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sabato, 07 marzo 2020 07:34 |
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"Is Arestes e S'Urtzu Pretistu" - vittima sacrificale - Sorgono (NU), "I Disertori della Vanga" photo team
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Francesca Bianchi
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In ogni luogo e in ogni tempo le maschere furono considerate portatrici di prosperità e benessere. Quando bussavano alle porte delle case erano accolte con gioia e ogni famiglia dava loro quel che poteva. Non vi era alcun diniego, perché si credeva che le maschere portassero una buona annata con l'arrivo della pioggia e la rigenerazione della terra. (Dolores Turchi, I carnevali e le maschere tradizionali della Sardegna)
Domenica 1 marzo ha chiuso i battenti la bella mostra fotograficaUna Maschera, un Volto, un Paese, curata dai fotografi Carlo Andreani, Fabrizio Baldazzi, Fabrizio Cimini e Paolo Lolletti e allestita al Museo Civico "Mario Antonacci" di Albano Laziale (RM). Per quattro anni i fotografi si sono dedicati a un'affascinante ricerca sulle tradizioni ancestrali del Carnevale in Sardegna, su Carrasegare, con particolare attenzione a quelle di Fonni, Lula, Mamoiada, Orotelli, Ottana, Sorgono, Ula Tirso. Le tante foto di cui si compone il ricco percorso espositivo documentano riti e cerimonie tradizionali, simbolo e orgoglio dell'appartenenza ad un popolo; si tratta di un patrimonio identitario antichissimo che si tramanda da sempre di padre in figlio.
Domenica ho avuto modo di fare una bella chiacchierata con i curatori di questa esposizione, che il prossimo 8 aprile verrà inaugurata nella Spazio espositivo "Search" del Comune di Cagliari e il prossimo anno probabilmente varcherà i confini nazionali per approdare in Spagna. I quattro fotografi hanno ripercorso per i nostri lettori le fasi del loro lavoro, raccontando curiosità e dettagli di questo ricco percorso etno-antropologico alla ricerca delle origini di riti, cerimonie e tradizioni che si perdono nella notte dei tempi. Hanno raccontato curiosità, rappresentazioni e simbologia delle maschere tradizionali del carnevale dei sette paesi oggetto della loro ricerca: S’Urthu e Sos Buttùdos a Fonni; Su Battileddu a Lula; Mamuthones e Issohadores a Mamoiada; Sos Thurpos a Orotelli; Boes e Merdules a Ottana; Is Arestes e S’Urtzu Pretistu a Sorgono; S’Urtzu a Ula Tirso. Si scopre che queste cerimonie propiziatorie dell'abbondanza affondano le loro radici in una civiltà contadina e agropastorale tipica di molti contesti barbaricini, su cui si è innestata l'influenza degli antichi culti dionisiaci. Per tale motivo ho voluto che ad introdurre questo mio articolo dedicato alla mostra fossero le parole della saggista Dolores Turchi, studiosa di cultura e tradizioni popolari, che tante pubblicazioni ha dedicato al carnevale e alle maschere tradizionali della Sardegna, l'Isola più magica e misteriosa del Mediterraneo che ancora oggi, attraverso i suoi spettacolari riti millenari, riesce a parlare al nostro inconscio più profondo.
Andreani, come è nato, in cosa consiste e quali obiettivi si propone il progetto confluito nella mostra fotografica Una Maschera, un Volto, un Paese?
La mostra fotografica “Una Maschera, un Volto, un Paese” fa parte di un progetto ideato da me insieme agli amici fotografi Fabrizio Baldazzi, Fabrizio Cimini e Paolo Lolletti. Tutti facciamo parte del photo team “I Disertori della Vanga”, che opera attraverso la documentazione fotografica sul territorio italiano ed estero. Oggetto della nostra ricerca sono le varie realtà sociali, culturali e tradizionali tipiche di ogni comunità.
Le fotografie che abbiamo inserito in questa mostra fanno parte di una raccolta di decine di migliaia di scatti che abbiamo realizzato in Sardegna. Tutte le immagini hanno un forte impatto emotivo. L’oggetto della mostra, la maschera, è un forte simbolo di identità e di appartenenza ad un popolo. L’esposizione assume, pertanto, un carattere formativo oggetto di studio artistico e antropologico.
