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martedì, 22 dicembre 2020 07:09 |
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In copertina: La famiglia di Serpouhi (1904)
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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C'è gente che si ritrova schiacciata sotto il peso di mille difficoltà, mentre altrove, seduti a casa circondati dai loro bambini, altri trascorrono la vita in tranquillità. Chi vive sereno non capirà mai la situazione di chi soffre. Puoi raccontare e spiegare tutto quanto vuoi, ma ti capirà solo chi ha condiviso con te la catastrofe. La gente leggerà il nostro dolore stampato nei libri, seduta in poltrona. Ma un libro potrà mai descrivere sul serio l’insieme dei nostri dolori? (Serpouhi Hovaghian)
Come possiamo comprendere l'orrore subito da tanti innocenti, orfani di questo mondo, senza patria, senza focolare, che si sono ritrovati a camminare per ore e ore sulle montagne turche, senza acqua né cibo, per sfuggire alle persecuzioni perpetrate dall'esercito turco? Come possiamo anche soltanto immaginare la disperazione e lo strazio di una madre - a cui alcuni criminali hanno già ammazzato la figlioletta - che si vede costretta ad affidare suo figlio a una contadina turca, un'estranea, nella speranza di salvargli la vita? Come si può capire il dolore di chi ha visto gettare nel fiume Eufrate, con spietata crudeltà, due carretti pieni di bambini? Questa scena ce l'avrò sempre davanti agli occhi, non riesco a togliermela dalla mente e non penso che ci riuscirò mai. Quei mostri guardavano i corpicini dei bambini con un sorrisino sarcastico - questo scrive Serpouhi Hovaghian nel suo diario, commentando quella scena. Come si può non essere segnati per sempre da tanta cieca crudeltà? Sarei stata felice se, chiudendo gli occhi, il sonno eterno mi avesse serrato le palpebre: soltanto stando comodamente seduti in poltrona, negli agi delle nostre case e indifferenti a ciò che ci circonda, possiamo non comprendere il desiderio di questa donna di chiudere gli occhi per sempre ed evitare, così, di continuare ad assistere allo sterminio di un popolo intero, all'annientamento della dignità umana, alla morte dell'anima.
Tutto questo troviamo nel libro Mia nonna d'Armenia (La Lepre Edizioni, 2020), scritto dall'attrice, scrittrice e fotografa francese Anny Romand. Nel libro si racconta una delle pagine più tragiche della storia del Novecento, il genocidio degli Armeni, di cui purtroppo troppe persone ignorano l'esistenza. Il massacro di tante vittime innocenti è narrato attraverso la testimonianza della nonna di Anny, Serpouhi Hovaghian, che quell'orrore l'ha vissuto in prima persona e ne ha annotato le tappe in un diario. Alla testimonianza diretta dell'anziana protagonista della vicenda è affiancata la voce innocente e incredula di Anny bambina, che rievoca il ricordo delle tante conversazioni avute da bambina con l'amata nonna. Un libro di memoria, un omaggio a quella nonna che nessuno in famiglia era disposto ad ascoltare, preferendo chiudere gli occhi e passare oltre, lasciandola sola nel suo dolore, nel suo tormento senza fine. Solo Anny ascoltava la rievocazione di episodi tanto orribili e piangeva insieme alla nonna, nei cui confronti aveva un atteggiamento di tenera protezione per l'orrore che aveva subito: proteggerò la nonna dai banditi.
Per FtNews ho intervistato Alessandro Orlandi, fondatore e direttore editoriale della casa editrice La Lepre, che per la sua casa editrice ha pubblicato la traduzione italiana del libro, con prefazione curata da Dacia Maraini. Orlandi, che ha avuto modo di conoscere Anny Romand, racconta il motivo che ha spinto l'attrice a pubblicare questo libro e spiega come l'enormità della strage descritta sia rafforzata dal fatto che questi episodi sono narrati dalla voce di una bambina. Orlandi parla anche dei progetti a cui sta lavorando con Anny, a cominciare dalla pubblicazione in Italia, presumibilmente nel 2022, del diario della signora Serpouhi con un'edizione critica.
