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lunedì, 13 luglio 2020 07:30 |
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Corrado Ruggeri a Sukhothai
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Francesca Bianchi
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Viaggiare non è collezionare luoghi, ma esplorare nuove culture, affrontare altri orizzonti, incontrare persone che hanno volti, occhi, colore della pelle diversi dai nostri, mangiano cibi differenti. Tutto questo ci arricchisce, ci regala la gioia della diversità e ci insegna la tolleranza e la solidarietà, qualità esercitate in modo molto equivoco nel nostro mondo, spesso recitate e non autenticamente sentite, legate a doppio filo con interessi economici.
Questo è il senso profondo del viaggiare secondo il giornalista e scrittore Corrado Ruggeri, che sin da bambino, grazie anche alla complicità di suo padre, ha coltivato il desiderio di conoscere realtà e culture diverse. Il destino ha poi voluto che il lavoro lo portasse in giro per il mondo, consentendogli di visitare più di settanta paesi. Per oltre trent'anni al Corriere della Sera, di cui ha diretto la Cronaca di Roma, nel corso della sua carriera si è cimentato nella letteratura di viaggio, scrivendo racconti di viaggio, romanzi, guide turistiche, e ha realizzato reportage e trasmissioni per il canale di viaggi e avventura MarcoPolo.
FtNews
l'ha intervistato. Ai nostri lettori lo scrittore racconta con grande trasporto del legame speciale con il continente asiatico, cui ha dedicato il libro La mia Asia. Trent'anni di viaggi in Oriente (LT Editore, 2013). Svela curiosità, emozioni, ricordi dei suoi numerosi viaggi in Asia, nel corso dei quali ha avuto modo di fare incontri insoliti, come quelli con i tagliatori di teste in Borneo o quello con un ex cannibale in Papua Nuova Guinea. Ruggeri affronta anche il discorso relativo all'altro volto dell'Oriente, quello più drammatico e infernale che il turismo ignora, ben descritto nel libro Bambini d'Oriente (Feltrinelli, 1998); fornisce una presentazione di Farfalle sul Mekong. Tra Thailandia e Vietnam (Feltrinelli, 2015), divenuto un classico della letteratura di viaggio, e dell'originale guida turistica Storie di Bangkok, pubblicata lo scorso anno dall'Editore Typimedia. Della Città degli Angeli narra aneddoti, curiosità, tradizioni, segreti e luoghi che bisogna assolutamente visitare. Si sofferma a parlare della profonda spiritualità degli orientali e della ricca varietà di tradizioni, culture e correnti religiose che convivono nei territori asiatici, affrontando anche l'argomento relativo al cambiamento che l'Oriente ha vissuto nel corso degli ultimi anni.
Corrado Ruggeri ci presenta brevemente anche il suo ultimo libro, il romanzo Domani. Un inno alla vita, dolce e forte come la speranza, tra la Cambogia, Beirut e Sarajevo, pubblicato qualche mese fa per l'editore Ponte Sisto.
Al termine della nostra coinvolgente conversazione, questo appassionato viaggiatore che ha visitato tutti i continenti ci ricorda che viaggiatore non è chi non si concede agi o comodità e pensa di mortificare il corpo per elevare la mente, viaggiatore è chi cerca l’altrove con semplicità e rispetto di ogni diversità, senza però trasformarsi in quel che non è e non vuole diventare.
Dott. Ruggeri, lei ha lavorato per oltre trent'anni per il Corriere della Sera, il più importante quotidiano d’Italia, di cui ha diretto la Cronaca di Roma. Grazie al suo lavoro ha avuto la fortuna di girare il mondo, visitando più di settanta paesi. Si è cimentato nella letteratura di viaggio, scrivendo racconti di viaggio, romanzi, guide turistiche; ha realizzato reportage e trasmissioni per il canale di viaggi e avventura MarcoPolo. La sua passione per i viaggi, però, è ben più antica. Quando è nata? Cosa significa per lei viaggiare?
Devo a mio padre la curiosità verso l’altrove: sono nato nel 1957 e allora ci si muoveva soprattutto in macchina. Mi caricavano sul sedile posteriore e via, alla scoperta dell’Europa. Papà mi regalò “Il giro del mondo in 80 giorni” di Giulio Verne, che divenne il mio libro preferito, letto e riletto. Diventato genitore, l’ho consegnato a mia figlia Eleonora, anche lei cresciuta come viaggiatrice appassionata. Viaggiare non è collezionare luoghi, ma esplorare nuove culture, affrontare altri orizzonti, incontrare persone che hanno volti, occhi, colore della pelle diversi dai nostri, mangiano cibi differenti. Tutto questo ci arricchisce, ci regala la gioia della diversità e ci insegna la tolleranza e la solidarietà, qualità esercitate in modo molto equivoco nel nostro mondo, spesso recitate e non autenticamente sentite, legate a doppio filo con interessi economici.
