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mercoledì, 25 novembre 2020 14:08 |
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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Per FtNews
ho intervistato la giornalista e scrittrice Marida Lombardo Pijola, per trent'anni inviata speciale del Messaggero. Nel corso della sua carriera si è occupata di infanzia, adolescenza, famiglia, donne, in particolar modo della violenza sulle donne. Per la casa editrice La nave di Teseo lo scorso gennaio ha pubblicato il romanzo L'imperfezione delle madri, una saga familiare al femminile in cui ha cercato di indagare i meccanismi che conducono alla degenerazione della famiglia, che spesso diventa un luogo di tormenti, insicurezze, inquietudini. Le protagoniste di questo romanzo, Agata, Angela e Azzurra, rispettivamente nonna, figlia e nipote, appartengono a generazioni diverse, a contesti socio-culturali completamente diversi, hanno un livello di emancipazione differente, ma scoprono che le loro esperienze e i loro caratteri sono più simili di quanto si possa immaginare. Si scopriranno l'una lo specchio dell'altra e troveranno il coraggio di riscattarsi e riprendere in mano la loro vita. Il legame tra le generazioni non si spezza, è più saldo che mai grazie a quello che Marida chiama grumo di sofferenze, di inquietudini, di ansie, di dolori che ci accomuna a tutte le donne della nostra famiglia e a ogni donna, come se ci fossero dei dolori che si trasmettono di generazione in generazione ed entrano a far parte del corredo genetico delle donne, come se ogni donna, in un modo o nell'altro, finisca per pagare le sofferenze, le repressioni, le segregazioni subite dalle altre nei secoli.
Le parole di Marida mi hanno indotto a riflettere, a oltre dieci anni di distanza dalla sua scomparsa, sul rapporto con la mia mamma, a cui ancora oggi rimprovero tanti comportamenti. Il legame con la propria madre, si sa, non è stato, non è e non sarà mai tutto rose e fiori. Come Marida stessa ha affermato, tutte noi abbiamo desiderato non diventare mai come le nostre madri per non condurre mai la loro vita, per non sopportare quello che hanno tollerato loro, per non ripetere i loro stessi errori e non imitare i loro atteggiamenti, che a noi sembrano illogici e incomprensibili, proprio perché non ci riconosciamo nel loro modo di affrontare la vita. Arriva un tempo, però, in cui la distanza generazionale si annulla e affiorano con dolcezza, nei momenti più impensabili, ricordi vicini e lontani, questi ultimi addolciti dallo scorrere del tempo. Allora comprendiamo che quello che abbiamo sempre criticato in loro rappresenta il nostro lato oscuro, la zona d'ombra che non abbiamo riconosciuto e che fatichiamo a riconoscere e ad accettare. Non eravamo ancora nella pancia delle nostre madri quando accaddero chissà quali eventi che avrebbero segnato per sempre la vita delle nostre mamme, delle nostre nonne, delle nostre bisnonne, qualcosa che finirà inevitabilmente per segnare anche la nostra vita. Una sorta di ereditarietà dei traumi e del dolore che forse finirà quando impareremo ad accettare il nostro dolore e a fare pace con il nostro passato, che da prigione diventa occasione per rinascere e brillare, perché il dolore, la sofferenza, le fragilità sono un'occasione preziosa per evolvere, acquisire consapevolezza della nostra inesauribile forza e raggiungere la guarigione.
Madre di tre figli maschi, Marida ricorda che l'imperfezione è un grande talento che ci rende più vere e sensibili ed invita tutte noi a liberarci dallo stereotipo della madre perfetta, uno dei tanti stereotipi di genere che la società ci ha inculcato, provocandoci non pochi sensi di colpa, se veniamo meno a questa aspettativa e osiamo concederci qualche libertà. La perfezione e l'obbedienza non sono virtù, sono catene che ci rendono prigioniere di una vita fatta di privazioni, paure, insoddisfazioni. Da questi condizionamenti dobbiamo liberarci, perché non abbiamo bisogno di elemosinare uno sguardo di approvazione maschile per sentirci vive e utili; noi sappiamo bastare a noi stesse, possediamo il talento della cura per tutto ciò che ci circonda: questa è la nostra più grande forza, questo rende tutte le donne madri, anche se non sono madri biologiche.
Stimo profondamente Marida, una donna che ce l'ha fatta, una donna che si è affermata in ambito professionale e non solo, una donna che, nonostante le inevitabili difficoltà che la vita le ha messo davanti, si è sempre rialzata a testa alta, più forte e coraggiosa di prima. Donne come Marida sono un esempio per tante giovanissime ragazze. Guerriera armata d'amore, eleganza, equilibrio, compostezza, con la sua classe innata ha sempre dimostrato che non è necessario urlare volgarità o imitare gli uomini per affermarsi nel mondo del lavoro e nella società.
