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lunedì, 05 giugno 2023 19:20 |
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) In copertina: Frammento di testa di fanciulla in marmo, 138-161 d.C., New York, The Metropolitan Museum of Art
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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FtNews ha intervistato il prof. Giorgio Ieranò, autore del libro Le parole della nostra storia. Perché il greco ci riguarda (Marsilio Editori, 2020). Nel volume lo studioso - professore di Letteratura greca all'Università di Trento, nonché saggista e traduttore teatrale - guida il lettore alla scoperta del prezioso patrimonio linguistico e letterario ereditato dalla cultura greca. L'indagine di Ieranò prende in considerazione il lessico dell'anima, del sacro, della cultura e della politica. Sfogliando le pagine di questo pregevole libro, ci rendiamo conto che il greco è tutto fuorché una lingua morta.
Nel corso della nostra conversazione Ieranò ha parlato del percorso attraverso il quale le idee e le parole dei poeti, degli scrittori, dei grandi pensatori antichi sono arrivate fino ai giorni nostri. Ha sottolineato l’importanza della storia della tradizione, spiegando che tutto il patrimonio culturale della grecità è arrivato a noi attraverso una serie importante di mediazioni, reinterpretazioni e ricreazioni delle quali dobbiamo essere consapevoli.
Prof. Ieranò, nel libro Le parole della nostra storia. Perché il greco ci riguarda, pubblicato da Marsilio Editori (2020), accompagna il lettore alla scoperta del prezioso patrimonio linguistico e letterario ereditato dalla cultura greca. Sfogliando le pagine del volume, ci rendiamo conto che il greco è tutto fuorché una lingua morta: è al greco antico che spesso ricorriamo quando dobbiamo dare un nome alla realtà che ci circonda. Come si spiega l'onnipresenza della grecità nella nostra lingua? Dove risiede la forza delle parole greche e che tipo di metamorfosi ha subito il lessico greco attraverso il tempo?
Le parole greche non hanno una forza particolare. Sono le vicende della storia ad aver fatto sì che il greco sia alla radice di molte parole chiave delle lingue europee. Il greco è stato per secoli la lingua franca della cultura, della scienza e anche della religione (non solo pagana: i Vangeli sono scritti in greco): alcuni termini sono stati assimilati dapprima dal mondo romano e poi sono entrati nelle lingue moderne tramite la mediazione del latino; altri sono stati recuperati magari in tempi moderni, a partire dall’Umanesimo.
La sua indagine prende in considerazione il lessico dell'anima, del sacro, della cultura e della politica. Come e perché, secondo lei, alcune parole hanno fatto la storia, mentre altre sono cadute nell'oblio? Viceversa, in che modo la storia ha influito sulle espressioni che da secoli usiamo per descrivere noi stessi e il mondo?
Le parole che hanno fatto la storia sono quelle che, di volta in volta, ci servivano per descrivere o progettare il nostro mondo. Quelle che rispondevano alle esigenze che, nel lungo corso del tempo, si presentavano. “Democrazia” è parola che è rimasta per molto tempo in ombra, essendo ormai estranea all’esperienza politica reale, per ritornare poi in auge in tempi più recenti.
Lei ha analizzato il linguaggio dei poeti, degli scrittori, dei grandi pensatori antichi. In che modo le loro idee e le loro parole sono arrivate fino ai giorni nostri?
È stato fondamentale il ruolo di Bisanzio: sono i bizantini ad avere preservato gran parte dei testi della letteratura greca e a salvare quei manoscritti che poi, arrivati in Occidente nel momento in cui l’impero d’Oriente veniva conquistato dagli ottomani, sono finiti nelle mani degli umanisti.
Le parole 'mito', 'mistero', 'eroe', 'orgia' facevano parte del lessico del sacro. Come venivano usate in origine? Attraverso quali passaggi si sono trasformate per arrivare al significato che hanno oggi?
