla, erano pronti ad aprire la porta per accogliere chiunque, anche i mendicanti. Ho dedicato questo libro ai miei nonni materni e paterni, a tutti gli anziani di Aglientu e, soprattutto, di Arzachena, che mi hanno confidato i loro tesori.
I tanti racconti orali venivano tramandati attorno al focolare nelle veglie d'inverno o durante le lunghe sere estive alla ricerca di un refrigerio con i vicini di casa. Ho deciso di pubblicarli perché non venissero dimenticate per sempre le nostre radici, le nostre tradizioni, i nostri valori: in poche parole, per ricordare chi siamo.

Ha parlato di libri sulla pastorale che ha fatto ad Arzachena. Che tipo di pastorale ha esercitato?
Ad Arzachena ho esercitato una pastorale nuova voluta dal Concilio Vaticano II e dalla particolare situazione della comunità arzachenese. Constatai subito che il paese cresceva in maniera smisurata dal punto di vista demografico: negli anni Cinquanta Arzachena aveva 3500 abitanti, poi improvvisamente è diventata la seconda città della Gallura, dopo Olbia. Trovandomi parroco di questa immensa moltitudine di gente di diversa estrazione sociale, proveniente da tutte le parti del mondo, ho pensato subito che queste persone avessero necessità di incontrarsi, conoscersi, dialogare e vivere insieme fraternamente. Allora divisi il paese in 14 rioni, in ognuno dei quali cercai una decina di collaboratori con funzioni diverse. In ogni mese si organizzavano incontri con le famiglie nei garage e nelle stesse abitazioni: assemblee per discutere dei problemi delle singole comunità e prendere delle decisioni, celebrazioni del mese mariano nelle famiglie e la celebrazione di sante messe, anche la festa rionale con la processione, la messa e la cena comunitaria con i balli popolari. Abbiamo organizzato anche due sinodi e due congressi eucaristici, coinvolgendo tutta la comunità. Questa, per me, è la chiesa sinodale di Papa Francesco.

Che ricordo conserva di quel periodo e cosa ha provato quando ha dovuto lasciare la parrocchia?
Ho un ricordo bellissimo di tutti gli anni trascorsi ad Arzachena come parroco. Il sacerdote che inizia il suo ministero sposa la parrocchia per sempre e si sente sempre affezionato alla gente, per cui, quando mi staccai dalla parrocchia, nel primo periodo provai una grande sofferenza, ma subito dopo il Signore mi ha aperto le porte di tutte le parrocchie, facendo altre belle esperienze. Essendo in pensione e godendo ancora di buona salute, sono stato chiamato dai confratelli a collaborare nelle loro comunità. Ho visitato tutte le parrocchie della Gallura, tutte le chiese campestri. Durante questa estate, poi, sono stato nominato amministratore della parrocchia di Stella Maris, in Porto Cervo, un'esperienza interessantissima in un mondo particolare, durante l'estate, quando arrivano fedeli da tutto il mondo.
Giochi popolari in piazza
A proposito delle chiese campestri galluresi, come sono nati questi gioielli di pace e sacralità, disseminati solitari in tutto il territorio della Gallura?
Molte chiese campestri sorsero in conseguenza del fenomeno della transumanza dei pastori galluresi transumanti e spesso anche violenti. Ab immemorabili i pastori si spostavano alla ricerca di luoghi più idonei alla pastura degli animali: agli inizi di novembre verso le marine, dove trovavano un clima più mite, e alla fine di giugno verso le montagne, alla ricerca di pascoli e di acqua. Il protagonista era il cammino della transumanza, punteggiato di soste, di luoghi di riposo e di ristoro: nasceva l'esigenza di prendere fiato, di far pascolare e dissetare gli animali prima di arrivare alla meta. Nel cammino della transumanza, soprattutto negli incroci di varie strade dove c'era acqua e qualche struttura di accoglienza, quegli uomini sentivano il bisogno di sacralizzare il percorso, creando luoghi di culto per pregare e socializzare. Per evitare che avvenissero degli scontri violenti, si metteva una croce, la statua di un santo, si costruiva una cappella, come a suo tempo aveva fatto Matilde di Canossa lungo il cammino dei suoi pastori nomadi. Così sorsero molte chiese campestri che divennero luoghi di preghiera, di convivialità, di amicizia e di riconciliazione.