Prima di proporre la bella intervista che mi ha rilasciato, vorrei citare le parole del discorso che Kamala Harris, la prima donna della storia ad essere eletta vicepresidente degli Stati Uniti d'America, ha pronunciato dopo la vittoria: Anche se sono la prima a ricoprire questa carica, non sarò l’ultima. Ogni bambina, ogni ragazza che stasera ci guarda vede che questo è un paese pieno di possibilità. Il nostro paese vi manda un messaggio: sognate con grande ambizione, guidate con cognizione, guardatevi in un modo in cui gli altri potrebbero non vedervi. Noi saremo lì con voi. Ecco, la speranza è che anche in Italia una donna possa pronunciare parole simili e che sempre più donne possano ricoprire incarichi di primo piano nel mondo della politica e in quello del lavoro. Noi faremo di tutto per far sì che ciò possa accadere quanto prima; noi giovani donne combatteremo per i nostri diritti, porteremo a compimento la rivoluzione che le donne della generazione di Marida hanno iniziato, ci faremo promotrici di un cambiamento culturale profondo, affinché nascere donna in Italia non sia più un ostacolo e nessuna pieghi più la testa davanti a discriminazioni retrograde. E voi, cara Marida, sarete lì con noi!
Nel libro L'imperfezione delle madri racconta la vita di Agata, Angela e Azzurra, rispettivamente nonna, figlia e nipote, tre donne che trovano il coraggio di riscattarsi e riprendere in mano la loro vita? Come è nato questo romanzo?
Questo romanzo nasce in continuità con il lavoro cui mi sono dedicata per decenni, sia come giornalista che come autrice di libri, sul tema della famiglia: della deriva di formazione e di comportamenti che talvolta travolge i figli, della vita delle donne, delle sopraffazioni, discriminazioni, violenze, umiliazioni, che tuttora, e non di rado, subiscono. Credo che la famiglia continui spesso ad essere una trappola, un luogo di agguati e inquietudini, e che talvolta metta in circolazione soggetti feriti e disturbati, costretti a trascinarsi dietro vuoti, dolori, ansie, drammi interiori e solitudini che li accompagneranno per tutta la vita. Di queste famiglie hanno fatto parte, e spesso accade ancora, donne frustrate e infelici, e questo ha contribuito ad appesantire il clima domestico, a sfarinare i rapporti, a compromettere la formazione dei figli e l’armonia.
Per parlare di questo, anche di questo, ho voluto narrare una piccola saga familiare attraverso le voci di tre generazioni di donne: Agata, la nonna; Angela, la mamma; Azzurra, la nipote. Ho fatto una specie di percorso a ritroso, dagli anni Sessanta ai giorni nostri, per capire quando e come può mettere radici l’infelicità e soprattutto se e come la si può trasformare nel suo opposto, rovesciandola come un calzino.
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Cosa accomuna queste tre donne all'apparenza profondamente diverse?
Agata appartiene a una struttura familiare e sociale fortemente patriarcale e maschilista. Molte donne a quel tempo erano costrette a investire tutto il loro futuro in un matrimonio che spesso le imprigionava in una gabbia fatta di tradimenti subiti a lungo, di disamore, di negazione di sé, di solitudine. Angela, invece, è una delle donne che hanno conquistato libertà, orgoglio e coraggio dalla rivoluzione femminista, e tuttavia anche lei si trova intrappolata in un matrimonio inadeguato, opaco e sbilanciato che non le dà nulla di quello che aveva sognato. Azzurra è una ragazza coraggiosa, che galoppa verso il futuro come un puledro imbizzarrito, portata a cercare sfogo alla propria rabbia attraverso soluzioni chimiche, prepotente e ricca di speranze. Con la sua determinazione, riesce ad essere l'elemento dominante nel rapporto di coppia, quasi come in un riscatto delle storie precedenti.
Nonostante i diversi caratteri, le diverse scelte e i diversi contesti sociali, le tre donne sono accomunate da uno stesso grumo di disagio, di malinconia, di mancanza di autostima, che spesso segna ancora la vita delle donne. È come se ogni donna fosse l'ultimo anello di una catena secolare di soprusi e continuasse a pagare in qualche forma secoli di frustrazioni, di repressioni di talenti e ambizioni, di sofferenze, di segregazione. Ognuna di queste donne serba rancore nei confronti della propria madre, le rimprovera la sua e la propria infelicità. E tuttavia, senza saperlo, le tre sono molto simili; le loro storie, che sembrano molto distanti, sono invece profondamente intrecciate. Solo alla fine Agata, Angela e Azzurra scopriranno che le loro affinità prevalgono sulle diversità. Hanno in comune il coraggio, la capacità di prendersi cura degli altri, la capacità di sperare e sognare e attraversare le difficoltà senza rompersi, la capacità di spendere l'amore in maniera totalizzante e generosa, che da sempre caratterizza tutte noi donne. Agata, Angela e Azzurra alla fine arrivano a intrecciare una rete femminile fatta di solidarietà, sostegno reciproco, tenerezza, quella sorellanza che aiuta noi donne a sopravvivere alle difficoltà.
