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mercoledì, 09 giugno 2021 09:04 |
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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FtNews
ha intervistato il prof. Calogero Micciché, autore del libro L’isola più bella. La Sicilia nella ‘Biblioteca storica’ di Diodoro Siculo (Edizioni Lussografica, 2020, II edizione). In questo saggio lo studioso ha raccolto tutti i passi di Diodoro Siculo che riguardano la Sicilia antica. Nella sua opera in 40 libri lo storico di Agirio riserva ampio spazio alla Sicilia del mito, alla Sicilia greca dalla tirannide di Falaride alla tirannide di Ierone II, alla Sicilia romana dalle guerre puniche fino alla rivolta degli schiavi.
Nel corso della nostra intervista, il prof. Micciché ha parlato del ruolo attribuito da Diodoro alla Sicilia e dell'importanza della Biblioteca Storica diodorea come fonte per la ricostruzione della storia antica dell’isola, in particolare di alcuni eventi non altrimenti documentati da altre fonti, nonostante la maggior parte degli eventi tradisca una prospettiva siracusana. Ha affrontato anche l'argomento relativo all'interesse diodoreo per le grandi tirannidi, in particolare per quelle di Falaride, tiranno di Acragas, di Ippocrate di Gela, di Terone di Acragas e di Gelone di Siracusa, prendendo in considerazione i culti maggiormente diffusi nell'isola e il ruolo svolto dall'elemento anellenico nella storia della Sicilia greca.
Prof. Micciché, nel libro L’isola più bella. La Sicilia nella ‘Biblioteca storica’ di Diodoro Siculo (Edizioni Lussografica), di cui lo scorso anno è uscita la seconda edizione, ha raccolto tutti i passi di Diodoro Siculo che riguardano la Sicilia antica. Come e con quali obiettivi è nata l'idea di questo lavoro? Come è strutturato il volume?
L’idea di dedicare particolare attenzione al Diodoro “siciliano” risale alla fine degli anni ’80, quando ho curato per la Rusconi, su incarico della Prof.ssa Ida Calabi Limentani, allora docente di Storia greca presso l’Università Statale di Milano, la traduzione e il commento dei libri IX-XIII della Biblioteca diodorea, pubblicati nel 1992 e riediti con aggiornamenti dalla Rizzoli nel 2016 nella collezione dei Classici greci della BUR. Soltanto nel 2005, seguendo i saggi suggerimenti di un grande studioso di Diodoro, il compianto Prof. Dino Ambaglio, allora docente di Storia greca presso l’Università di Pavia, ho avviato la raccolta, lo studio e il commento dei testi in cui in un modo o nell’altro la Sicilia è protagonista, ben consapevole che ricostruire la storia antica della Sicilia senza la Biblioteca storica di Diodoro sarebbe stata ardua impresa e con l’obiettivo di restituire agli studiosi, ma anche a quanti avessero voluto scoprire o riscoprire le vicende più o meno note della nostra isola, uno strumento immediatamente disponibile. Un’esperienza traumatica soprattutto nella fase iniziale, dal momento che il confronto col testo greco si è rivelato in qualche caso problematico, l’elaborazione delle note a piè di pagina ha comportato un lavoro di ricerca ad ampio raggio e ha privilegiato soprattutto il confronto con le fonti storiografiche e letterarie e con un’ampia messe di studi, la costruzione di una vasta ed aggiornata bibliografia ha richiesto un impegno non indifferente.
Il volume presenta una interessante prefazione a firma del Prof. Emilio Galvagno, ordinario di Storia greca presso l’Università di Catania, un’ampia introduzione da me curata, ed è suddiviso in tre sezioni, la Sicilia del mito, la Sicilia greca, la Sicilia romana. Segue un’appendice con una sintesi cronologica, gli indici dei nomi di persona e divinità e dei nomi etnici e geografici. Chiude la bibliografia organizzata per temi, che riserva grande attenzione agli studi su Diodoro e la Biblioteca storica, agli eventi, alle grandi figure e alle grandi città che hanno segnato la storia della Sicilia dall’VIII al I sec. a.C.
