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lunedì, 07 dicembre 2020 21:46 |
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Lastra funeraria di T. Aelius Evangelus, Medelhavsmuseet, Stoccolma (180 d.C.)
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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Per la bella collana dei "Classici greci e latini" firmata Rusconi recentemente è stato pubblicato il libro Iscrizioni funerarie latine. Sopravvivere alla morte, una silloge di epigrafi metriche e in prosa tradotte dalla prof.ssa Giulia Danesi Marioni, commentate dalla prof.ssa Chantal Gabrielli, con un pregevole saggio introduttivo curato dalla prof.ssa Maria-Pace Pieri. Per
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ho intervistato le tre autrici, che hanno spiegato come è nato questo lavoro e i criteri seguiti nella selezione di un materiale immenso che continuamente si arricchisce di nuovi documenti. Nell’antologia il lettore troverà iscrizioni quasi tutte provenienti dalle province occidentali dell’Impero romano e databili al I-II secolo d.C., con qualche sconfinamento nel terzo. Nel corso della nostra conversazione, la prof.ssa Pieri si è soffermata sulla concezione della morte presso gli antichi romani, così come emerge dai vari testi sepolcrali, e sull'importanza del lamento funebre come strumento per l’elaborazione del lutto. La studiosa ha affrontato anche la questione relativa al legame esistente tra le iscrizioni funerarie e la letteratura colta, facendo riferimento ai motivi ricorrenti nelle due tradizioni. La prof.ssa Giulia Danesi Marioni ha rivelato qualche dettaglio sugli aspetti linguistici e sulle principali difficoltà incontrate nella traduzione in prosa, che risulta abbastanza articolata sul piano stilistico ed espressivo per adattarsi e rimanere fedele allo spirito dei vari testi. La prof.ssa Chantal Gabrielli ha spiegato i criteri adottati per curare il commento e le ricche note storico-archeologiche, sottolineando il forte legame tra testo iscritto e supporto, tra documento e monumento.
Ognuna di queste iscrizioni racconta una storia di vita, di emozioni, di sentimenti autentici e fa luce sulla vita di persone appartenenti al ceto medio-basso della società romana, di cui la letteratura colta non parla quasi mai: mercanti, soldati, liberti, schiavi, giovani promettenti e bambini sottratti anzitempo all'affetto dei genitori, nonché tante figure femminili che ci restituiscono un'immagine inedita ed emancipata della donna, che spesso è anche complice, compagna e addirittura socia d'affari del marito, una professionista come lui. Il carattere documentario di questi testi aiuta a ricostruire alcuni aspetti della vita di coloro che abitarono i territori sterminati dell'Impero romano. Tutte le testimonianze sono accomunate dal desiderio di sopravvivere alla morte, come sottolinea il sottotitolo di questo bel libro, frutto di un lavoro compiuto in sinergia tra le autrici. Proprio nel sottotitolo sono racchiusi il senso profondo e la finalità di questo lavoro: lanciare un messaggio di speranza, invitare a vivere intensamente il tempo che ci è concesso, cercando di lasciare un buon ricordo di noi: solo così, infatti, si può sopravvivere alla morte e vivere eternamente nel ricordo e nella memoria di coloro che verranno.
Prof.ssa Gabrielli, come è nata l'idea di pubblicare un libro sulle iscrizioni funerarie latine? In base a quale criterio avete scelto le iscrizioni da inserire nella raccolta?