Il nostro obiettivo è sempre stato quello di trasmettere emozioni. Documentare un evento, del resto, implica il coinvolgimento totale dei fotografi con le realtà locali, al punto da condividerne le emozioni e assorbirne gli stimoli. Abbiamo estrapolato dalle manifestazioni cui abbiamo assistito la vera essenza di cui si nutrono i partecipanti; abbiamo ricercato l’aspetto sociale, tentando il più possibile di entrare a far parte dei clan che alimentano i cerimoniali, respirando la loro stessa passione.
Baldazzi, perché avete scelto di documentare il fascino ancestrale dei riti del Carnevale sardo? Dove vanno rintracciate le origini di certi riti? Come vi ha accolto la popolazione locale?
La Sardegna è la culla di rituali apotropaici propiziatori di origine pagana, arcaici cerimoniali che resistono tenacemente anche in altre remote zone della nostra Penisola. L'area geografica interessata da questi riti è la Barbagia, nel Nuorese, dove la gente mantiene viva la memoria e le tradizioni di riti e credenze precristiane che si esprimono al meglio nel periodo del Carnevale. In Barbagia ogni paese assume una sua fisionomia nei cerimoniali, mostrando maschere e danze diverse. Si mettono oggi in scena maschere antropomorfe e animalesche, con vestiti che spesso prendono in dote la pelliccia dei caproni. Si ricorre anche a campanacci messi sulle spalle che producono un cupo rumore. Si usa, inoltre, la cenere per scurire il volto o unguenti misti tra olio, cenere, sughero finemente sbriciolato e altri elementi che vanno a coprire buona parte del corpo. In alcuni casi i riti sono anche sacrificali e si inscena per questo la fuoriuscita di sangue animale.
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"Boes e Merdules" - Il Bue viene ricondotto alla calma e all'ordine, allontanando così il maligno - Ottana (NU), "I Disertori della Vanga" photo team
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Il Carnevale sardo, "su Carrasegare", è uno degli ultimi avamposti contro lo svilimento delle leggende. Poter osservare oggi le loro maschere e vivere da protagonisti le loro cerimonie è un privilegio.
In Barbagia ci siamo sentiti a casa, la gente è gentilissima, disponibile a fornire delucidazioni e informazioni a chiunque mostri interesse, mettendosi a completa disposizione del turista sinceramente interessato a conoscere le tradizioni locali e ad indagarne il significato profondo. Di solito gli incontri con la gente del posto si sono conclusi sempre con un bel bicchiere di rosso Cannonau, generosamente offertoci per brindare insieme a loro.
Cimini, quanto è durata la vostra ricerca? A quali paesi avete deciso di dedicare la vostra attenzione?
La nostra mostra fotografica sulle tradizioni della Sardegna è frutto di un lavoro durato quattro anni. Abbiamo condotto molte ricerche e scelto, tra le varie manifestazioni, quelle che per noi erano tra le più interessanti sotto il profilo comunicativo, estetico e culturale. Abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione su sette paesi, documentando i loro costumi e le loro tradizioni; di sei paesi documentiamo i riti del carnevale, di uno i riti che si esprimono attraverso i fuochi di Sant’Antonio, a gennaio. Questi i paesi presi in considerazione: Fonni, con lo spericolato ritmo di “S’Urthu e Sos Buttùdos”; Lula, con il rito primordiale di “Su Battileddu”; Mamoiada, con la danza inebriante di “Mamuthones" e "Issohadores”; Orotelli, con il cerimoniale propiziatorio di “Sos Thurpos”; Ottana, con il caos frenetico di “Boes" e "Merdules”; Sorgono, con la possente rappresentazione di “Is Arestes e S’Urtzu Pretistu”; Ula Tirso, con la raffigurazione misteriosa e tribale di “S’Urtzu”.
Lolletti, ci sveli pure qualche dettaglio di queste arcaiche manifestazioni e delle maschere tradizionali dei sette paesi protagonisti della mostra fotografica...