Nella sua opera in 40 libri lo storico di Agirio riserva ampio spazio alla Sicilia del mito, alla Sicilia greca dalla tirannide di Falaride alla tirannide di Ierone II, alla Sicilia romana dalle guerre puniche fino alla rivolta degli schiavi. Quale ruolo attribuisce Diodoro alla Sicilia? Quanto è importante la Biblioteca Storica diodorea come fonte per la ricostruzione della storia dell’isola?
Condivido in toto la riflessione di Dino Ambaglio, cioè che “la Biblioteca, per un certo privilegio campanilistico concesso alla Sicilia, costituisce un insostituibile punto di riferimento nella storia antica dell’isola”. È indubbio, infatti, che sia ampia nel contesto dell’intera opera l’attenzione che Diodoro riserva alla Sicilia. Tale attenzione non può essere concretamente tradotta, in considerazione del naufragio di notevoli parti della Biblioteca. Non conosciamo quanto spazio fosse riservato alle vicende dell’isola nei libri VI-X e XXI-XL, di cui abbiamo solo pochi frustuli grazie agli excerpta di Costantino Porfirogenito e del Patriarca Fozio.
È col libro XI che la narrazione delle vicende della Sicilia in particolare acquista una certa sistematicità, ma non sembra che l’Agiriense abbia seguito una chiara impostazione metodologica: appare comunque prevalente l'interesse dello storico (o della fonte utilizzata) per la storia di Siracusa e per gli eventi che hanno coinvolto come protagonisti i Siracusani, il che comporta, come conseguenza tutt'altro che trascurabile, una conoscenza parziale degli eventi, che il più delle volte tradisce una prospettiva siracusana, confermata, ad esempio, dal relativo interesse per la tirannide acragantina degli Emmenidi e da una certa propensione, evidente nel libro XII, alla celebrazione dei successi siracusani e dell’egemonia della colonia corinzia. Da rimarcare l’interesse dello storico per la politica occidentale di Atene che nel 415 porterà la città attica a decretare l’intervento in Sicilia. La narrazione dell’evento, che avrebbe segnato la fine dell’egemonia ateniese, risulta alquanto concisa, ma contiene alcuni elementi significativi presenti anche nelle pagine di Tucidide, tra i quali ad es. la caratterizzazione dei protagonisti; in Diodoro, come nelle pagine dello storico ateniese, sono in urto la riluttanza di Nicia e la spregiudicatezza di Alcibiade.
I primi capitoli del XIII libro, riservati all’impresa ateniese in Sicilia, costituiscono una fonte importante e oltremodo utile per integrare il quadro presentato da Tucidide nei libri VI-VII della sua opera e nelle Vite plutarchee di Nicia e Alcibiade. Le divergenze rispetto allo storico ateniese e al biografo di Cheronea non mancano, soprattutto nei dettagli, ma sostanzialmente i vari episodi che videro protagonisti gli Ateniesi e i Siracusani trovano conferma nella restante tradizione. Particolarmente interessanti le pagine relative al dibattito sulla sorte dei prigionieri (capp. 19,4-33), di cui furono protagonisti Diocle, il vecchio Nicolao e lo spartano Gilippo. Per le vicende successive alla débâcle ateniese lungo il fiume Assinaro, Diodoro è senza dubbio fonte unica e per molti aspetti problematica. All’aggressione punica del 409-405 l’Agiriense dedica ampia attenzione: riflette il punto di vista siceliota, adducendo a pretesto dell’attacco cartaginese la volontà di vendicare la grave disfatta di Imera del 480; sfuggono le ragioni più profonde, quali la probabile ambizione siracusana nell’area occidentale dell’isola, ravvivata dal successo contro gli Ateniesi, o le pericolose mire espansionistiche di Selinunte ai danni dell’area punica ed elima. Senza dubbio i capp. 56-62 e 80-89, che contengono la descrizione, spesso carica di tensione, del travolgente attacco punico contro Selinunte, Imera, Akragas, Gela e Camarina, rispecchiano il clima di un quadriennio che vide l’impotenza del mondo greco di Sicilia, vittima del suo particolarismo, di fronte alla decisa azione cartaginese.
