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Augusto Mulas: l'orientamento astronomico dei nuraghi

lunedì, 09 dicembre 2019 19:01

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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
FtNews ha avuto il piacere di intervistare il prof. Augusto Mulas, autore dei libri L´isola sacra: ipotesi sull´utilizzo cultuale dei nuraghi (Condaghes, 2012) e In terra come in cielo. I nuraghi e le Pleiadi (Condaghes, 2013). Nel primo libro l'autore - che ha una laurea in Lettere classiche a indirizzo preistorico e protostorico per la Sardegna con una tesi sui rapporti tra la Sardegna nuragica e il Mediterraneo in età protostorica - avanza l'ipotesi che il nuraghe Santu Antine e i sette nuraghi a esso limitrofi, situati nel territorio di Torralba (SS), siano stati collocati dall´uomo nuragico ricalcando lo schema delle Pleiadi. Questa ipotesi è illustrata con maggiore dovizia di particolari nell´opera In terra come in cielo. I nuraghi e le Pleiadi, scritto insieme all'ing. Marco Sanna.
In una lunga e intensa intervista il prof. Mulas ha ripercorso i momenti salienti di questa ricerca, spiegando che i Nuragici possedevano avanzate conoscenze in ambito astronomico che consentivano loro di orientare i monumenti secondo i più importanti punti solstiziali ed equinoziali. Lo studioso ha discusso dell´importanza dell´ammasso stellare delle Pleiadi presso i popoli antichi, illustrando i motivi per cui l'astronomia occupava uno spazio tanto importante presso le più antiche civiltà sparse per il mondo.
Mulas ha affrontato anche l'argomento relativo al ruolo non marginale che ebbe la civiltà nuragica all'interno del Mediterraneo occidentale in età protostorica, ribadendo la funzione imprescindibile dell'archeologia per ricostruire la storia della terra che ospitò una delle civiltà più antiche e all'avanguardia del bacino del Mediterraneo.
Nelle sue parole l'auspicio che studi sempre più precisi e rigorosi possano contribuire a far conoscere l’alto grado di civilizzazione che i Nuragici raggiunsero e il ruolo da protagonista dei principali scambi commerciali, tecnologici e forse anche culturali che la Sardegna esercitò durante il periodo pre-protostorico.

