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giovedì, 24 febbraio 2022 08:13 |
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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FtNews ha intervistato il prof. Marco Peresani, autore del libro Come eravamo. Viaggio nell'Italia paleolitica (il Mulino editore, 2018; nuova edizione 2020, aggiornata agli ultimi ritrovamenti e arricchita da un glossario). Lo studioso insegna Culture del Paleolitico all'Università di Ferrara e all'Università di Verona e coordina ricerche sul popolamento umano della Penisola italiana e delle Alpi nel Paleolitico.
Peresani ci guida alla scoperta dell'Italia nel Paleolitico, facendo luce sulle caratteristiche del paesaggio, sul popolamento della nostra Penisola, sulle relazioni che i primi cacciatori-raccoglitori avevano con l'ambiente. Racconta che studiare la società, l'economia e la cultura delle popolazioni nomadi del Pleistocene attraverso l'archeologia è una vera e propria sfida che conduce a risultati sorprendenti. In un quadro europeo, parla delle conseguenze, anche tecnologiche, della produzione del fuoco, una vera e propria chiave di volta nell'evoluzione culturale umana, e si sofferma sulla comparsa in Italia dell'Uomo di Neandertal e sulle caratteristiche delle loro comunità sulla pratica del loro culto dei morti. Discute delle novità che introdussero gli Aurignaziani, rappresentate dal punto di vista della cultura materiale: furono gli Aurignaziani a portare l'arte delle caverne. A tal proposito lo studioso cita la grotta Chauvet, in Francia, datata a circa 40.000 anni fa. Infine, ricorda a tutti che prima di noi c'era qualcuno che aveva un rapporto sano ed equilibrato con il Pianeta, sopravvivendo in condizioni estreme per buona parte del tempo, anche senza conoscere il fuoco, quindi fidandosi e basandosi sulla capacità di leggere i segni del territorio e della natura. Questo rapporto è andato avanti per centinaia e centinaia di migliaia di anni ed è impressionante pensare a questa profondità temporale e a quanto velocemente stiano cambiando le nostre culture, la nostra economia e, ovviamente, il nostro rapporto con il Pianeta.
Prof. Peresani, lei coordina ricerche sul popolamento umano della Penisola italiana e delle Alpi nel Paleolitico. Nel 2018 ha pubblicato il libro Come eravamo. Viaggio nell'Italia paleolitica (il Mulino editore). Com'era l'Italia nel Paleolitico? Quando è iniziato il popolamento della nostra Penisola? Quali sono i luoghi più significativi del Paleolitico italiano o quelli da cui provengono più reperti?
L'Italia era estremamente diversa da quella attuale. Fino a circa 800.000 anni fa la Pianura Padana era ridotta alla metà di quella attuale; poi ci sono stati momenti, dopo le glaciazioni, in cui si era estesa più del doppio rispetto a oggi. Esistevano ambienti di foreste di conifere anche a quote basse, lambite anche dalle lingue dei ghiacciai alpini. Era una situazione incomparabile con quella attuale. Il popolamento della nostra penisola iniziò un milione di anni fa, anche se alcuni ritengono attorno a
800.000 anni fa. Le età, infatti, sono incerte e si basano su poche testimonianze distribuite soprattutto ai margini dell'Appennino.
I luoghi più significativi del nostro Paleolitico sono diversi; li troviamo sulle Alpi e sugli Appennini. Voglio ricordare il sito dei Balzi Rossi, in Liguria, in prossimità del confine con la Francia; la Grotta di Fumane, sui monti di Verona, che sono ricchissimi di siti paleolitici; famosi siti sorgono anche nella campagna romana; poi abbiamo il Monte Circeo; abbiamo altre grotte nelle Puglie, nel Gargano, molti siti anche all'aperto lungo il versante appenninico, senza dimenticare, poi, il Trentino, il Friuli, il Veneto, che hanno restituito, anche nei territori montani, interessanti testimonianze del popolamento delle montagne prima dell'ultima glaciazione e immediatamente dopo, come a raccontare la storia di una colonizzazione da parte dell'uomo di territori che si erano liberati in conseguenza del ritiro glaciale. I reperti più importanti vengono da queste zone.
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Grotta di Fumane, scavi. Cortesia Marco Peresani
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Cosa significa studiare la società, l'economia e la cultura delle popolazioni nomadi del Pleistocene attraverso l'archeologia?