Il libro XIV è indiscutibilmente dominato dalla figura di Dionisio I e dal suo costante impegno finalizzato alla creazione di una dynastèia capace di assicurare a Siracusa una leadership non solo politica nell’area centro-orientale dell’isola. Se da una parte l’interesse dello storico è quasi del tutto concentrato sulla figura del tiranno e sulla sua caparbia sfida contro i Cartaginesi, dall’altra è da sottolineare il continuo rilievo riservato all’elemento indigeno, sempre più ago della bilancia nell’epico scontro punico-siracusano.
Il libro XVI riserva ampia attenzione a una nuova grande figura, quella di Dione, e alla sua memorabile impresa, finalizzata a “rovesciare la più grande potenza d’Europa”, alle sue mirabili virtù, al suo coraggio e alla sua incrollabile fede nella libertà. Il fallimento del miraggio dioneo e la conseguente lotta civile che mise a dura prova Siracusa, portando alla ribalta personaggi di discutibile spessore politico, spianano la strada all’avvento di Timoleonte, sulla cui presenza in Sicilia il libro XVI costituisce un utile supporto alla biografia plutarchea e un’ineliminabile fonte per la ricostruzione dei capisaldi del progetto politico del corinzio e della propaganda che lo sostenne.
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I libri XVII e XVIII ignorano totalmente le vicende siciliane, creando uno iato fra il 337-6, anno probabile della morte di Timoleonte, e il 317-6, con cui inizia la lunga narrazione dell’esperienza tirannica di Agatocle, che si dispiega ampiamente all’interno del XIX e del XX libro, dagli anni della sua pueritia fino all’acme della sua potenza, attraverso le drammatiche e convulse vicende che lo videro protagonista in Africa.
La frammentarietà, che caratterizza le ultime due decadi (libri XXI-XL), ha senz’altro compromesso una più completa conoscenza della Sicilia ellenistico-romana. Per quanto l’interesse di Costantino VII Porfirogenito o del patriarca Fozio abbiano favorito la fortuna dell’immensa opera diodorea in età tardoantica e altomedievale, l’inevitabile selezione operata e l’altrettanto inevitabile rielaborazione del testo diodoreo hanno contribuito senza dubbio a “deturpare” l’originaria stesura della Biblioteca. In ogni caso, restiamo debitori nei confronti dello storico di Agirio del fatto che siano giunti a noi taluni eventi di straordinario rilievo storiografico, come gli episodi che videro come protagonista in Sicilia l’epirota Pirro all’interno del XXI libro, la tirannide di Ierone II nel XXII, le vicende della prima guerra punica nel XXIII e XXIV libro (per le quali la pagina diodorea costituisce valido supporto alla ben più complessa narrazione polibiana), la profonda crisi della presenza romana nell’isola culminata nelle due rivolte servili. Gli eventi successivi alle guerre servili trovano poco spazio fra gli excerpta inseriti nella triade dei libri XXXVII-XXXIX, che riflettono probabilmente il decrescente protagonismo dell’isola oramai sotto controllo romano e di contro un crescente interesse diodoreo per le personalità contemporanee, Mario, Pompeo, ma soprattutto Cesare, “colui che per le sue imprese ebbe l’appellativo di divo” (XL, 7,3).
Come è motivata da Diodoro l'affermazione secondo cui "la Sicilia fra tutte le isole è la più bella" (XXIII,1: Σικελία πασῶν τῶν νήσων καλλίστη ὑπάρχει)? In quale contesto si inserisce questa considerazione?