Prof. Mulas, lei è laureato in Lettere classiche a indirizzo preistorico e protostorico per la Sardegna con una tesi sui rapporti tra la Sardegna nuragica e il Mediterraneo in età protostorica. Ha conseguito la scuola di specializzazione in archeologia e un master internazionale sull’archeologia del Mediterraneo. Nel corso della sua carriera ha partecipato a numerose campagne di scavo in Sardegna, tra cui quelle tenutesi presso il villaggio nuragico di Sant´Imbenia ad Alghero (SS), nel villaggio-santuario in località Abini, nel comune di Teti (NU), nel nuraghe "Sa Figu" di Ittiri (SS) e nel villaggio medievale di Geridu, a Sorso (SS). Che ruolo ebbe la civiltà nuragica all'interno del Mediterraneo occidentale in età protostorica? Sono documentate alleanze commerciali o scambi culturali con le civiltà a essa contemporanee?
Alla luce delle attuali conoscenze, ma anche dopo un’attenta revisione degli scavi archeologici compiuti agli inizi del ‘900 dal Taramelli, penso ad esempio agli importantissimi ripostigli di Monte sa Idda e Monte Arrubiu, che hanno restituito importanti e preziosi reperti di foggia similare che accomunano la Sardegna nuragica e la penisola iberica, possiamo affermare con certezza che il ruolo della Sardegna nuragica fu indubbiamente di primaria importanza.
Tali e tanti sono ormai i ritrovamenti di ceramiche nuragiche che partendo dal golfo di Marsiglia, giungono sino a Cadice o Huelva, per tacere degli straordinari rinvenimenti attestati negli strati di fondazione di Cartagine e più recentemente ad Utica, che ormai la discussione andrebbe incentrata essenzialmente su quali furono i vettori che trasportarono questi materiali, ovvero se si trattasse di marinerie composte da equipaggi eterogenei, come sostenuto dai più, oppure se il popolo nuragico non possedesse già da quel periodo una propria marineria, capace di intessere rapporti commerciali con i popoli insediati nel bacino centro-occidentale del Mediterraneo.
A questo proposito mi preme sottolineare che già nel 2004 l’archeologo Victor M. Guerrero Ayuso dell’Universitat de les Illes Balears, pubblicò un bellissimo articolo dal titolo “La marina de la Cerdeña nuragica”, nel quale indica chiaramente come, secondo i suoi studi e le sue osservazioni, i nuragici agissero nei traffici del Mediterraneo con una propria marineria. Citiamo a tale proposito uno stralcio del suo articolo in traduzione italiana: In ogni caso, come è stato detto, la maggior parte dei tipi nuragici nautici non differisce sostanzialmente dai micenei, tranne in assenza di tajamar. La somiglianza della nave micenea di Esciro, già citata, con i modelli nautici che rappresentano la maggior parte dei votivi nuragici in bronzo ne è una buona prova. Pertanto, non possiamo dubitare della capacità delle navi sarde dell'età del bronzo di organizzare compagnie che li avrebbero portati con successo nel Mar Egeo, allo stesso modo dei navigatori micenei su navi simili, fino a quella che sarà in seguito la Magna Grecia, Sicilia e Sardegna stesse, come indica la progressiva espansione delle sue ceramiche (Vagnetti, 1983; Gras, 1985: 57-64; Domínguez Monedero, 1989: 41-53) lungo questi confini del Mediterraneo centrale tra il XVI secolo XV e XII-XI a.C.
Concludo dicendo che le recentissime scoperte di materiali nuragici nell’isola di Cipro, unitamente ai diversi rinvenimenti attestati nell’isola di Creta, di Mozia, delle isole Lipari, dimostrano una propensione non comune per quell’epoca agli spostamenti via mare di questo popolo. Tutto questo contesto non autorizza però a delineare un quadro, come alcuni vorrebbero, di una “talassocrazia” dei nuragici nel Mediterraneo, ma certamente l’immagine di un popolo arroccato nella propria isola, oppure capace di navigare solamente con o tramite l’ausilio di altre marinerie, dovrebbe essere definitivamente accantonata.

Nel 2012 ha pubblicato il volume L´isola sacra: ipotesi sull´utilizzo cultuale dei nuraghi, in cui avanza l'ipotesi che il nuraghe "Santu Antine" e i sette nuraghi a esso limitrofi, situati nel territorio di Torralba (SS), siano stati collocati dall´uomo nuragico ricalcando lo schema delle Pleiadi. Ci sono evidenze scientifiche in merito? Di quali conoscenze astronomiche e di quali mezzi disponevano coloro che edificarono questi nuraghi?
I nuragici possedevano certamente notevoli conoscenze in ambito astronomico: lo studio sistematico dei monumenti quali le domus de janas (sepolture ipogeiche scavate nella roccia, presenti a migliaia in Sardegna), che presentano i loro ingressi orientati verso precisi target astronomici, indicano conoscenze ben consolidate fin dal neolitico recente-finale. Queste conoscenze sono state implementate nel corso dei millenni, tanto da arrivare a risultati eclatanti, come l’orientamento astronomico dei nuraghi complessi. Tra i tanti esempi si possono citare gli straordinari casi del Santu Antine e del nuraghe Losa, il cui impianto planimetrico è perfettamente incardinato all’interno degli assi solstiziali. Direi che questo progetto è carico di profondi significati ideologici e religiosi e allo stesso tempo meramente pratici.
Tutto questo non dovrebbe stupire più di tanto, basti pensare che qualche secolo dopo alcune delle più importanti città etrusche vennero edificate rispettando lo stesso principio, come dimostrato in modo ineccepibile dagli studi dell’archeologo Gottarelli sulla fondazione di Marzabotto, avvenuta secondo l’etrusco ritu, cioè la proiezione terrena del templum celeste. Oppure, in precedenza, pensiamo alle città sumere, amministrate da una casta di sacerdoti-astronomi, gli unici capaci di stabilire i momenti fondamentali per i lavori agricoli. Le loro conoscenze astronomiche diventarono con il tempo strumenti di potere. Cito questi esempi per sottolineare come le conoscenze astronomiche fossero un patrimonio di tutta l’umanità fin da tempi molto antichi, dunque non si comprende perché anche i nuragici non potessero esserne a conoscenza.
Il Nuraghe Santu Antine di Torralba (dalla pagina Facebook "Sardegna Sacra" di Ilaria Montis)
Come si può confrontare la posizione dei nuraghi con quella delle stelle?
Questo confronto può essere fatto attraverso degli appositi software; proprio in queste settimane lo studio è al vaglio di un astronomo che applicherà un recente software di sua creazione per poter confermare o smentire i risultati, peraltro già estremamente puntuali, dell’ingegner Sanna. Quindi siamo in attesa di queste ulteriori nuove verifiche.