L'idea è nata dalla condivisione di un progetto di Maria-Pace Pieri, a cui Giulia Danesi ed io abbiamo risposto con grande entusiasmo, dividendoci il lavoro in base alle nostre specifiche competenze. Sin dal primo momento la nostra intenzione è stata quella di dare un'ampia panoramica dei supporti, pur senza pretesa di completezza, mostrando iscrizioni fra loro diverse per estensione e livello formale. Sono state selezionate più di un’ottantina di epigrafi, suddivise secondo quattro tematiche: amore coniugale, mors immatura, professioni e mestieri, domus aeterna. Il materiale raccolto in questa antologia presenta iscrizioni funerarie nelle quali non compare solo il nome del defunto con l’indicazione dei dati biome¬trici (età, luogo di nascita e/o di morte), talvolta affiancati a quello del dedicante e preceduti dall’adprecatio agli dèi Mani, ma è presente anche un testo in prosa o in versi di varia lunghezza, che, nell’ultimo caso, può configurarsi come un vero e proprio carme, anche di pregevole fattura. Sono testi di questo tipo, composti da numerosissimi autori, purtroppo quasi tutti anonimi, a fornirci preziose informazioni sulla vita e le professioni dei defunti con dettagli sulla società e la sensibilità dei romani che altrimenti ignoreremmo.
Da dove provengono e a che periodo risalgono le iscrizioni scelte?
Africa, penisola iberica, Gallia o le province danubiane sono alcune delle aree del vasto impero da cui provengono le iscrizioni selezionate per il volume. Abbracciano un arco cronologico limitato ai primi secoli dell’impero; mentre sono state escluse le epigrafi cristiane, la cui particolarità tipologica richiedeva competenze specifiche.
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La statua ‘parlante’ di Flavius Agricola, coperchio di sarcofago (160 d.C.), Museum of Art, Indianapolis (CIL VI 17985a)
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Prof.ssa Pieri, Sopravvivere alla morte recita il sottotitolo del libro: un messaggio di speranza che emerge in molte iscrizioni raccolte nell'antologia. Quale concezione della morte avevano gli antichi romani? In che modo si poteva sopravvivere alla morte?
Per molti popoli antichi, e così per i romani, la morte era sentita come un doloroso distacco, ma prima di tutto come una contaminazione, un contagio che si estendeva alla casa e a tutta la famiglia del defunto. Di qui una serie di cerimonie che servivano a soddisfare esigenze pratiche, spirituali ed emotive: procurare un luogo di riposo al morto, purificare i sopravvissuti e reintegrarli nel mondo dei vivi. Era, però, motivo consolatorio pensare che il passaggio del defunto in una dimensione altra non portasse a una definitiva separazione: di qui l’idea comune e diffusissima che nella tomba permanesse una parvenza di sensibilità, un doppio dello spirito del morto, spesso chiamata umbra. Essa gli consentiva di apprezzare il perdurare dell’affetto e del ricordo da parte dei congiunti che periodicamente si recavano in visita al sepolcro e da lì dialogare con i passanti.
Anche il nome del defunto inciso sulla lapide, magari accompagnato da parole che raccontavano di lui e della sua vita, era un modo per garantire la sopravvivenza che richiamiamo nel sottotitolo.
Nel suo saggio introduttivo parla di passaggio dalla morte fisica alla morte culturale. Come avviene questo mutamento? Che ruolo svolge il lamento funebre nel far sì che avvenga questo passaggio?
Abbiamo detto che le cerimonie funebri avevano anche lo scopo di reintegrare i sopravvissuti nel mondo dei vivi. Il lamento funebre svolgeva un ruolo centrale in questo passaggio, supportando l’elaborazione del lutto. Nel mondo antico la prima reazione al decesso di una persona cara poteva portare al desiderio di morire con ciò che muore: basti citare la lapide di Armonia Rufina, morta a tredici anni, nella quale i genitori vogliono che sia scritto il loro desiderio di raggiungerla presto e dichiarano di non provare alcuna esitazione di fronte alla morte. Il lamento funebre poneva un freno ad atti di autolesionismo, li gestiva trasferendoli in forme simboliche stereotipate. E insegnando una tecnica del piangere, offriva ai superstiti il tempo necessario per adattarsi alla realtà storica, cioè la vita senza l’estinto, alla fine accettata come dolce ricordo velato di tristezza.
Quali concezioni della morte riflettono l'inumazione e l'incinerazione?