Dunque sembra quasi che il dolore e le emozioni positive e negative che ci portiamo dietro siano ereditarie. Secondo lei, è possibile che un lontano dolore di famiglia possa tramandarsi alle generazioni successive? Come possiamo convivere e fare pace con il nostro dolore?
Proprio così! C'è una continuità sorprendente nel dolore delle donne. Al di là della diversità di generazione, caratteri, contesti sociali, tante di noi si trascinano dietro un bagaglio di inquietudini, di insicurezze, di ansie, di solitudini, di delusioni, le stesse che spesso riconoscono nelle altre. È come esistessero dolori che, sotto forme mutanti, si trasmettono di generazione in generazione come la fisionomia o i caratteri, e che entrano a far parte del corredo genetico delle donne. Il fatto è che per imparare a convivere con il proprio dolore bisogna imparare a perdonare, tutto qui, e allora il dolore diventa quasi una cura per l’anima e per il corpo, rende più forti e più belle. Aiuta persino a esercitare l’ironia, ovvero imparare a sorridere e a far sorridere delle stesse sofferenze, anzi a riderne e a farne ridere, come fanno le mie tre protagoniste in un romanzo che non a caso ho voluto fosse anche un po’ comico.
Perché l’ "imperfezione" delle madri? A cosa fa riferimento questa imperfezione?
Siamo spesso prigioniere dello stereotipo della madre perfetta, malefica eredità che ci portiamo dentro e da cui mi auguro potremo liberarci presto. L'imperfezione è una liberazione, è un talento straordinario, perché rende le donne e le madri più sensibili, più vere, più attraenti, più creative, più slanciate lungo un percorso di crescita e di miglioramento della propria vita e di sé stesse. Anche nella maternità, abbiamo il diritto e il dovere di essere imperfette e di mettere in gioco tutte le nostre fragilità per trasformale in tenerezza, in forza, in responsabilità affettiva e formativa. Le tre protagoniste del romanzo scoprono di aver ereditato l'una dall'altra questa splendida imperfezione, e, come hanno fatto le altre, di poterla trasformare in energia, sensibilità, capacità di cambiamento. Queste tre donne sono tutte diversamente infelici, si sono tutte imbattute in una forma diversa di delusione, ma tutte e tre troveranno la forza, la fantasia e l'ostinazione necessarie per ricominciare, anche attraverso quella straordinaria rete di solidarietà femminile che è la salvezza delle donne e che può nascere anche all'interno di una famiglia, trasformandola da luogo degli agguati a luogo del riscatto. Ho voluto sognare un po', non lo nego, ma nel sogno è custodita l’energia della vita, no?
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Marida Lombardo Pijola con i suoi tre figli
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Il romanzo è dedicato a sua madre. Per la creazione delle tre protagoniste a chi si è ispirata?
Sì, ho dedicato il libro alla mia mamma, che è mancata poco prima che il romanzo uscisse e non ha fatto in tempo a leggerlo. In Agata c'è molto di lei e delle donne della sua generazione, prigioniere di tradimenti e di abbandoni, prese in ostaggio da situazioni familiari repressive e sbilanciate che le hanno trascinate per tutta una vita lungo un percorso di frustrazione e di dolore. In Angela c’è qualcosa di me e delle donne della mia generazione, sospese tra passato e futuro, tra un modello di vita e di famiglia ancora ottocentesco tatuato nella memoria della loro infanzia e la rivoluzione femminista che ha ribaltato completamente la loro prospettiva, aprendo la strada alla liberazione e alla parità di genere.
Con Azzurra sono andata di fantasia. Ho solo figli maschi. Ma ho voluto fare un regalo a me stessa; ho voluto inventare, proprio attraverso Azzurra, un epilogo che avevo sognato e che avrei voluto condividere con mia madre, se fosse stato possibile.
Questo libro è il mio elogio al mondo delle donne, è un omaggio a tutte le donne, che sono tutte madri perfette nelle loro imperfezioni, tutte, anche quelle che non hanno figli biologici: anche loro sono folletti strepitosi nell’arte del prendersi cura: dei genitori, del lavoro, della società, delle amiche, dei sogni. L'esigenza, il bisogno profondo di prendersi cura di tutto ciò che ci circonda è uno straordinario talento che potrebbe cambiare il futuro, se trasformato in potere, ma che purtroppo in Italia è ancora in gran parte sprecato.