In futuro tornerò a parlare di questo lavoro e del genocidio degli Armeni, una pagina della storia del Novecento purtroppo sconosciuta ai più. Mi auguro che questo libro possa entrare presto nelle scuole italiane, dove lo sterminio degli Armeni, quando si studia, viene affrontato molto superficialmente. Abbiamo il dovere di riportare alla memoria questo massacro: lo dobbiamo ai tanti innocenti che non hanno potuto testimoniare l'orrore, affinché il loro dolore e le loro voci non si dissolvano come fumo di sigaretta. Prima di lasciarvi alla lettura dell'intervista rilasciatami da Alessandro Orlandi, voglio ricordare un pensiero tratto dal diario della signora Serpouhi Hovaghian, una riflessione di cui penso tutti noi dovremmo fare tesoro: Su questa terra non si deve dire mai: "Sono debole, non resisterò a niente, a nessuna difficoltà". Il fisico dell'uomo è capace di sopportare qualunque cosa. Sono stupita di me stessa: come avrò fatto a sopravvivere? A volte avevamo soltanto pane secco da mangiare, che sapeva di fango, ma lo mangiavamo lo stesso. Teniamo bene a mente queste parole tutte le volte che ci sembra di non farcela e vediamo solo il buio davanti a noi, quando vogliamo mollare, spesso per motivi futili, e urlare al mondo la nostra disperazione: Serpouhi Hovaghian ha assistito allo sterminio di un intero popolo, ha subito angherie, vessazioni, soprusi di ogni tipo, eppure ha amato la vita fino all'ultimo e nel dolore ci ricorda che siamo più forti di quanto si possa pensare. Leggendo la sua testimonianza si comprende bene come la forza della vita riesca a sconfiggere qualsiasi ostacolo e a germogliare anche nell'oscurità più cupa.
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Sig. Orlandi, nel 2015 Anny Romand ha pubblicato in Francia il libro Ma grand'mère d'Arménie ("Mia nonna d'Armenia"), in cui racconta il genocidio degli Armeni attraverso la testimonianza della nonna Serpouhi Hovaghian, che quell'orrore l'ha vissuto in prima persona, annotando in un diario le tappe di quel massacro. Alla testimonianza diretta della nonna è affiancata la voce innocente di Anny bambina, che rievoca il ricordo delle tante conversazioni avute con la nonna. Come è nata l'idea di pubblicare questo libro di memoria?
Nel 2014, riordinando le cose di famiglia, Anny Romand ha scoperto un diario di settanta pagine, scritto da sua nonna nel 1915 in armeno, francese e greco e parzialmente riportato nel libro. Lì si racconta l'odissea di un gruppo di donne e bambini armeni sulle strade dell'Anatolia, per cercare di sfuggire alle persecuzioni dell'esercito turco. Anny confrontò i dati presenti sul diario, in cui si descrivono in maniera forte e diretta i massacri spietati che venivano perpetrati, il genocidio di un intero popolo, con il ricordo delle tante conversazioni avute da bambina con sua nonna. Rivive l'infinito dolore degli Armeni e decide di dare alle stampe questo libro per l'amore nei confronti di sua nonna. Le atrocità presenti nel diario sono filtrate attraverso gli occhi e la sensibilità di Anny bambina, l'unica in famiglia ad ascoltare il grande dolore della nonna. Il libro ha avuto un grande successo in Francia, è stato tradotto in svedese, armeno e italiano.
Lei è il fondatore e il direttore editoriale della casa editrice La Lepre. Cosa l'ha colpita di questo libro? Quando ha deciso di pubblicarne la traduzione italiana?
Una sera mi trovavo a cena a casa di cari amici. C'era anche Dacia Maraini, amica di Anny Romand, che mi parlò di questo libro, che tanto successo aveva avuto in Francia, e mi propose di pubblicarlo per la mia casa editrice. Ho letto il libro e ho subito accettato la proposta di Dacia Maraini. Di questo libro mi ha colpito l'alternanza di fatti storici, crudi e spietati, descritti dalla nonna nel diario, con la poesia di questi stessi fatti filtrati dalla memoria di una bambina, che restituisce agli eventi narrati la loro tremenda immediatezza, la loro crudeltà. Il libro è diventato di drammatica attualità con la guerra tra armeni e azeri conclusasi il 10 novembre scorso. Non viene mai meno il tentativo di cancellare questa minoranza dal territorio che occupa.
La madre di Anny, figlia di Serpouhi, non voleva che Anny ascoltasse questi racconti ed era piuttosto contrariata quando trovava nonna e nipote in lacrime. Perché in famiglia, eccetto la piccola Anny, nessuno prestava ascolto al dolore della nonna?
Bisogna mettersi nei panni di chi vive drammi simili. Pensiamo ai reduci della seconda guerra mondiale o a quelli del Vietnam, ma anche ai sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti: tutti vogliono raccontare l'orrore vissuto, le atrocità patite durante la guerra. Dopo tragedie di simili proporzioni, però, la gente non ha nessuna voglia di ascoltare chi ha vissuto l'orrore, vuole allontanare lo spettro della sofferenza. Tutti pensano oltre, non vogliono essere ricondotti alla tragedia vissuta dalle persone che li hanno preceduti.