L'inumazione riflette la concezione secondo cui nella tomba il corpo del morto mantiene un residuo di sensibilità: consegnare il corpo integro alla Madre Terra significava farlo tornare nel luogo dove la vita era nata. L'incinerazione, invece, diffusasi a partire dalla fine del I sec. a.C. in poi, muove dall’idea che dopo la morte resti solo un’immagine del defunto che contiene l’anima: l’incinerazione le permette di tornare al luogo da cui è emanata.
Cosa possiamo dire del legame esistente tra la letteratura e le iscrizioni funerarie?
Il problema è complesso. In estrema sintesi possiamo dire che l’epigramma epigrafico sepolcrale nacque a Roma fra élites aristocratiche e fu caratterizzato da forte intento celebrativo. Dalla fine del II secolo a.C. il genere si diffuse tra le classi subalterne o emergenti che si ispirarono alla letteratura colta promossa dalle classi gentilizie (soprattutto i grandi modelli dell’epica e del teatro latino arcaico comico e tragico). Da essa si assunsero motivi letterari, stilemi e moduli che presto divennero tradizionali, tanto da ricevere successivamente l’attenzione della poesia letteraria in contesti di carattere funerario. Nei secoli successivi si assiste a una continua osmosi nei temi, nel linguaggio poetico e nella metrica fra poesia letteraria e carmi epigrafici, anche se prevalgono casi di dipendenza da letteratura colta (soprattutto poeti di età augustea, poi Stazio e Lucano), in forme molto varie che dipendono dal grado di cultura di chi redigeva il testo. Nel caso di compositori esperti possiamo riconoscere tutti i meccanismi di ricezione (imitazione, allusione consapevole, in rari casi emulazione). Ma innumerevoli erano i versificatori improvvisati (maestri di scuola, amici del morto, personale di bottega, ecc.) che per comporre il testo attingevano a prontuari, alla loro memoria poetica o ripetevano ciò che leggevano in altre epigrafi dove, magari, espressioni e versi di grandi poeti erano trascritti scorrettamente o male adattati, portandoci a supporre che probabilmente non si avesse più coscienza del modello.
Prof.ssa Danesi Marioni, lei ha curato la traduzione delle iscrizioni. Quali ostacoli ha incontrato nella resa italiana di questi testi? Che tipo di traduzione ha scelto?
La traduzione è stata molto meditata: mi sono sforzata di non travisare il testo, ma di rendere il più possibile lo spirito dei vari epitafi, proponendo una resa in prosa che meglio poteva adattarsi a testi dal tono e dal livello assai eterogeneo. Infatti le iscrizioni dell’antologia presentano una notevole difformità sia sul piano linguistico che formale: alcune hanno un tono più intimo e patetico, altre sono caratterizzate da una certa leggerezza e garbata ironia, comunicando un'idea di vita pur nell'impianto luttuoso. Nella traduzione ho cercato di calibrare lo spirito diverso che traspare dalle varie epigrafi, ricorrendo al linguaggio affettivo per riprodurre le effusioni del sentimento e inserendo qualche espressione scherzosa laddove il dialogo con il passante e lettore si faceva più personale e confidenziale. Anche il livello stilistico delle iscrizioni non è uniforme: ci sono epigrafi con un latino assai influenzato dalla lingua dell’uso, mentre altre rivelano un notevole impegno sul piano metrico e formale e si dimostrano composte da poeti forse dilettanti, ma dotati di maestria e cultura. Ad esempio l'epigrafe a Marco Lucceio Nepote è da considerarsi una vera e propria elegia, molto articolata ed elaborata; ha richiesto un notevole impegno riprodurne le espressioni particolarmente ricercate. In altri casi i testi sono invece piuttosto brevi e qui la difficoltà principale era evitare la monotonia, cercando di variare in italiano i termini impiegati per esprimere il dolore, il rimpianto, lo scoramento ricorrenti in epigrafia funeraria. Alcune epigrafi mi hanno sollecitato numerosi ripensamenti; per citare due soli esempi, nell’iscrizione del mercante Lucio Valerio Ariete, dove una citazione da Ovidio è adattata al nuovo contesto, dovevo riprodurre il gioco di parole che caratterizza la ripetizione del termine cura. Ho optato per “occupazione” e “preoccupazione” che restituiscono nel suono la ripresa del medesimo vocabolo nel testo latino. Nell’epigrafe di Tito Elio Fausto per tradurre litterulas, diminutivo dal valore affettivo con il quale sono indicate le lettere dell’acrostico che rende noto il soprannome del defunto, scartando altre opzioni, ho infine recuperato il termine galileiano “caratteruzzi” che mi pareva restituisse appieno il valore del vocabolo latino.