Nella sua vita ha visitato tutti i continenti, ma con l'Asia ha un legame speciale. Nell'introduzione al libro La mia Asia. Trent'anni di viaggi in Oriente scrive: "La mia prima volta in Asia fu all’inizio degli anni Ottanta. Sbarcai a Bangkok, che fu il mio battesimo d’Oriente. Da allora ho percorso strade e sentieri di questo continente, fra le vette del Bhutan, i templi di Bali, i campi di sterminio della Cambogia, ho incontrato ex cannibali in Irian Jaya, tagliatori di teste in Borneo". Ci svela dettagli, curiosità e incontri delle sue tante esperienze di viaggio in terra asiatica? Come è nato il suo amore per questo continente?
Trentacinque anni, ormai, di viaggi in Asia sono una collezione infinita di ricordi. Dall’ex cannibale di Papua che adora il sapore della carne umana, dei lombi soprattutto, allo sciamano dei Dayak, i tagliatori di teste, che usava una pietra blu per le sue miracolose guarigioni, alle tribù di Irian Jaya, che custodiscono nelle capanne le mummie degli antenati. Ma anche personaggi meno avventurosi, come la stilista vietnamita Minh Hanh, il missionario cambogiano, i dissidenti cinesi, gli shadu indiani, la gente comune con cui ti capita di mangiare seduti allo stesso tavolino traballante in uno street food. L’Asia è straordinaria, un continente che conosce dolcezza e crudeltà, ha ricchissime tradizioni culturali e religiose, il fascino dei grandi fiumi, spiagge, cibo squisito che non fa nemmeno ingrassare.
Cosa ricorda, invece, di Vietnam, Laos, India, Maldive, Corea del Sud, Birmania? Quali emozioni, quali ricordi le hanno lasciato questi paesi orientali?
Un’immagine per ciascuno. Il Vietnam sono i fili di fumo che salgono dagli altari degli antenati, ce n’è uno in ogni casa, scale invisibili che legano la terra al cielo. Il Laos, come diceva Terzani, “non è un luogo, ma uno stato d’animo”. L’India è la preghiera della mattina nel Gange, a Varanasi, le tre abluzioni nel fiume più inquinato del mondo. Le Maldive sono soffici cuscini verdi in mezzo al blu dell’Oceano, approdo felice per gli adoratori del sole. La Corea del Sud è lo snack più disgustoso del mondo, i bachi fritti. La Birmania sono i pescatori del lago Inle, gli unici a remare con i piedi per avere le mani libere e poter lanciare le reti. E potremmo continuare per giorni…
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Corrado Ruggeri in Bhutan
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Nel 1998 ha pubblicato Bambini d'Oriente, un libro in cui Birmania, Cambogia e Laos sono descritti con i volti e le storie di donne e uomini feriti dal passato e di bambini che non hanno mai conosciuto l’infanzia. Il libro svela l'altra faccia dell'Oriente, quella più drammatica e triste che il turismo ignora...
Lo abbiamo detto, l’Oriente non è soltanto poesia. Ci sono governi atroci, come quello della Birmania, ci sono crudeltà della vita, sofferenze. Alcuni paesi, pensiamo soprattutto al sudest asiatico, non hanno situazioni di grave indigenza, ma ce ne sono altri, l’India, ad esempio, che combattono ancora contro una tragica povertà. Calcutta è una città impossibile, l’inferno che insegna la pietà.
Farfalle sul Mekong. Tra Thailandia e Vietnam è un classico della letteratura di viaggio, giunto alla decima edizione nella Universale Economica Feltrinelli. Si tratta di un viaggio tra la Thailandia e il Vietnam in cui il lusso turistico di Bangkok contrasta con la povertà del Vietnam di oggi. Chi sono le "farfalle sul Mekong"?