L’espressione diodorea, di cui mi sono appropriato per dare il titolo al mio lavoro, è senza dubbio fuori contesto e, pertanto, di difficile esegesi; inserito, infatti, all’interno di un frammento, il primo del XXIII libro, il superlativo καλλίστη ha una valenza polisemantica di difficile definizione. Sebbene in molti in passato abbiano rimproverato allo storico di Agirio una forma di campanilismo, credo che essa esprima non soltanto una celebrazione della propria terra natale. È il tributo di un intellettuale che non solo rivela il grande interesse per la millenaria storia della sua terra, ma esprime anche l’ambizione di una terra “che ha notevolmente contribuito alla crescita di un impero”. Diodoro, autore di un’opera monumentale che abbracciava l’universo allora conosciuto, vive l’esperienza di un intellettuale siciliano che ha alle sue spalle la storia di un’isola che nei secoli precedenti aveva espresso, sotto la spinta delle grandi pòleis greche, ma anche del contributo di altri éthnenon greci (Fenici, Elimi, Sicani, Siculi), una cultura di alto livello; esprime, in piena età cesariana ed augustea, l’aspirazione di un intellettuale che vuole restituire al mondo romano l’immagine di una Sicilia splendida.
Come si spiega l'interesse diodoreo per le grandi tirannidi, in particolare per quella di Falaride, tiranno di Acragas, di Ippocrate di Gela, di Terone di Acragas e di Gelone di Siracusa? Come vengono descritti questi tiranni?
L’esperienza tirannica ha indubbiamente lasciato il segno nella storia della Sicilia antica. Tra i frammenti dei libri IX e X, i pochi che riguardano la Sicilia confermano l’interesse diodoreo per le grandi tirannidi. Fra i più significativi, meritano di essere menzionati quelli su Falaride di Akragas e sul famigerato toro, utilizzato dal tiranno come strumento per l’eliminazione dei suoi oppositori; tali frammenti non vanno però al di là dell’aneddoto e offrono pochi spunti per un’analisi della personalità del tiranno e del suo governo. Sulla figura e la politica di Falaride, salito al potere intorno al 570 a.C., pesa il giudizio negativo concordemente espresso dalla tradizione letteraria: sono rimasti proverbiali la sua crudeltà e il suo autoritarismo, di cui ci è pervenuta una ricca aneddotica confluita anche in Diodoro. Anche i frammenti relativi a Ippocrate di Gela evidenziano un rilevante interesse aneddotico e scarsa propensione per un approfondimento delle motivazioni della politica aggressiva che assicurarono al tiranno, in un arco di tempo estremamente ristretto, il controllo dell’intera Sicilia orientale agli inizi del V secolo a.C.
L’esaltazione di Gelone come liberatore della Sicilia ha rilevante spazio, così come grande evidenza hanno altri aspetti della politica geloniana su cui la critica più recente si è soffermata: la clemenza nei confronti dei Cartaginesi vinti, l’ampliamento della sfera d’influenza oltre lo stretto, il massimo rispetto, almeno nella forma, della sovranità popolare, un’intelligente propaganda religiosa destinata a favorire soprattutto il culto di Demetra e Kore. Il giudizio molto positivo sulla figura e sull’opera di Gelone non è confermato a proposito di Ierone, il che induce a ipotizzare l’uso da parte di Diodoro di una fonte antitirannica e antidinomenidea, la cui attendibilità è comunque discutibile. Pesa sul giudizio, tutt’altro che esaltante sul conto di Ierone, la politica di disgregazione dell’elemento calcidese delle città di Naxos, Catane e Leontini e di graduale “doricizzazione” dell’isola ai danni anche della fedele Akragas. La caduta diTrasideo in Akragas e successivamente quella di Trasibulo a Siracusa vengono motivate alquanto semplicisticamente con l’inettitudine dei due tiranni: in realtà il crollo della tirannide nelle due città trova giustificazione nel fatto che l'unità fra pòlis e dynastéia, salvaguardata in Akragas da Terone e a Siracusa da Gelone, si spezzava repentinamente.
La Biblioteca Storica di Diodoro è fondamentale per la ricostruzione della storia di alcuni eventi non altrimenti documentati. Di quali eventi si tratta?