La lotta dell'uomo contro la natura fa da sfondo al carnevale di Fonni. "S'Urthu", la figura centrale riconducibile all’orco, il dio delle tenebre e dei morti, e "sos Buttùdos" sono le maschere caratteristiche. La prima, vestita con pelli di montone o caprone, porta un grosso campanaccio al collo e ha la faccia annerita dal sughero bruciato. Viene tenuto al guinzaglio con una rumorosa catena di ferro da "sos Buttùdos", che indossano un possente cappotto e dei campanacci sulle spalle. "S'Urthu" tenta di liberarsi, è irrequieto, ribelle, si arrampica sugli alberi e si avventa sulle donne; "sos Buttùdos" resistono e con difficoltà cercano di domarlo. "S'Urthu" è una tra le maschere più spettacolari del carnevale in Sardegna. A Lula, invece, la maschera protagonista del Carnevale è "su Battileddu", la vittima. È vestito di pelli di pecora o montone, ha il volto sporco di fuliggine e sangue e la testa coperta da un fazzoletto femminile nero. Ha un copricapo con corna caprine, bovine o di cervo, tra le quali è sistemato uno stomaco di capra. Sul petto porta i campanacci, sulla pancia, seminascosto dai campanacci, porta uno stomaco di bue pieno di sangue e acqua, che ogni tanto viene bucato per bagnare la terra per fertilizzare i campi. "Su Battileddu" è seguito nel suo cammino dai "Battileddos Gattias", uomini travestiti da vedove che indossano gambali maschili. Queste maschere cullano una bambola di pezza che porgono alle donne tra la folla, chiedendo loro di allattarla, mentre intonano canti funebri in onore della vittima del carnevale.
Spostandoci a Mamoiada, troviamo “Mamuthones" e "Issohadores”. Il "Mamuthone" è probabilmente la più nota tra le maschere del carnevale dell'intera Sardegna. Vestito di pelli, porta dei pesanti e rumorosi campanacci sulle spalle. Il viso è celato dietro un'affascinante e allo stesso tempo inquietante maschera di legno di pero. I "Mamuthones" sfilano in gruppi di dodici, come i mesi dell'anno, disposti in due file. Il loro passo solenne e ritmato è a meta tra una danza e una processione. Intorno a loro si muovono i coloratissimi "Issohadores", che indossano una maschera bianca. Il passo cadenzato dei "Mamuthones" è una danza che ha valore apotropaico, risveglia la natura e allontana il male. Gli "Issohadores", veloci e agili, danno il tempo ai "Mamuthones", mentre lanciano un laccio di vimini tra il pubblico che assiste, facendo prigionieri donne o amici. In passato venivano fatti prigionieri i nobili o i ricchi per augurare loro una buona annata; questi, per sdebitarsi dell'onore ricevuto, offrivano vino e dolci a tutto il gruppo. Oggi vengono catturate autorità locali.
Il carnevale di Orotelli è uno degli eventi più sentiti del Carnevale in Sardegna. I "Thurpos" (gli storpi) hanno le facce dipinte di nero e vestono lunghi pastrani in orbace, impersonando dei pastori che inscenano diverse situazioni legate alla tradizione contadina. Fanno risuonare dei campanacci per allontanare gli spiriti maligni. Con loro ci sono i "Thurpos Boes", che sfilano appaiati come fossero buoi sotto il giogo, guidati da un "Thurpu". Alcuni di loro sono seminatori, per questo spargono crusca durante il loro cammino, mentre il "Thurpu Vrailarzu" (il fabbro) finge di ferrare i "Thurpos Boes". A volte i "Thurpos" catturano qualche spettatore e lo costringono a offrir loro da bere.
A Ottana le figure principali del carnevale sono "sos Boes" (i buoi), che indossano maschere di legno con lunghe corna, e "sos Merdules" (i contadini), che tentano di tenere a bada i "Boes". Questi, però, si ribellano al contadino, tentano di fuggire e creano scompiglio. "Sos Merdules" con corde e bastoni cercano di farli calmare e ricondurli all'ordine. Bisogna ricordare che durante il periodo neolitico il toro era simbolo di forza e vitalità per molte culture mediterranee, tra cui quella sarda. Un'altra maschera importante del carnevale di Ottana è "Sa Filonzana", che rappresenta una vecchia di cui tutti hanno paura. Piegata dall'età, sempre vestita di nero e con il volto nascosto da una maschera lignea oppure dipinto con la fuliggine, che contrasta col bianco di una dentiera ricavata da una patata, ha fra le mani il fuso, la canocchia e la lana; fila e predice un futuro più o meno prospero o infausto, a seconda della qualità del vino che le viene offerto.