Che ruolo ha avuto la chiesa nella nascita dei vari borghi galluresi e nella civilizzazione di quelle zone?
Ha avuto un compito storico fondamentale, specialmente le chiese campestri di San Francesco d'Aglientu, di San Pasquale, di Santa Maria di Arzachena, di San Teodoro e di Trinità d'Agultu. La presenza dei parroci fissi, che alla predicazione del Vangelo e alla celebrazione dei sacramenti aggiunsero anche il compito di impartire la scuola ed insegnare alcune nozioni di agricoltura, favorirono lentamente la nascita delle varie comunità intorno alle chiese. Per poter frequentare la scuola, i pastori chiesero di costruire le loro case intorno alla parrocchia, dando così inizio ai vari agglomerati. Il parroco aveva anche l'obbligo di coltivare un lotto di terreno per invogliare i pastori a coltivare la terra e a diventare residenti, curava anche l'anagrafe per conto del Comune di Tempio. La parrocchia ha avuto un ruolo importantissimo nel creare il borgo e civilizzare quelli genti, invitandole a coltivare la terra per poterne raccogliere i frutti. Il prete era il confidente delle famiglie: i bambini lo chiamavano 'Babbai' , mentre gli adulti lo chiamavano con rispetto ed affetto 'compare'. La loro opera trasformò i pastori nomadi in agricoltori sedentari che si distinsero nell'onestà e nell'operosità.

Quanti anziani ha intervistato per realizzare la sua tesi di laurea dal titolo Tradizioni popolari di Gallura?
Tanti, e di tanti paesi della Gallura! Nei loro confronti provo molta gratitudine perché mi hanno donato non solo i loro racconti, ma anche le loro poesie, le foto, i loro vecchi libri: sapevano che li avrei custoditi e conservati come i loro tesori culturali; era come un passaggio di testimone. Pensi che i miei professori dell'Università Lateranense mi obiettarono di aver omesso nella tesi la bibliografia. Trovai molta difficoltà a far capire che la tesi era il risultato di un lavoro di raccolta della cultura orale, andando di casa in casa e registrando sui quaderni tutto quello che era destinato a morire: i vecchi erano delle biblioteche viventi e con la loro morte sarebbe scomparso tutto quel patrimonio.

Quest'anno sono stati celebrati anche i 60 anni della Costa Smeralda, intramontabile mito di fama mondiale. Il 14 marzo 1962, infatti, il Principe Karim Aga Khan, avendo subito intuito le potenzialità turistiche di questo angolo di Gallura, istituì il Consorzio Costa Smeralda. Lei ha conosciuto l'Aga Khan; che ricordo ne conserva? Com'era?
Sì, l'ho conosciuto, è anche mio coetaneo! L'Aga Khan è stata una persona illuminata, preparata: ha avuto un grande rispetto del territorio, delle caratteristiche dei luoghi, degli alberi, delle rocce; ha portato qui i migliori architetti del mondo. Il complesso edilizio ed urbanistico che ha realizzato è di particolare pregio, è il risultato di studi, di approcci, di progetti preparati sempre con attenzione maniacale verso una natura unica, inimitabile, un paesaggio fantastico composto armonicamente di emergenze rocciose, essenze arboree nobili e straordinarie, fra i quali domina, come vero re, il ginepro nella sua varietà di forme e di colori. La Costa Smeralda è, nella sua gran parte, un intervento turistico-ricettivo unico in Europa per la sua bellezza naturale e l’attenta connotazione progettuale, ammirata e rispettata da tutti i suoi visitatori occasionali o fissi. La nascita della Costa ha avuto risvolti sul turismo e in ambiti diversi su vasta scala, che ha interessato tutta la Gallura e particolarmente Arzachena.
L'Aga Khan ha avuto un grande rispetto anche nei confronti della nostra cultura, della nostra religione, decidendo di regalare subito alla Diocesi il terreno per poter costruire la Chiesa. Al termine delle funzioni religiose veniva sempre a salutare tutti; incontrava il vescovo, perché credeva importanza del dialogo, nella libertà, nella pace e nel benessere comune.