Molti eventi della storia della Sicilia antica sarebbero per noi del tutto sconosciuti senza il supporto dei libri diodorei. Ma è il caso di sottolineare che anche per molti episodi meglio conosciuti l’opera diodorea ci ha conservato preziose informazioni, sia integrative sia alternative. La particolare predilezione di Diodoro per i grandi personaggi e i grandi eventi della sua terra ha avuto come rilevante conseguenza il recupero di una consistente quantità di informazioni relative alla storia siceliota e indigena: un’operazione preziosissima che ci consente di ricostruire brani di storia e di conoscere anche personaggi “di seconda linea” o episodi non presenti in altre fonti.
Il caso più eclatante è senza dubbio costituito dalla figura di Ducezio, protagonista di quel movimento siculo che alla metà del V a.C. mise a dura prova la grecità dell’isola. Diodoro nei capitoli finali del libro XI e nei capitoli 8 e 29 del XII ne ripercorre le tappe, dai successi di Morgantina e Motyon fino alla sconfitta di Nomai in seguito all'intervento congiunto di Siracusani e Acragantini, all'esilio di Corinto e al successivo rientro in Sicilia.
All’interno del libro XIII Diodoro ci ha restituito una delle pagine più drammatiche della storia dell’isola, facendo rivivere al lettore i terrificanti momenti che fra il 409 e il 405 a.C. le genti di Selinunte, Imera, Gela e Camarina hanno vissuto per l’assillante azione dell’armata cartaginese.
Infine merita una citazione il dei libri XXXIV-XXXVI, cioè la narrazione delle due rivolte servili che tra il 136 e il 98 a.C. sconvolgono l’isola e hanno in Diodoro un sensibile interprete che, appropriandosi di alcune riflessioni chiaramente ascrivibili a Posidonio di Apamea, analizza il fenomeno schiavistico come “paradigma” di degenerazione morale, per quanto gli excerpta costantiniani e la “rilettura” foziana non aiutino di certo a cogliere una chiara valutazione politica.
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Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, edizione a cura di Peter Wesseling, Amsterdam 1746
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I primi capitoli del XIII libro sono riservati all'impresa ateniese in Sicilia, per la quale Diodoro costituisce una fonte importante e utile per integrare il quadro presentato da Tucidide nei libri VI-VII della sua opera. La sua narrazione presenta divergenze rispetto allo storico ateniese e alle Vite plutarchee di Nicia e Alcibiade? Come viene trattato e motivato il crescente interesse ateniese per la Sicilia?
Alla spedizione ateniese in Sicilia Diodoro, utilizzando fonti storiche siciliane, dedica ampio spazio (XII 83,5-XIII 19). Dalla convocazione nel giugno del 415 della prima assemblea ateniese, che discusse la proposta di inviare la flotta in Sicilia, al disastro nelle acque dell'Assinaro del settembre del 413, la narrazione diodorea, rinunziando all’ampiezza e alla drammaticità della pagina tucididea e al moralismo delle considerazioni plutarchee, evidenzia il pregio dell'essenzialità, soffermandosi sugli eventi più significativi e sul ruolo dei singoli protagonisti, degli ateniesi Nicia ed Alcibiade e del siracusano Ermocrate in particolare. È possibile riscontrare notizie convergenti con quelle fornite da Tucidide o da Plutarco, ma non manca qualche inspiegabile “silenzio” di un certo peso, come quello relativo ad un evento, il congresso di Gela del 424, a cui lo storico ateniese dedica ampio spazio.
Secondo Diodoro, quale ruolo ha avuto l'elemento "non greco" nella storia della Sicilia greca?