Quanto è durata la sua ricerca sull'argomento? Può ripercorrere per noi le tappe fondamentali di questo interessante studio?
La ricerca sull’argomento è stata molto lunga, sia dal punto di vista dell’approccio territoriale, sia nella ricerca dell’importanza che questo ammasso stellare ha avuto nel corso della storia dell’uomo. Devo dire che in quest’ultimo caso la sorpresa è stata enorme. Ho constatato quanto questo gruppo di stelle (colgo l’occasione per ribadire che le Pleiadi sono un ammasso stellare e non una costellazione) sia stato preso in considerazione dagli antichi come marcatore dell’alternarsi delle stagioni e, di conseguenza, quanto fosse fondamentale sia per scandire i ritmi dell’ agricoltura, sia quelli della navigazione, soprattutto per i romani e ancor prima per i greci. In un passo del libro “Le opere e i giorni” Esiodo, vissuto nell’VIII sec. a.C., scrive testualmente: Quando le Pleiadi sorgono, figlie di Atlante, la mietitura comincia; l’aratura al loro tramonto….e continua: questa è la legge dei campi, sia per quelli che abitano le pianure vicino ai campi, sia per quelli che abitano le opime terre.
Il fatto che Esiodo usi il termine “legge” per parlare delle tempistiche da rispettare nella coltivazione dei campi la dice lunga sull’importanza di questo ammasso stellare. D’altra parte è assai interessante quanto riportato da Plinio il Vecchio in Naturalis historia, XVIII, 319-320: Il periodo giusto per la vendemmia va dall’equinozio d’autunno al tramonto delle Pleiadi e dura 44 giorni; forse non è un caso che le Pleiadi in alcune zone della Sardegna vengano ancora oggi chiamate “udrone” o “budrone”, cioè grappolo d’uva...
Tornando, invece, brevemente all’approccio territoriale, è importante sottolineare come i più importanti modelli di analisi dei dati in funzione della valutazione delle modalità insediative, sviluppati per comprendere al meglio la disposizione degli insediamenti nel territorio, mi riferisco ai Poligoni di Thiessen, quella del Vicino più prossimo, la Rank-size Analysis, oppure la Site Catchment, non riescano a spiegare del tutto i criteri scelti dall’uomo nuragico per la distribuzione dei nuraghi nel territorio. Restringendo il campo solo ai nuraghi interessati da questa ipotesi, appare del tutto incomprensibile dal punto di vista dello sfruttamento del territorio e delle sue risorse, ma anche della difesa dello stesso, la disposizione di due nuraghi come il Culzu e il Longu, distanti l’uno dall’altro meno di 180 metri e ubicati peraltro al fondo di una lieve depressione del territorio soggetta a fenomeni frequenti di impaludamento per via della ricchezza d’acqua di quel comprensorio.
Peraltro appare almeno singolare la scelta dei nuragici di edificare il nuraghe Santu Antine al centro di una piccola valle alluvionale. Tale opzione li costrinse a realizzare un’imponente piattaforma artificiale di basalto come fondazione dello stesso edificio. Perché tanto sforzo, quando a poche centinaia di metri sussistono dei rilievi basaltici che avrebbero potuto “comodamente” ospitare la struttura?