Le protagoniste di una leggenda vietnamita, ambientata a Cui Chi, la base sotterranea dei vietcong da dove partivano gli attacchi a Saigon, lanciati anche dalle ragazze della guerriglia vestite con l’abito tradizionale, l’ao dai, una specie di pigiama palazzo nero. Quelle che non tornavano si trasformavano nelle farfalle multicolori del Mekong. Cu Chi è la zona più bombardata e colpita dal napalm nella storia della guerra, perché gli americani non riuscivano a capire dove i vietcong si nascondessero. Ma oggi quel pezzo di terra desertificato è ancora popolato di bellissime farfalle. E non si capisce come sia possibile. Quelle sono, appunto, le farfalle del Mekong
In Oriente convivono culture, usanze, tradizioni, religioni. Oggi la spiritualità orientale è conosciuta e apprezzata da molti occidentali. Gli orientali come vivono la spiritualità? Quali tradizioni, quali culture sono più tenacemente radicate?
Sono molto bravi e orgogliosi nel mantenere viva la propria cultura, sotto ogni punto di vista. Smarrire la propria individualità è un errore colossale, per le persone e le nazioni: il globalismo è la morte della storia e di ogni individualità. In Oriente hanno tutti una fortissima spiritualità, che manifestano senza alcun imbarazzo, anche perché l’uso dei loro templi è molto diverso dal modo in cui noi frequentiamo le chiese. Ecco perché i paragoni e i confronti sono sempre sbagliati. Loro vanno a pregare quando vogliono e quando sentono di averne bisogno, non ad orari fissi, offrono un fiore, accendono un bastone di incenso, lasciano del cibo, attaccano una foglia d’oro alla statua. A qualunque ora. C’è una ricca varietà di correnti religiose: Buddhismo, Induismo, Confucianesimo, Jainismo, Sikhismo, Taoismo, Shintoismo, ma anche ateismo, soprattutto nelle zone dove il comunismo è ancora radicato e la libertà religiosa resta una speranza.
Afferma che Bangkok ha segnato il suo "battesimo d'Oriente". Alla metropoli thailandese ha dedicato l'originale guida turistica Storie di Bangkok, pubblicata lo scorso anno dall'Editore Typimedia. Com'è cambiata oggi Bangkok rispetto a quando la vide per la prima volta? Ci sveli pure aneddoti, curiosità, tradizioni, segreti, luoghi imperdibili della città degli Angeli...
Il tempo corre anche in Oriente. Dalle strade di Bangkok sono spariti gli elefanti che portavano tronchi d’albero per i cantieri, il traffico è cresciuto, ma nel frattempo è apparsa la monorotaia. Resistono i tuktuk, i tradizionali mezzi di trasporto, le nostre carrozzette Ape con motori scoppiettanti. Inalterato è il fascino di questa capitale d’Asia. Bangkok è unica. È la calamita per ogni sogno smarrito, è il posto giusto per festeggiare un successo, il rifugio di vinti e sconfitti, il luogo dove cominciare a guardare più in alto. È una città che non condanna mai, che sa accogliere e anche stordire, una metropoli medicinale, capace di guarire malinconie, regalare speranza, cancellare nostalgie. La adoro.
Quali consigli si sente di dare a chi volesse visitare la metropoli asiatica? Quali luoghi bisogna assolutamente visitare durante la permanenza a Bangkok?
Prendere un albergo sul fiume, perché il Chao Phraya è l’anima della città, e consente anche un relax che nel frastuono del centro città non si trova. E se posso dare un consiglio, suggerisco la mia “casa thailandese”, un albergo che mi fa sentire coccolato, protetto, ospite gradito, come se davvero fossi a casa. Lo Shangri La custodisce i miei ricordi, ormai di una vita, della mia prima volta in Asia, di quando qui sono rimasto giorni e giorni o sono passato velocemente andando o tornando da Vietnam, Cambogia, Laos, Birmania, Papua, Bali, Australia. Anche il viaggio di nozze ha fatto tappa qui, rientrando dalle Fiji: e ci diedero una suite dell’ala nuova, elegante e tecnologica. Ma, fedele alla tradizione come sono, preferisco la vecchia, anche perché costa meno e incarna al meglio le qualità di questo albergo. E poi lo Shangri La ha un grande merito: non essere snob. Personalmente non mi abituo a Bangkok, non è mai la solita visita, gli entusiasmi sono sempre nuovi, forti, continui. I templi, un giro sul fiume, i mercati, lo street food, la casa museo di Jim Thompson, gli sky bar, e il mio preferito, nella State Tower, alla fine di Silom road, una trampolino affacciato sul nulla. Ma oggi merita una visita anche la Mahanakhon Tower, dietro Silom road, con la skywalk, una passeggiata su una lastra di cristallo con sotto 350 metri di vuoto. Ma la grande gioia, un’immagine con cui concludo “Farfalle sul Mekong”, è ancora dedicata al fiume e allo Shangri La: "il caldo umido è bello quando non si ha niente da fare, quando si sta sdraiati con il corpo abbandonato e la testa persa nel nulla, perché non c’è niente da rimpiangere o altro da desiderare sulla riva del fiume di Bangkok".