Un talento che la società maschilista ha mortificato in passato e ancora oggi fa fatica a riconoscere...
Purtroppo sì. Lo sciupio di talento femminile da parte della politica e del mondo del lavoro condanna il mondo a una serie di patologie che hanno a che fare con l'odio, con la violenza, con l’attaccamento al potere e al prepotere, e che le donne potrebbero o avrebbero potuto almeno in parte correggere.
E invece... che società è una società che ancora costringe le donne a scegliere tra lavoro e maternità? Quante sono le donne il cui precariato si trascina fino a un’età non più fertile, e sono perciò costrette a subire un ricatto innaturale e mostruoso: o l’occupazione o i figli. Quante sono quelle che ancora oggi sono costrette a lasciare il lavoro dopo il primo figlio perché non c’è nessuno che le aiuti. E non è solo un problema privato o di genere.
Quale prezzo pagheremo tutti in un mondo senza bambini, davanti a una spaventosa denatalità che ci priva del futuro? Quanto è grande il danno per il mondo del lavoro, per la politica, per la società che si priva e ci priva del talento straordinario delle donne, del loro coraggio, della loro capacità di ideazione, di pazienza, di acume, di lavoro, soprattutto quando viene amplificata da un’esperienza dì maternità?
Marida, da piccola pensava a cosa avrebbe voluto fare da grande? Quando ha deciso di diventare giornalista e scrittrice?
Come tanti di noi sono stata una bambina abbastanza inquieta, sola, infelice. Ma è stata una fortuna. Ho riempito la mia solitudine leggendo forsennatamente e di tutto sin dalla più tenera età. La lettura non solo è stata una grande via di fuga dalla malinconia, non solo mi ha permesso di scappare, di imparare, di viaggiare, ma ha fatto nascere in me una vera e propria passione per la parola, per la narrazione. Questo mi ha portato a fare una scelta molto difficile, perché quello del giornalista, come mi fu rinfacciato più volte, non era considerato un mestiere per donne. Ricordo che quando arrivai alla Gazzetta del Mezzogiorno, il primo grande giornale in cui ho lavorato, eravamo in tre. Poi, con immenso orgoglio, quasi con commozione, nei decenni ho avuto la fortuna di assistere a una progressiva femminilizzazione di questo mestiere, quasi un sorpasso. Purtroppo non sono arrivata a vedere le donne sfondare il soffitto di cristallo: raramente, infatti, le donne arrivano ai vertici dei giornali, così come ai vertici di qualunque struttura o istituzione. Succederà. Ci vorrà ancora un po' di tempo. Non so se riuscirò a vederlo, ma questo non conta. So che accadrà. Quel giorno arriverà e il mondo diventerà migliore.
Di cosa siamo ancora prigioniere noi donne?
Socialmente siamo ancora prigioniere di rigurgiti di sessismo, di violenza, di culture ancora arcaiche, di attività predatorie come fossimo oggetti sessuali, di un ostinato e geloso attaccamento degli uomini al potere. Veniamo ancora ferite, svilite molestate ed emarginate perché ci mostriamo libere, forti, competenti e orgogliose; perché, avendo avuto maggiori possibilità rispetto al passato di mostrare i nostri talenti, agli uomini facciamo paura. Sul piano affettivo è diverso: siamo riuscite ad emanciparci e a liberarci da ogni dipendenza, tranne una: il bisogno di amore. Aggiungerei la paura della solitudine. È questo che ci rende fragili e ci assoggetta ancora ai ricatti maschili. È questo che accomuna le tre protagoniste del mio romanzo, le quali, nonostante le abissali diversità sociali, generazionali e caratteriali, comprenderanno di condividere una stessa dipendenza in grado di renderle terribilmente vulnerabili, esposte alla possibilità di dolore.
Quando tutto questo finirà? Dovrebbe essere già finito da un pezzo, è inverosimile che non lo sia. C’è ancora tanto da fare, ma siamo sulla strada giusta, e sono convinta che sarete voi ragazze ad abbattere le barriere residue, a realizzare davvero la parità di genere, a portare a compimento la grande rivoluzione, ancora incompiuta, che noi avevamo iniziato diversi anni fa.
Quale messaggio si augura possa arrivare a coloro che leggeranno il suo romanzo?
Mi auguro che colgano o rilancino il valore del prendersi cura, dell’impiegare ogni energia per cercare di far girare meglio il mondo, per cercare di aiutare a essere felici le persone che hanno attorno. Tutto il bene dato tornerà indietro quasi sempre come concime per il futuro. Questa è un'arte straordinaria custodita da sempre nel patrimonio delle donne. E tuttavia chissà, prima o poi, magari proprio in un modo governato delle donne o assieme alle donne, magari la impareranno anche gli uomini.
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