Che rapporto ha oggi Anny Romand con le comunità armene?
Quando Anny è venuta in Italia, siamo stati insieme all'Istituto Culturale Armeno a Roma. Ho appreso che ha una grande quantità di rapporti con gli armeni francesi e con le comunità armene che si trovano a Venezia, a Roma e in Toscana.
Con Anny state lavorando a qualche progetto?
Recentemente mi ha contattato la Biblioteca Nazionale Francese per informarmi che il diario della signora Serpouhi Hovaghian, nonna di Anny, sarà editato in Francia a cura dello Stato. Mi hanno chiesto di pubblicarlo anche in Italia con un'edizione critica. Io ho accettato e penso che questo lavoro vedrà la luce nel 2022.
Perché si sa poco e niente del genocidio degli Armeni?
Il genocidio degli Armeni, avvenuto tra il 1915 e il 1918, è stato oscurato dall'immane tragedia della Shoah, nonostante abbia causato un numero enorme di vittime che può essere paragonato proprio allo sterminio degli Ebrei, di cui si resero responsabili i nazisti. Molta gente non conosce neppure l'esistenza del genocidio armeno. Bisogna dire anche che non ci sono tanti armeni che scrivono in italiano e hanno accesso ai media italiani e questo non aiuta.
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L'editore Alessandro Orlandi
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Che ricordo conserva Anny della nonna e dei tanti momenti trascorsi con lei quando era bambina?
Anny ha vissuto radicalmente quello che la nonna le ha raccontato. L'orrore, lo sdegno, la paura sono stati ereditati da Anny: una bambina è una spugna che assorbe e interpreta con gli strumenti che ha a disposizione tutto quello che ascolta. Anny è stata segnata per sempre dai racconti della nonna, una donna che ha visto l'orrore, è riuscita ad emigrare sana e salva in Francia e a testimoniare l'accaduto, affidando un importante compito all'amata nipote: testimoniare affinché nessuno dimentichi. Anny ha un vero e proprio culto della nonna: ha fatto tutto ciò per tenere viva la memoria di colei che per lei ha rappresentato e rappresenta le radici. Anny ha avvertito la necessità di testimoniare questa sofferenza perché non venisse dimenticata. Ha allestito anche una mostra attorno alla vicenda di sua nonna.
Anny oggi è nonna di una bambina di nome Alicia, autrice del disegno che si trova sulla retrocopertina...
Sì, Anny ha voluto mettere in retrocopertina il disegno realizzato dalla nipotina Alicia, a cui ha dedicato il libro, perché interpreta il filo della memoria come qualcosa che deve essere tramandato di generazione in generazione, una sorta di continuità di rapporto con le radici, affinché tali crimini non vengano dimenticati mai.
Perché l'autrice ha scelto che fosse la sua voce bambina a narrare la strage degli Armeni e il genocidio di cui si è macchiato l'esercito turco?
Lei ha scelto di alternare la voce della bambina che ascolta attonita le storie della nonna con quella della nonna di allora, a ridosso dei fatti narrati, che racconta la dura cronaca dei fatti che stava vivendo. La storia contenuta nel diario è un pugno nello stomaco. Ogni tentativo di romanzare e parafrasare quella cronaca avrebbe indebolito la voce degli eventi narrati. Il fatto che questi episodi siano narrati dalla voce di una bambina rafforza l'orrore; la bimba ascolta stupita cose tanto atroci che sembra assurdo siano accadute. In questa maniera si sottolinea l'enormità di quello che è avvenuto.
Quando diventerò una bambina grande racconterò il seguito della storia. Adesso che sono una bambina piccola, la mia storia con nonna finisce qui. Con queste parole si conclude il libro. Cosa vorrebbe raccontare ancora Anny?
Anny vorrebbe raccontare lo sbarco in Francia della sua famiglia e le cose che sono successe da allora, compresa la nascita di sua madre Rose. Mi ha promesso che lo farà. Adesso, però, si sta concentrando sulla mostra, che è stata esposta a Parigi e in altre città francesi e spero possa arrivare presto anche in Italia.
Quale messaggio si augura possa arrivare alle lettrici e ai lettori di Mia nonna d'Armenia?
Mi auguro che il libro aiuti a riportare alla memoria collettiva questa terribile vicenda, risalente a oltre cento anni fa, che però ci rammenta molte vicende attuali in cui le minoranze etniche, religiose, linguistiche rischiano di essere spazzate via. La memoria di eventi di questo genere non deve essere cancellata mai, deve rimanere viva nella cultura affinché l'orrore non si ripeta.
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