La posizione e il ruolo della Sicilia anellenica nella Biblioteca sono confermati dal grande interesse che lo storico rivela per le popolazioni encorie nel contesto della storia greca di Sicilia, per quanto tale interesse sia ristretto ad alcuni libri e non facilmente definibile per la perdita del blocco che costituisce la seconda pentade. Nel IV libro ampio spazio viene riservato ai Sicani in relazione alla presenza di Eracle nell'isola, ma è nel V che Diodoro riprende il tema dell'etnogenesi e della distribuzione delle genti anelleniche nell'isola. Partirei da una affermazione diodorea (V, 6,3: καὶ τὸ μὲν πρῶτον ἅπασαν τὴν νῆσον κατῴκουν: “essi [i Sicani] in un primo tempo occupavano l’intera isola”), su cui vale la pena riflettere, perché la scarna notizia potrebbe trovare conferma nel dato archeologico, grazie al quale è possibile riferire la formazione della cultura sicana alla fase media del bronzo siciliano, conosciuta come facies di Thapsos, l’unico momento in cui l’isola presenta, come è stato da più parti ribadito, non solo una omogeneità culturale piuttosto estesa, ma anche una spiccata permeabilità verso influenze di provenienza egea.Tale omogeneità potrebbe trovare conferma letteraria nell’attribuzione del toponimo Sikania all’intera isola (cfr. Tucidide, VI, 2,2). Una seconda affermazione decisamente rilevante (τὸ δὲ τελευταῖον πολλαῖς γενεαῖς ὕστερον ἐκ τῆς Ἰταλίας τὸ τῶν Σικελῶν ἔθνος πανδημεὶ περαιωθὲν εἰς τὴν Σικελίαν, τὴν ὑπὸ τῶν Σικανῶν ἐκλειφθεῖσαν χώραν κατῴκησαν: "infine, trascorse molte generazioni, il popolo dei Siculi, passato in massa dall’Italia in Sicilia, si stabilì nelle sedi che erano state abbandonate dai Sicani") conferma la tradizione tucididea in merito all’abbandono da parte delle genti sicane dell’area orientale dell’isola. La divergenza fra le due fonti sta nelle motivazioni: la paura delle eruzioni dell’Etna in Diodoro, la superiorità militare dei Siculi rispetto ai Sicani in Tucidide (I, 2,5). Il dato letterario trova conforto nell’indagine archeologica, i cui risultati inducono alla convinzione che la Sicilia abbia manifestato, nei secoli immediatamente precedenti la colonizzazione greca e in seguito come contraccolpo della stessa presenza greca nell’isola, dei gravi turbamenti nell’assetto delle genti anelleniche stanziate in Sicilia. È probabile, cioè, che l’area interna dell’isola abbia conosciuto un processo di graduale siculizzazione come conseguenza di spostamenti di genti sicule verso l’area centrale, il che potrebbe aver provocato il progressivo restringimento della Sicania a quell’area compresa fra l’Halykos (l’attuale Platani) e l’Imera (l’attuale fiume Salso). La vittoria sicula sui Sicani e la fuga di questi ultimi verso le zone centrali e occidentali dell’isola, cui accenna Tucidide, e i contrasti bellici fra Siculi e Sicani, cui accenna Diodoro, potrebbero rispecchiare una situazione abbastanza complessa determinata dall’arrivo dei Greci e ben testimoniata in alcuni siti dell’entroterra siciliano dalla sovrapposizione di elementi di chiara tradizione sicula a elementi di altrettanto chiara tradizione sicana.
Per la fase arcaica negli excerpta dei libri VI-X infatti non è traccia delle popolazioni anelleniche dell'isola; diversa attenzione Diodoro riserva ai Siculi che compaiono (XI, 68) già nel 466-5 a.C. come sostenitori della rivolta siracusana che porterà l'avvento della democrazia nella colonia corinzia. E ancora i Siculi saranno protagonisti del ventennio (461-440) che vedrà in prima linea il siculo Ducezio.
Le genti anelleniche, soprattutto i Siculi, sembrano fortemente integrate nelle vicende delle grandi città greche di Sicilia (interessante il fatto che mai in Diodoro gli ethne non greci della Sicilia sono definiti barbaroi) e gli eventi in cui ebbero un ruolo rilevante sono tessere di un più ampio mosaico, all'interno del quale, comunque, protagoniste sono sempre le grandi poleis. Ciò conferma, a mio avviso, l'ellenocentrismo della storiografia siceliota utilizzata da Diodoro, il che impone allo studioso di oggi un inevitabile sforzo finalizzato ad un reale recupero di ciò che è "realmente" diodoreo in Diodoro, secondo una prospettiva non solo (e non tanto) riabilitante, bensì di confronto serio con la personalità dell'Agiriense e con il frutto della sua attività intellettuale.