Nell'espressione Isola sacra sembra di scorgere un riferimento ai versi 1011-1016 della Teogonia di Esiodo. Che ruolo hanno giocato le fonti classiche in questa sua ricerca? Le fonti greche parlano dei Nuragici?
Le fonti greche, tutte abbastanza tarde rispetto al periodo nuragico, non parlano espressamente del popolo nuragico, ma abbiamo tutta una serie di racconti legati al mito; penso alla figura di Aristeo, responsabile dell’introduzione delle coltivazioni in Sardegna, oppure a Iolao e i Tespiadi che giunsero in Sardegna. Fu lo stesso Iolao, secondo Timeo di Tauromenio, a richiamare dalla Sicilia, nell’isola, Dedalo per costruire “molte e grandi opere” che vennero chiamate dal suo nome daidalea; tra queste annovera “ginnasi grandi e magnifici”, “templi degli dei” e tribunali. Tra le fonti da citare merita una menzione, a mio avviso, il racconto di Simonide di Ceo, che potrebbe risalire perfino al VII sec. a.C. Secondo questo autore, sarebbe esistito uno stretto rapporto tra l’automa bronzeo Talos e i Sardi. Talos sarebbe “nato” in Sardegna, trasferito successivamente a Creta, per poi diventarne il difensore, uccidendo con il fuoco tutti coloro che osavano avvicinarvisi all’isola. Insomma, questa complicata vicenda (per la quale rimando al bellissimo articolo di Paola Ruggeri, intitolato “Talos, l’automa bronzeo contro i Sardi”), ci trasmette alcune notizie molto interessanti: in primis i collegamenti che già in un periodo molto antico misero in connessione la Sardegna nuragica e Creta, rapporti poi abbondantemente attestati anche di recente dalle indagini archeologiche; secondariamente l’importante e precisa descrizione dell’automa Talos, il quale possedeva un’unica vena che, attraversando tutto il corpo dalla nuca al tallone, racchiudeva il sacro liquido che svolgeva la funzione del sangue.
Ecco, dietro questa descrizione si celerebbe lo scambio di “know how” tra le due isole, ovvero la tecnica cosiddetta a cera persa per la produzione dei bronzetti. Ad esempio, il nuraghe Nurdòle ha restituito statuine bronzee realizzate secondo canoni propri delle tecniche bronzistiche cretesi, diverse da quelle utilizzate dai raffinati artigiani nuragici.

Quanto può aiutare l'archeologia a ricostruire la storia della terra che ospitò una delle civiltà più antiche e all'avanguardia del bacino del Mediterraneo? A tal proposito, i ritrovamenti all'interno delle tholoi nuragiche che tipo di contesto presentano? Ci faccia qualche esempio concreto.
Direi che è fondamentale. Anzi ritengo che i fondi messi a disposizione per la ricerca in questo specifico settore siano sempre troppo esigui. I nuragici hanno lasciato in eredità un patrimonio che definire spropositato è riduttivo, pertanto necessiterebbe di notevoli finanziamenti che sicuramente non andrebbero dispersi. Infatti, sono profondamente convinto che i frutti della ricerca archeologica possano poi essere un volano straordinario per un turismo culturale, che visitatori ed appassionati richiedono sempre di più.
Per quanto attiene i ritrovamenti restituiti dalle tholoi nuragiche, ma anche dagli ambienti strettamente connessi alla torre principale, il discorso è troppo ampio per essere affrontato in questo spazio. Senz’altro possiamo dire che il discorso connesso al cosiddetto “cambio di destinazione d’uso” è destinato a produrre fondamentali cambiamenti circa la funzione di questi edifici. Su tutti cito i casi del nuraghe Nurdòle e del Su Mulinu, emblemi di una visione paradigmatica che ha senz’altro necessità di essere rivisitata profondamente.

Nel libro parla anche di alcuni "cambi di destinazione d'uso" dei nuraghi. Cosa testimonia questa evoluzione?
Nel mio libro, come nella mia tesi di specializzazione, affronto questo problema, sottolineando che in alcuni casi la rilettura di alcuni contesti potrebbe rivelarsi molto utile per comprendere come, attraverso uno studio più attento e svincolato da alcune posizioni “ideologiche” di alcune stratigrafie, non si dovrebbe più parlare di cambio, ma piuttosto di continuità d’uso cultuale del nuraghe.
Lei definisce il nuraghe "Su Mulinu" di Villanovafranca una "fortezza santuario". Quali evidenze le hanno fatto maturare questa convinzione?
Questa definizione è chiaramente una provocazione, anzi un vero e proprio ossimoro.