Non abbiamo documentazione scritta, per cui dobbiamo ricavare tutto da ciò che riusciamo a leggere e a interpretare nella terra attraverso lo studio dei manufatti in pietra scheggiata, delle punte in osso, dei resti di focolare. Studiare la società, l'economia, la cultura delle popolazioni nomadi del Pleistocene attraverso l'archeologia è una sfida che porta a tanti aspetti interessanti. Con i Sapiens arrivano già gli sciamani. Tra Neanderthal e Sapiens l'economia cambia, ma non radicalmente. Ciò che cambia tra Sapiens e Neanderthal sono le reti, la connessione, le relazioni: i Sapiens sono più in grado di relazionarsi tra di loro. L'archeologia racconta tutto questo: narra frammenti della cultura materiale, ci racconta come apprendevano questi antichi primitivi, come si scambiavano le informazioni, se avevano una religione e delle credenze, se avevano attenzione per i propri defunti, come è attestato dalle numerose sepolture che costellano il Paleolitico superiore italiano. Le sepolture delle prime popolazioni Sapiens d'Italia sono ben conservate nel territorio italiano. I rapporti dell'uomo con le risorse disponibili nei territori erano giocati su un equilibrio ragionato e ben strutturato, un equilibrio che racconta migliaia e migliaia di anni di vita nella natura, nel rapporto con le forze naturali di quel tempo.
Quali sono i siti di maggiore interesse per la paleoantropologia e l'archeologia del Paleolitico inferiore italiano?
Del Paleolitico non abbiamo molto. Il dente umano più antico lo troviamo a Isernia La Pineta, sito risalente a circa 600.000 anni fa. Il Paleolitico inferiore italiano è noto anche nel sito di Pirro, nel Gargano; abbiamo siti a Castel di Guido, a Fontana Ranuccio, poi ci sono siti nel Molise e in Basilicata. Molti insediamenti si trovano lungo il versante appenninico, nella provincia di Piacenza. Qualcosa si trova anche nel Nord Italia.
La produzione del fuoco ha rappresentato una chiave di volta nell'evoluzione culturale umana. Quali conseguenze ha portato con sé questa grande rivoluzione culturale? In quale località italiana si diffusero i primi fuochi?
Indubbiamente la produzione del fuoco ha avuto un impatto straordinario sull'evoluzione culturale. Ci sono state conseguenze anche nel campo della tecnologia: col fuoco era possibile appuntire le lance, indurire il legno, trattare la selce per scheggiarla meglio, ma soprattutto ottenere sostanze adesive dal trattamento della corteccia di betulla. L'Italia vanta un primato in questo senso, dal momento che nella località di Campitello (Bucine, AR), in Valdarno, vennero ritrovate, all'inizio degli anni Duemila, due schegge coperte in parte da una masserella di pece, risalente a 250.000 anni fa. Quindi, almeno 250.000 anni fa i fuochi erano già prodotti in Italia. In Europa, invece, l'attestazione più antica risale a 500.000 anni fa.
Quando è comparso in Italia il Neanderthal? Quali erano le caratteristiche delle comunità Neanderthal e quali zone erano interessate dai loro spostamenti? A quali attività si dedicavano?
Potremmo pensare che il Neanderthal sia comparso in Italia intorno a 250.000 anni fa, ma non abbiamo resti specifici. I neandertaliani più classici che si conoscono sono quelli di Saccopastore, rinvenuto in una cava di ghiaia in località Sacco Pastore, nella campagna romana; poi abbiamo l’eccezionale individuo di Altamura, datato a 170.000 anni fa e conservato in questa grotta nel Tavoliere delle Puglie. Quanto alle caratteristiche dei Neanderthal, non sappiamo come fossero strutturate le loro comunità e i loro nuclei familiari. Sicuramente erano composte da tutti gli individui; le grotte erano abitate o dal gruppo intero o da uno sparuto numero di cacciatori. Le zone interessate dai loro spostamenti ce le tracciano le selci, cioè le pietre scheggiate provenienti dai vari affioramenti geologici. La selce era fondamentale per loro per ottenere strumenti. I Neanderthal si dedicavano a tutte quelle attività a cui si dedicavano i primitivi: la cura dei piccoli, la produzione di armi e utensili, la lavorazione del legno e della pelle, il recupero di pietre da scheggiare, il recupero di legna da ardere, tutto quello che comporta la vita in un campo nomade. Dalle acquisizioni degli ultimi anni di studi sappiamo che i Neanderthal procuravano piante e tuberi, che non disdegnavano per la loro alimentazione.
Le evidenze archeologiche che immagine ci forniscono dei Neanderthal? Qual era la pratica del loro culto dei morti?