La nascita della Costa Smeralda ha indubbiamente migliorato le condizioni di vita di tanti galluresi.
Certamente. L'avvento della Costa Smeralda ha portato benessere non solo ad Arzachena, ma a tutta la Gallura. Dopo la guerra, molti abbandonarono le campagne, si arruolarono in Marina e tra i carabinieri, emigrarono nel triangolo industriale o all'estero per poter sopravvivere. Quando iniziarono i lavori in Costa, viste le possibilità di lavoro, quasi tutti tornarono in Gallura. Alcuni lasciarono il servizio militare e si inserirono nei lavori che offriva la Costa Smeralda.

È vero che ha scritto anche un libro per esortare i turisti a visitare le bellezze della Gallura interna?
Ho scritto due libri per i turisti: Nuraghi, stazzi e chiesette della Costa Smeralda e Il volo del Gabbiano. Nel primo invitai i turisti a non fermarsi nelle spiagge della Costa Smeralda, ma a conoscere anche il territorio dell'interno, che è un giardino, e ad incontrare le persone che vivevano ancora negli stazzi. Fino a qualche anno fa proponevo quattro itinerari per visitare tutto il territorio di Arzachena. I turisti partecipavano con entusiasmo; li portavo nelle chiese campestri, dove gli indigeni li accoglievano con la loro tipica ospitalità, con il sorriso, con dolci tipici e bevande. Nella Chiesa di Santa Lucia ho organizzato anche un incontro tra i turisti e i locali.
Nel secondo libro, più poetico, descrissi le bellezze della Gallura e invitai i turisti a non fermarsi a guardarle e a fotografarle, ma a rivolgere una preghiera e pensare al Creatore, autore di quelle bellezze.

Cosa si augura per il futuro di Arzachena e della Gallura tutta?
Mi auguro che gli arzachenesi si fermino a meditare e a riflettere. Nel mio ultimo libro ho immaginato una sorta di assemblea popolare, ho proposto di immaginare di voler vivere nell'Arzachena del futuro, come vorrebbero la loro città. Salvatore Ruzittu disse e scrisse più volte che la conquista dell'autonomia comunale fu il risultato dei sacrifici e di una lotta comune di tutti gli arzachenesi. Mi auguro anche che i galluresi e i turisti che vengono tra noi durante l'estate possano incontrarsi per abbattere i muri dei pregiudizi, per creare ponti e comunicazione, per riconoscersi fratelli e promuovere la pace. Anche il turismo è un segno dei tempi. I turisti siano i benvenuti, ma nel rispetto del territorio e della nostra cultura. E noi saremo aperti al turismo, ma senza rinnegare la nostra storia, la nostra cultura, la nostra identità, promuovendo sempre il dialogo fra le persone e le varie culture.
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05/10/2022 20:15:39
da: giovannicarta1943@gmail.com a: info@ftnews.it
Oggetto: INVIA UN COMMENTO ALLA REDAZIONE
Nome: Giovanni Carta
Messaggio: Don Francesco Cossu è un sacerdote che stimo moltissimo, sia perché oltre ad aver dedicato la sua missione alla comunità arzachenese ha saputo cogliere tutti gli aspetti culturali della nostra parrocchia. Ha saputo leggere nelle coscienze di tutte le famiglie cristiane e non gli affetti che caratterizzano i sentimenti dei singoli, per poi fonderli insieme in paese e nelle singole frazioni Il suo grande merito è stato quello fissare, con molte pubblicazioni, tradizioni che altrimenti sarebbero andate perse.
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