E di "Su Nuraxi" di Barumini, il Nuraghe per eccellenza, cosa si può dire?
Che, al pari di tanti altri nuraghi, è una struttura straordinaria, sia per le caratteristiche architettoniche, sia per la mole altrettanto imponente. Su Nuraxi è anche uno dei pochi casi di nuraghi indagati nella sua quasi totalità, mi riferisco sia al nuraghe che al villaggio. Lo sforzo compiuto dal decano dei nostri archeologi, Giovanni Lilliu, non dovrebbe andare disperso; questo monumento ha restituito una quantità straordinaria di materiali che andrebbero studiati e catalogati sino in fondo, ma purtroppo ci scontriamo ancora una volta contro la mancanza di fondi necessari per poter programmare un progetto così importante e impegnativo.

Il penultimo capitolo del libro è dedicato all'origine e all'evoluzione dei pozzi sacri nuragici, considerati il luogo dove venivano celebrati i più importanti riti religiosi e cultuali dei Nuragici. Perché il popolo nuragico avvertì l'esigenza di costruire i pozzi sacri? Cosa ci dicono questi monumenti cultuali relativamente alle caratteristiche dell'architettura religiosa preistorica sarda?
Anche questo è un argomento molto impegnativo. Sappiamo con certezza che i nuraghi vennero concepiti precedentemente ai pozzi sacri, li separano diversi secoli. Ma è altrettanto vero che alcuni nuraghi racchiudono al loro interno dei pozzi che sono stati sicuramente utilizzati per l’espletamento di particolari culti non ancora del tutto compresi. Penso al pozzo della torre nord del Santu Antine, al pozzo del nuraghe La Prisgiona, quello del nuraghe Lugherras, o all’eccezionale opera di ingegneria idraulica realizzata presso il nuraghe Cuccuru Nuraxi di Settimo San Pietro. Recentemente sono stati individuati dei contesti connessi al culto anche presso il pozzo del nuraghe Barru di Guamaggiore.
Nella mia personale ricerca ho potuto constatare, con tutte le cautele del caso, l’evidenza di un filum evolutivo del pozzo sacro, che nasce nelle sue forme più semplici ed arcaiche all’interno del nuraghe, per poi evolversi successivamente in una struttura del tutto autonoma al di fuori di questi edifici. Forse non è un caso che la maggior parte dei pozzi e delle fonti sacre vengano edificate a partire dallo stesso periodo in cui, progressivamente, i nuraghi non vengono più costruiti. Naturalmente resta il problema dell’utilizzo dei pozzi interni ai nuraghi come fonti di approvvigionamento idrico, probabilmente un utilizzo non escludeva l’altro, ma, per esempio, nel caso del Nurdòle la fonte è elemento centrale di tutte le strutture legate al culto delle acque, culto al quale le popolazioni nuragiche erano profondamente legate.

Nel libro In terra come in cielo. I nuraghi e le Pleiadi illustra con maggiore dovizia di particolari l´ipotesi da lei avanzata nell´opera L´isola sacra, ovvero, come si è detto, che il nuraghe "Santu Antine" e i sette a esso limitrofi, situati nel territorio di Torralba (SS), siano stati collocati dall´uomo nuragico ricalcando lo schema delle Pleiadi. Al fine di accreditare tale ipotesi, ha voluto sottoporla a un'approfondita e scrupolosa analisi probabilistica per verificare la possibile disposizione casuale dei nuraghi. Cosa dimostra l'analisi matematico-probabilistica che ha riportato nella presente pubblicazione?
Perché i risultati ottenuti le hanno consentito di affermare con certezza l'intenzionalità della disposizione di questo gruppo di nuraghi nella valle dei nuraghi di Torralba, in maniera sovrapponibile all´ammasso delle Pleiadi?