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Monumento funebre di Cornelia Tyche e Iulia Secunda (seconda metà del II secolo d.C.), Musée du Louvre, Parigi (CIL VI 20674)
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Prof.ssa Gabrielli, lei ha curato il commento e le note, soffermandosi molto sia sulla contestualizzazione dell'iscrizione e del suo supporto sia sulle annotazioni di carattere storico-archeologico. Come ha impostato il tutto?
Il commento è articolato in una parte più incentrata sulla descrizione tecnico-epigrafica del supporto (alcune iscrizioni appartengono a monumenti funerari complessi, altre sono iscritte su semplici lastre), la disposizione del testo, la tecnica di scrittura, la forma delle lettere, eventuali errori o correzioni del lapicida, nonché dettagli sulla contestualizzazione del luogo di ritrovamento del monumento funerario. Rilevanza è stata data anche all’aspetto iconografico, laddove presente, spesso complementare al testo inciso. Infine mi sono soffermata sui contenuti del testo. Ci sono iscrizioni che fanno riferimento a mestieri, professioni, cariche militari e amministrative, tutti particolari che non potevo non commentare e ampliare. Grande attenzione ho dedicato all'onomastica, da cui spesso ricaviamo informazioni sullo status giuridico e sulla posizione sociale dei committenti e dei destinatari. Ho segnalato, inoltre, aspetti linguistici e fonetici che riflettono l'evoluzione del latino orale.
C'è un'iscrizione che vi ha colpito e che ricordate in modo particolare?
Maria-Pace Pieri: Ce ne sono molte, ma voglio citare in particolare un epigramma epigrafico di ottima fattura dedicato a Domestico, uno schiavo di sedici anni. Il carme sepolcrale illustra chiaramente i due modi sopra indicati che consentivano di sopravvivere alla morte. Infatti il padrone aveva posto una lapide con il nome nel luogo del decesso, che era avvenuto nelle Baleari, e poi aveva costruito un cenotafio (una tomba vuota) nella sua proprietà di Tusculo, sperando che l’umbra di Domestico, trasferitasi lì, potesse godere la vista dei luoghi familiari.
Giulia Danesi Marioni: Sono legata a più di un'iscrizione. Mi piace molto, nella prima sezione tematica, quella in cui due liberti, moglie e marito, instaurano una specie di dialogo nella loro tomba, ricordando con espressioni affettuose i figlioletti. Mi hanno colpito, inoltre, numerose epigrafi della seconda sezione, dedicate alle mortes immaturae di bambini, adolescenti, giovani, in cui è prevalente il senso dell’innaturalità e dell’ingiustizia di tali morti, espressa con toni accorati e patetici. Infine, nella parte dedicata alle professioni e ai mestieri, ho trovato particolarmente interessante l'epigrafe che documenta la vicenda del mietitore africano arricchitosi grazie alla sua attività. Quest'uomo, nato nella miseria, non si è rassegnato alla sua condizione originaria, ma ha creduto nella possibilità di un riscatto sociale attraverso l’impegno nel lavoro e con orgoglio rivendica i successi ottenuti.