Nel corso dei suoi numerosi viaggi avrà fatto tantissimi incontri. Ce n'è qualcuno che l'ha segnata e che ricorda con particolare affetto?
Fra tutti, quello con Francis, l’ex cannibale, ha forse lasciato il ricordo più profondo. Francis ora è un buon cristiano, da quando ha deciso di convertirsi alla parola del Dio dei bianchi e riscattarsi dal suo peccato originale. Perché è stato un buon cannibale: nel senso che seguiva correttamente la tradizione familiare e bolliva nel pentolone i corpi dei nemici prima di convocare tutta la tribù per il più atteso dei "dinner party". Usava così in Papua Nuova Guinea. Adesso le tradizioni gastronomiche si sono evolute, ma Francis, padre di una numerosa prole, c’è chi dice una cinquantina di figli, alcuni dei quali lo hanno già reso nonno, risponde volentieri alle domande dei nipotini: «Che sapore ha la carne umana?». Dice che ricorda il gusto del maiale, anche se è un po' più insipida. Poi sorride, toccandosi i lombi: «Delicious». E aggiunge, da vero gastronomo di carne umana: «I bianchi - dice - i bianchi sono più teneri e meno saporiti dei cugini con la pelle scura. I gialli, invece, non li ho mai mangiati». Ho pericolosamente cenato con lui, nel suo villaggio che si affaccia sul Karawari. Francis mi apparve, con il corredo da gran capo, l’alta uniforme dal leader indiscusso, che qui è soltanto una catena di chine, le gigantesche conchiglie del Pacifico che venivano usate come monete e ora sono uno dei simboli del paese, oltre che il nome della moneta ufficiale. Sembrava un uomo a sonagli, perché appena faceva un passo o muoveva un braccio, le chine sbattevano una contro l’altra, con un suono lugubre e sinistro. Magrissimo, basso, la faccia rapace, Francis è l’esatto contrario di come normalmente ci si immagina un cannibale, con la bocca larga e denti aguzzi. Si pensa a un orco, mentre lui sembrava più un avvoltoio, con la faccia rugosa e la pelle spessa come carta vetrata, il naso sottile e adunco, ornato con un robusto ossicino, del diametro di un dito, infilato tra le narici. E per esibire coraggio e potere, aveva reso tutto più complicato, con un’ardita composizione ortopedica, incastrando un altro ossetto con il primo. Per l’occasione aveva indossato anche il copricapo della tribù, un gioiello fatto di paglia intrecciata e legno intagliato e reso prezioso da piume di cacatua e dell’uccello del Paradiso, collane di noci di betel e di ossa di vari animali. Sembrava un film, assolutamente incredibile per essere vero. E invece Papua è ancora così. Mangiammo come vuole la tradizione, da quando i banchetti di queste tribù hanno rinunciato alle proteine umane. Il menù delle feste prevede spiedini di coccodrillo e larve di sago: il coccodrillo ha un gusto tiepido, simile al pollo, le larve di sago sono pietanza riservata a robusti apparati digestivi. Ci vogliono anche mesi per lasciare maturare queste larve che gli insetti depositano nei tronchi abbattuti di alcune palme: poi si può scegliere se mangiarle crude o cuocerle. “Noi le cuociamo” - mi disse Francis - “sono più buone”. Figuriamoci cosa sono crude: la poltiglia di larve fatte bollire non ha né aspetto né sapore invitanti, ma è il loro caviale, il cibo delle grandi occasioni che non si può rifiutare. Nella sua vita Francis è stato anche uomo di pace. Non ha soltanto scannato e cucinato i nemici, ha anche ascoltato la parola di Dio. Del nostro Dio. I missionari gli hanno parlato di Cristo, ma non l'hanno convinto del tutto."Ci hanno detto che dobbiamo essere cristiani, perché così ci hanno insegnato i missionari - dice Francis - ma prima del loro arrivo, noi conoscevamo solo gli spiriti del bene e del male, e ci era sufficiente. Poi ci hanno parlato di un Grande Uomo che sta in cielo e ci hanno insegnato a pregarlo. Io credo quello che credeva la mia gente, però voglio essere tranquillo, e prego anche l'altro Dio. Non si sa mai".