Cosa ci dice lo storico di Agira in merito ai culti maggiormente diffusi nell'isola?
All’interno della prima pentade, pervenutaci interamente, l’attenzione dello storico è fortemente concentrata sui grandi miti. Nel IV libro protagonista è l’eroe civilizzatore per eccellenza, Eracle, simbolo dell’identità culturale greca, la cui presenza in Sicilia ha posto e continua a porre stimolanti motivi di riflessione sulle più antiche relazioni fra la realtà micenea e postmicenea con l’Occidente e le genti anelleniche. Estremamente difficile risulta la chiave di lettura dello scontro di Eracle con gli eroi sicani. Esso è comunque da vedere ancora come “duplicazione” in termini mitologici di una realtà storica; non è difficile, infatti, individuare l’affermazione di un rapporto di superiorità-subalternità fra mondo greco e realtà anellenica. Che gli eroi sicani ad Agirio costituiscano una sorta di ‘pantheon parallelo’ è ipotesi sostenuta da vari studiosi: la loro compresenza può costituire la testimonianza di una persistenza mitico-religiosa che probabilmente va al di là dell’Agirio diodorea.
Nel V libro è il binomio Demetra-Kore ad attrarre l’attenzione dell’Agiriense, con la contestualizzazione del culto delle due dee, ma soprattutto con la marcata insistenza sull’indissolubilità del loro rapporto con la Sicilia. Il culto di Demetra e Kore era senza dubbio uno dei più antichi e radicati nell’isola; basterebbe la pagina ciceroniana (Contro Verre, IV, 48,106) a confermare la vetustà e il prestigio di un culto che, secondo il grande oratore romano, si identificava quasi con l’isola stessa. Ma è possibile valutarne l’antichità? Che esso avesse un ruolo notevole nel pantheon delle colonie greche di Sicilia è dato incontestabile; sarebbero sufficienti a confermarlo le testimonianze di Bacchilide, di Pindaro, ma soprattutto di Erodoto, che si sofferma diffusamente sull’importanza della ierofantia delle due divinità ctonie a Gela; altrettanto importante il passo dello stesso Diodoro sul ruolo che nella Siracusa geloniana ebbe il culto delle due divinità. Il dato letterario trova d’altronde vasta conferma nell’emergenza archeologica, epigrafica e numismatica: i numerosi sacelli scoperti più o meno recentemente (meritano di essere ricordati, fra gli altri, i tre santuari di Morgantina, il temenos di Vassallaggi [San Cataldo, CL], che si aggiungono ai più noti di Agrigento [il thesmophòrion di S. Anna], di Selinunte [il santuario di Demetra Malophòros], di Eloro, i santuari di Gela [tra i quali il thesmophòrion di Bitalemi], ma l’elenco potrebbe essere ben più ampio), confermano non solo la diffusione del culto, ma anche la sua arcaicità.
Quale messaggio si augura possa arrivare a coloro che leggeranno il suo libro?
Diodoro e la sua opera hanno registrato nell’ultimo trentennio - non solo in Italia, ma anche fuori dai confini nazionali - un interesse sempre crescente fra gli studiosi, testimoniato da numerose pubblicazioni che hanno riservato ampio spazio alla Sicilia e da diversi convegni nazionali e internazionali. Il mio auspicio è che tale interesse possa coinvolgere anche un pubblico più vasto e che la mia fatica possa essere una gradita risposta per quanti desiderano scoprire quanto complessa sia la storia più antica di una terra, per la quale oggi l’attributoκαλλίστη forse potrebbe essere ridimensionato. Scriveva Thomas Carlyle che “la storia è un distillato di rumori”. E la Sicilia di rumori ne offre in una quantità incredibile. Ieri come oggi.
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