Era necessario andare oltre il semplice confronto visivo dei due sistemi, a questo proposito i calcoli dell’ing. Marco Sanna hanno fornito delle risposte molto puntuali. Ecco, bisognerebbe confutare questi calcoli per poter avviare un confronto serio. Ripeto, attualmente l’ipotesi è sottoposta al vaglio di un astronomo.

L´importanza dell´ammasso stellare delle Pleiadi è nota sin da epoche remote. Cosa ci dicono le fonti antiche e le ricerche antropologiche di studiosi del calibro di James Frazer in merito alla diffusione del culto del Pleiadi presso i popoli antichi?
Nella mia ricerca è stato fondamentale un testo dal titolo “La stella perduta. Le Pleiadi nella tradizione mitologica e popolare” di Paola Capponi, docente dell’ Università Pablo de Olavide di Siviglia. Questo testo, oltre ad essere una ricerca molto interessante e approfondita, mette in risalto l’importanza che questo ammasso stellare, forse il più luminoso del firmamento, ebbe sin da tempi remoti. Si pensi che le Pleiadi sono nominate nell’Iliade (XVIII, 483-489), ma erano tenute in gran conto anche dai popoli della Mesopotamia (Sumeri e successivamente Babilonesi), come d’altro canto sono state venerate da popoli sparsi in tutto il mondo: perfino gli Aztechi celebravano un’importantissima festa in loro onore, chiamata “La fiesta del fuego nuevo”. E’ incredibile pensare che ancora sino al 1857 il popolo che risiedeva nelle isole Hervey, nell’Oceano Pacifico del sud, venerasse le Pleiadi, culto poi abbandonato dopo l’introduzione della religione cristiana.

Nell'opera racconta di un'interessante inchiesta, non ancora pubblicata, condotta dall'ing. Antonio Demartis, ex sindaco di Mores (SS). La ricerca in questione, denominata "La cosmogonia sarda; sa tzimbonia 'sa paza cun tottu sas iscalas, cortes e isteddos", raccoglie interviste realizzate agli anziani di Mores in merito ai nomi in lingua sarda degli astri. Ai fini della sua ricerca, quale contributo forniscono l'analisi dei toponimi e queste testimonianze, in modo particolare quella rilasciata da tiu Toniu Sassu?
Personalmente ritengo che sia un peccato che questa ricerca non sia stata ancora pubblicata; si tratta comunque di una testimonianza assai interessante sullo stretto rapporto che l’uomo aveva con la volta celeste in Sardegna sino a due o massimo tre generazioni fa. Per quanto riguarda la mia ricerca, vi è la testimonianza che gli anziani del paese identificavano le Pleiadi con il nome di “sa sorre” (la sorella), ed in effetti il nome più diffuso per identificarle è quello di "le sette sorelle".

Che rapporto avevano gli antichi con la volta celeste? Perché l'astronomia occupava uno spazio così importante presso le più antiche e importanti civiltà sparse per il mondo?
Gli antichi avevano uno strettissimo rapporto con la volta celeste, non solo per motivi religiosi o cultuali, ma anche per motivi meramente pratici, quali l’agricoltura o la navigazione. Ad esempio, in Sardegna la stella Venere è collegata all’ora della cena. La stella di “kenadorzu”, termine utilizzato per indicare questa stella in lingua sarda, indicherebbe per il Wagner sia l’ora, che il sito della cena, sia lo spazio di tempo in cui le pecore si abbandonavano al pascolo durante le prime ore della notte nei mesi caldi.

Quale messaggio si augura possa giungere a coloro che leggeranno i risultati delle sue ricerche?
Più che un messaggio è un vero e proprio augurio, cioè la speranza che studi sempre più puntuali e rigorosi possano gettare nuova luce su una civiltà che, nonostante i notevoli sforzi degli ultimi anni, rimane sempre poco nota non solo in Sardegna, ma soprattutto fuori dall’isola. Abbiamo la necessità di far comprendere l’alto grado di civilizzazione che questo popolo raggiunse e il ruolo non marginale che ebbe durante il periodo pre-protostorico. La Sardegna nuragica non fu solo un approdo per naviganti che volevano spostarsi da una parte all’altra del Mediterraneo, ma attrice protagonista dei principali scambi commerciali, tecnologici e forse anche culturali di quel remoto periodo.
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