Chantal Gabrielli: Difficile scelta! Un aspetto che mi ha indubbiamente colpito ed è presente in molte epigrafi è la grande importanza, direi l’enfasi, con cui viene sottolineato il livello culturale di molti defunti, soprattutto il livello di alfabetizzazione dei giovani. In un momento in cui la chiusura delle scuole e dei luoghi della cultura sembra non essere un problema, fa bene all'anima leggere l'iscrizione di un maestro di scuola che si gloria di aver insegnato bene e di essere ricordato dai suoi alunni, o quella del ragazzino prodigio al cui funerale partecipò tutto il vicinato. Come non menzionare, poi, l'iscrizione del giovane Petronio Antigenide, amante della filosofia, conoscitore di Pitagora, Euclide, Omero e i lirici? Una cultura straordinaria!
Infine, fra le iscrizioni a me più care, vorrei ricordare il monumento funebre di Flavio Agricola, rinvenuto sotto il pavimento della Basilica di San Pietro in Vaticano, esempio emblematico dell'impossibilità di scindere tra testo iscritto e supporto. Del sarcofago monumentale oggi si conserva solo il coperchio, mentre l'iscrizione, che conosciamo solo da tradizione manoscritta, venne distrutta per lo scalpore che destò in Vaticano, in quanto invocava l'epicureismo come filosofia di vita. Nel carme sepolcrale Flavio si rivolge a coloro che leggeranno l'iscrizione incisa sul suo monumento funebre, invitandoli ad assaporare intensamente i piaceri della vita, partecipando a banchetti, bevendo e ornandosi il capo di fiori. Sul coperchio abbiamo una totale identificazione tra iscrizione e apparato iconografico, e la statua del defunto sdraiato su kline, il letto in uso durante i banchetti, mentre impugna una coppa da libagione con la mano sinistra e con la destra si cinge il capo con una corona di fiori, sembra prendere vita e parlare al casuale spettatore.
Quale messaggio vi augurate possa arrivare a coloro che leggeranno questo vostro lavoro?
Maria-Pace Pieri: Mi auguro che il libro, rivolto a non specialisti (anche se spero non del tutto inutile per gli addetti ai lavori), aiuti a conoscere aspetti della società, della vita, della sensibilità romana che integrano utilmente la visione offerta dalla più nota produzione letteraria: e soprattutto spero che consenta a chi legge di apprezzare quanto ancora resta di ‘antico’ nel nostro agire, pensare e sentire quotidiano.
Giulia Danesi Marion Mi farebbe piacere se i lettori scoprissero, oltre ad un mondo poco noto fatto di sentimenti ed emozioni, anche un'immagine della donna diversa da quella tradizionale rappresentata nei testi letterari. Nelle nostre iscrizioni troviamo, oltre a spose fedeli e giovani pudiche, una donna che accompagna suo marito nell’attività commerciale rischiando i pericoli della navigazione in mare, come Cornelia Tyche, e un’altra che è addirittura sua socia negli affari, come Urbanilla, e poi Amemone, una rinomata taverniera, e Sabina, abile cantante e suonatrice d’organo. Sottolineo questo aspetto perché mi affascina particolarmente e restituisce dignità e autorevolezza a figure spesso considerate al margine della società antica.
Chantal Gabrielli: Spero che i lettori afferrino subito la chiave di lettura racchiusa nel sottotitolo: la memoria e il ricordo aiutano a mantenere in vita i nostri defunti. Se da un lato le iscrizioni denunciano e annunciano la morte, comunicano il dolore straziante per un lutto, il momento critico del distacco da una persona cara, dall'altra raccontano spesso la vita. Non mancano, infatti, scene luminose, episodi piacevoli della quotidianità che comunicano la gioia delle piccole cose, la bellezza di un’esistenza ordinaria. Da tutto ciò emerge un'umanità che ci fa sentire il mondo antico molto vicino a noi.
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