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Com'è cambiato l'Oriente nel corso di questi ultimi anni?
L’Oriente di Kipling, Conrad, Maugham non esiste più. Ma è difficile dire come sia cambiato un continente. Ogni singolo paese si modifica a modo suo, cresce a velocità propria, ma uno dei pregi dell’Oriente è la capacità di tenere ben salde le proprie tradizioni, nel bene e nel male. Il Giappone non rinuncia agli inchini, così come la Thailandia non abbandona il wai, il saluto a mani giunte, e la religione del sorriso. Il Vietnam che ama le scommesse ha scoperto la Borsa, e c’è chi si è rovinato, la Cambogia dimentica Pol Pot, ma non il trasformismo politico, e al potere c’è sempre Hun Sen, dal 1984: fu il numero 4 dei Khmer rossi, poi alleato del Vietnam, copremier con il figlio di re Sihanouk e poi al timone da solo. In tutta l’Asia la lotta contro la pedofilia e il turismo sessuale ai danni dei minori è diventata più serrata: come debbano essere distribuiti i meriti è un fattore secondario, l’importante è che stia diminuendo e che i mascalzoni che comprano bambine e bambini finiscano in galera e ci restino a lungo.
Qual è la lezione più importante che le ha insegnato l'Oriente?
La gioia delle piccole cose. Un principio semplice da applicare, che rende migliore la vita. Il Dalai Lama ha ripetuto più volte una frase straordinaria alla quale cerco sempre di legare i miei pensieri e le mie scelte: "Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto".
Al di fuori dell'Asia c'è un paese a cui è particolarmente legato?
Israele, per la meraviglia dei luoghi e delle persone, per lo stupore che ogni volta mi accompagna visitando i posti dove Cristo ha vissuto e predicato. E poi il Congo, l’ex Zaire: sono tornato più volte a incontrare i gorilla di montagna, bestioni enormi che ti guardano come fossero nostri cugini. E forse lo sono davvero. Esperienze indimenticabili.
Qualche mese fa ha dato alle stampe il romanzo Domani. Un inno alla vita, dolce e forte come la speranza, tra la Cambogia, Beirut e Sarajevo, le cui protagoniste sono Beirut, Sarajevo, Phnom Penh, tre città che la Storia ha voluto "martiri", condannandole ad anni, decenni di sofferenze. Il sottotitolo, però, fa intravedere la speranza di una rinascita, la fiducia in un futuro migliore. Ci fornisca pure una descrizione di questo romanzo...
La notte non è mai infinita, per nessuno. E la speranza, la voglia di raggiungere un obiettivo, di migliorare un’esistenza falcidiata da sofferenze e guerre può diventare la ragione di vita. “Domani” è un libro che già nel titolo offre questa prospettiva e ha per teatro luoghi che mi sono cari, l’Oriente, dalla Cambogia alla Thailandia e al Vietnam, ma anche Beirut e Sarajevo. È un romanzo d’azione, con personaggi che restano nel cuore, storie dolorose di “bambini senza”, quelli che crescono senza famiglia né affetti, senza cibo, casa, ma che sulla strada incontrano chi può prendersi cura di loro e lotta contro le ingiustizie. Un libro che parla di riscatto e di giustizia e condanna senza appello un modo di fare giornalismo che, come scrive uno dei protagonisti, è fatto da “chi racconta senza vedere, vede e non racconta, inventa o tace".
Quale messaggio vorrebbe arrivasse ai lettori dei suoi libri?
Il mio mondo non è popolato di conformismo. Sono sempre stato fuori da ogni coro, e questo mi è anche costato qualche difficoltà in più, in termini professionali, ma sono rimasto un uomo libero. Così, anche nel modo di viaggiare, non mi uniformo alle mode: ad esempio, la vocazione al martirio del sacco a pelo o della brandina nella stanza condivisa e senza acqua calda appartiene a culture diverse dalla mia. Viaggiatore non è chi non si concede agi o comodità e pensa di mortificare il corpo per elevare la mente, viaggiatore è chi cerca l’altrove con semplicità e rispetto di ogni diversità, senza però trasformarsi in quel che non è e non vuole diventare.
Per l'immediato futuro ha in programma qualche viaggio?
Non sono mai stato in Colombia, e mi piacerebbe andare. Provvederemo presto.
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