“Eroe” è una parola di origine oscura, che appartiene al lessico della religione: indicava una figura straordinaria, vissuta in un remoto passato, che stava a metà tra gli uomini e gli dei. Una creatura splendida e vigorosa come le divinità, ma sofferente e mortale come gli esseri umani, caratterizzata da eccessi di ogni tipo, ma celebrata anche nel culto religioso. Anche “orgia” apparteneva al lessico del sacro e indicava riti in genere di carattere, appunto, misterico” (cioè riservati a iniziati). “Mythos” era semplicemente la parola, il racconto, la narrazione. Poi questi termini hanno cambiato significato per ragioni varie e complesse. Per esempio, nel determinare un significato spregiativo di “orgia”, è stata determinante la polemica contro i riti misterici pagani, particolarmente viva all’inizio dell’età cristiana.
Che rapporto c'era, nel mondo antico, tra mitologia e teologia? In quale momento la teologia venne "consacrata" come disciplina filosofica e scienza razionale del divino?
Secondo l’insigne studioso tedesco Werner Jaeger, il creatore del concetto di teologia è stato Platone. Ma è un’opinione che si può discutere. In realtà, a consacrare la teologia come esposizione razionale, argomentata e sistematica del pensiero sulla divinità è il Medioevo, soprattutto a partire dall’opera del grande Pietro Abelardo.
A proposito del lessico del sacro, perché la traduzione della Bibbia giudaica in greco, commissionata dal re d'Egitto Tolomeo II per la Biblioteca di Alessandria e passata alla storia come "traduzione dei Settanta", è stata così importante per la tradizione culturale cristiana?
Perché gran parte del lessico (greco) del cristianesimo è già stato fissato in quella traduzione: per esempio, “Christos” per definire colui che è Unto del Signore o “Angelos” per il messaggero divino.
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Se ci soffermiamo su alcune parole, scopriamo che è cambiato il loro significato originario. Per fare un esempio: in grecoskàndalon indica una trappola, una pietra scivolosa, mentre oggi il termine 'scandalo' ha un significato completamente diverso. Quale percorso ha attraversato la parola per assumere il significato che ha oggi nella nostra lingua?
È un significato che si definisce a partire da passi evangelici, in specie del Vangelo di Marco. Da lì inizia lo slittamento di significato che porta alla definizione di “scandalo” che si trova nel Catechismo della Chiesa cattolica: "L'atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male".
In quali parole greche che usiamo oggi è maggiormente visibile lo slittamento di significato subito attraverso i secoli?
In quasi tutte. Noi crediamo di usare certe parole nello stesso senso in cui le usavano i greci, ma spesso il loro valore è diverso (come nel caso, già citato, di “eroe” o di “mistero”). E, probabilmente, se portassimo un greco antico in un nostro teatro di prosa, quello ci direbbe: “Ma questo non è theatron! Non ci sono la musica, il canto, la danza, le maschere. È un'altra cosa”.
Termini come 'scuola', 'liceo', 'accademia', 'museo', 'biblioteca' sono di origine greca. Quale significato avevano nel mondo antico?
Accademia era il giardino dell’eroe Akademos dove si riunivano i seguaci di Platone. Liceo il luogo sacro ad Apollo Lykeios, in cui si ritrovavano gli aristotelici. “Bibliotheke” era la collezione di “biblia”, ovverosia di rotoli di papiro. “Scholé” indicava un momento di pausa, un tempo libero dal lavoro e dall’impegno politico, simile all’otium dei latini.
Nel libro si legge che la parola inglese "glamour", ormai diffusa anche in Italia, specie quando parliamo del mondo della moda e dei suoi lustrini, è, forse, una corruzione di "grammatikè", 'grammatica'. Quali tappe portarono a questo esito?