Le evidenze archeologiche ci forniscono un'immagine più moderna, meno primitiva dei Neanderthal. Sappiamo che apprezzavano le conchiglie, che talvolta coloravano con l'ocra, anche se in maniera rara, infatti è rarissima l'attestazione dell'uso di oggetti ornamentali nel mondo neandertaliano. Sicuramente avevano una pratica del culto dei morti: non abbiamo trovato sepolture in Italia, ma ce ne sono state altre in Europa, associate talora a dei manufatti in pietra scheggiata o a qualche lastra di pietra. Nel Vicino e Medio Oriente, nelle zone dove i Neanderthal venivano seppelliti in grotte o in ripari, sono stati rinvenuti anche altri oggetti: pietre particolari, porzioni di animali, corna di capre selvatiche. Grazie ai ritrovamenti effettuati nella Grotta di Fumane, che ha restituito resti di uccelli rapaci, sappiamo che il Neanderthal usava le penne degli avvoltoi e gli artigli dell'aquila per farne degli elementi ornamentali.
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Lo sciamano di Fumane. Cortesia Marco Peresani
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Dove è attestata in Italia la presenza dell'Uluzziano? Come si riconosce un'industria litica uluzziana?
L'Uluzziano è una cultura materiale dei primi Sapiens che arrivarono in Italia tra i 45.000 e i 40.000 anni fa. La sua presenza è attestata in Veneto, in Toscana e nel Sud Italia, soprattutto nel Salento e in Campania. Un'industria litica uluzziana la si riconosce in quanto presenta dei manufatti ottenuti con tecniche completamente nuove e diverse rispetto a quelle adottate dai Neanderthal. Si tratta di manufatti in pietra scheggiata. Associati all'Uluzziano vi sono straordinari resti di conchiglie di forma tubolare, lavorate e usate per scopo ornamentale.
Degli insediamenti aurignaziani, invece, cosa possiamo dire? Quali novità portarono gli Aurignaziani dal punto di vista della cultura materiale?
Gli insediamenti aurignaziani sono diffusi in tutta la Penisola, ma non sono presenti né in Sicilia né in Sardegna: li troviamo ai piedi delle Alpi, nelle zone centrali dell'Appennino, lungo la costa tirrenica e adriatica, fino ad arrivare nel Salento e nel Gargano. Gli Aurignaziani furono importanti innovatori: secondo alcuni utilizzavano già l'arco e le frecce, ma questo non è ancora dimostrato. Sicuramente dimostrano una capacità elevata nella tecnologia di lavorazione della pietra; fabbricano piccole lamelle, piccoli oggetti che secondo alcuni potevano armare anche le frecce. Gli Aurignaziani non si limitano a utilizzare solo oggetti ornamentali, come conchiglie o qualche dente inciso, ma portano l'arte, l'arte delle caverne: famosissima la grotta Chauvet, in Francia, datata a circa 40.000 anni fa. Gli Aurignaziani arrivarono in Europa probabilmente dal Vicino Oriente. Sono rappresentanti di una nuova ulteriore migrazione, successiva a quella del primo Homo Sapiens portatore dell’Uluzziano. Si attestano per circa 10.000 anni nella nostra Penisola, lasciando chiare tracce sotto forma di resti di abitato, focolari e molte grotte.
Quale messaggio si augura possa arrivare ai lettori di Come eravamo. Viaggio nell'Italia paleolitica?
Mi auguro che i lettori di Come eravamo comprendano che l'Italia non è solo l'archeologia dell'antica Roma, del Medioevo, dei popoli italici o preromani, ma si fregia di un'archeologia di tempi profondi che ci rimandano a un'identità di uomini che ha avuto numerosi e radicali cambiamenti nel corso del tempo. Questo ci permette di considerare con rispetto l'identità di coloro che abitarono la nostra Penisola decine o centinaia di migliaia di anni fa, sopravvivendo in condizioni ambientali talora estreme, anche senza conoscere il fuoco, quindi fidandosi e basandosi sulle loro capacità di leggere i segni del territorio e della natura, cosa che purtroppo noi stiamo perdendo progressivamente e rapidamente in queste ultime decine di anni. Ricordiamo bene questo: prima di noi c'era qualcuno che aveva un rapporto sano ed equilibrato con il Pianeta, un rapporto che è andato avanti per centinaia e centinaia di migliaia di anni, ed è impressionante pensare a questa profondità temporale e a quanto velocemente stiano cambiando le nostre culture, la nostra economia e, ovviamente, il nostro rapporto con il Pianeta.
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