È un’etimologia controversa. Alcuni storici della lingua comunque ritengono che “grammatikè”, passando attraverso il francese antico gramaire o lo scozzese antico gramarye, abbia finito per indicare qualcosa che ha un carattere occulto e stregonesco. Grimoire, sempre nel francese antico, è un libro misterioso e magico. Da questo significato deriva poi l’attuale forma inglese glamour, che troviamo attestata, nel senso di “incantesimo”, nell’opera dello scrittore scozzese Walter Scott (1771-1832). Del resto, la scrittura, i “grammata”, i segni dell’alfabetico, sono apparsi talvolta ammantati da un’aura magica, se non addirittura diabolica (parliamo di società in cui l’analfabetismo era dominante).
Anche l'idea di Europa è nata nel mondo greco. Che nesso c'è tra il personaggio mitologico e il nome del nostro continente? Quando comparve per la prima volta il termine 'Europa' come nozione geografica?
Perché il nome di Europa, principessa fenicia sorella di Cadmo, abbia finito per indicare il nostro continente non è chiaro. Comunque, come nozione geografica, Europa compare per la prima volta nell’Inno omerico ad Apollo, dove però designa solo la parte continentale delle Grecia in contrapposizione sia alle isole dell’Egeo sia al Peloponneso. Ancora Aristotele usa il termine in un senso limitativo, distinguendo “i popoli dei paesi freddi e dell’Europa”, coraggiosi ma stupidi, dagli asiatici, ingegnosi e però servili, in quanto “hanno il raziocinio e la tecnica ma sono privi di coraggio e perciò sono sudditi e schiavi”. I greci, secondo Aristotele, stanno in una posizione intermedia tra europei ed asiatici: essi sono, infatti, gli unici a essere al tempo stesso arditi e intelligenti, coraggiosi e razionali.
Il termine 'economia' rimanda alla parola greca oikonomìa, che in origine designava l'organizzazione dell'òikos, del nucleo famigliare. Come e quando si affermò il senso moderno di economia?
Credo che il senso moderno di “economia” si affermi solo alla fine del XIX secolo, quando, per esempio, compaiono i Principi di economia di Alfred Marshall (1890).
Quali sono gli ibridi greco-latini che hanno avuto maggiore fortuna nella storia della nostra lingua?
Uno per tutti: televisione, inventato da Constantin Persky, un ingegnere russo specializzato in armi di artiglieria, a un congresso di scienziati che si tenne durante l’Esposizione universale di Parigi del 1900.
Prende in considerazione anche alcune parole moderne create sulla base del greco. Ce n'è una la cui origine l'ha colpita particolarmente?
Sì, nostalgia: è una parola inventata da un ragazzo di diciannove anni, lo studente di medicina alsaziano Johannes Hofer, che nel 1688 discute la sua tesi di laurea all’Università di Basilea. Per definire la strana malattia che prendeva i mercenari svizzeri sparsi per l’Europa al pensiero della loro patria lontana si inventa questa parola. Noi tutti siamo debitori a quel ragazzo per avere creato questa voce del lessico e avere dato un nome e una forma a un sentimento così importante.
Quali insegnamenti e quale esortazione può offrire la lingua greca ai nostri giovani e a noi, donne e uomini della società odierna? Quale messaggio si augura possa arrivare ai lettori del suo pregevole libro?
La lingua greca, di per sé, non insegna nulla di speciale. Conoscerla, però, aiuta a gustare meglio la bellezza delle opere di poeti immensi come Eschilo o a capire meglio i concetti espressi da grandi filosofi come Platone. Per questo vale la pena di studiarla. Se, però, non si è avuto il tempo o l’occasione per farlo, consiglio di leggere comunque i classici greci in una traduzione italiana (ce ne sono di eccellenti), così come facciamo, per esempio, con i classici della letteratura russa, che quasi nessuno legge nella lingua originale. Se il mio libro insegna qualcosa, comunque, è l’importanza della storia della tradizione: lo sforzo di capire che tutto il patrimonio culturale della grecità è arrivato a noi attraverso una serie importante di mediazioni, reinterpretazioni e ricreazioni delle quali dobbiamo essere consapevoli.
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