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) "Mamuthonrs e Issohadores" - Il loro rito è un ritmo ipnotico tra la danza e la processione per allontanare le negatività - Mamoiada (NU), "I Disertori della Vanga" photo team
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A Sorgono "sos Arestes" (gli agresti, i selvatici) indossano pelli di capra, pecora e mucca, sul dorso portano ossi di animali, il capo è ricoperto da un copricapo in sughero foderato completamente di pelle lanosa e sormontato da corna di caprone, daino, cervo e toro. Il viso e le braccia sono annerite con sughero bruciato. Armati di bastoni possenti, mazze di legno e forconi, si muovono provocando con dei saltelli il suono apotropaico degli ossi che hanno legati sulle spalle. Alcuni hanno in dotazione un corno di bue, che suonano per tutta la durata della cerimonia. In testa al corteo uno o due "Arestes" tengono legata con una catena la vittima predestinata al sacrificio, "s’Urtzu Pretistu", un uomo che indossa un’intera pelle di pecora, capra o toro, con il copricapo sormontato da maestose corna di Toro, che verrà percosso e pungolato da tutti gli "Arestes" del gruppo. Il rito del sacrificio culmina con l’uccisione de "s’Urtzu", colpito a morte dai bastoni, forconi e mazze di legno degli "Arestes".
"S’Urtzu" è la vittima del carnevale di Ula Tirso. Si tratta di una maschera tragica, per metà uomo e per metà animale, che è la rappresentazione concreta del dio delle tenebre e dei morti. La particolarità di questa maschera consiste nel portare come copricapo una grossa testa di cinghiale. Sotto le pelli indossa un lungo pezzo di sughero che serve a proteggerlo dai colpi de "sos Bardianos" (i guardiani), che inveiscono contro di lui. Quando "su Omadore" (il domatore) invita "s'Urtzu" a ballare, tutte le maschere iniziano a ballare intorno a lui. Con le sue danze scomposte "s’Urtzu" allontana le maledizioni e porta alla comunità benessere e fertilità.
Cimini, in che modo questi rituali arcaici sono arrivati ai giorni nostri? Hanno subito delle evoluzioni nel corso dei secoli?
Ogni rappresentazione tra quelle indicate ha un suo rituale, una sua maschera e una sua storia. L’essenza di tutto ciò è il rapporto che hanno i cittadini con la natura e con le loro arcaiche credenze popolari. I culti non si sono mantenuti intatti nel corso del tempo a causa del controllo della Chiesa, che ne intaccò le vere origini. Un tempo, infatti, tutti i riti avevano maschere animali e antropomorfe con lunghe corna e si muovevano con danze spasmodiche e convulse. Inoltre, in alcuni casi i rituali comprendevano anche sacrifici. Riti del genere, in tempi di rigida ortodossia religiosa, erano visti come espressione del demonio e andavano sconfitti con ogni mezzo. Si arriva ai giorni nostri e molti paesi, terminato il periodo ultraconservatore e oltranzista della Chiesa, hanno riscoperto e riproposto in termini turistici, con rituali in qualche modo addolciti, i cerimoniali dell’abbondanza. Questi piccoli paesi, in alcuni casi con pochi abitanti, si popolano a dismisura quando avviene la ricorrenza del carnevale sardo, facendo accorrere persone da ogni parte del mondo. I turisti, amanti delle tradizioni, diventano dei veri e propri "supporters" e "reporters" con le loro macchine fotografiche e le loro telecamere, documentando tutto il documentabile.
Quale messaggio vi augurate possa arrivare a tutti coloro che avranno l'opportunità di ammirare le splendide foto che compongono questo percorso espositivo?
Più che un messaggio, ci auguriamo che questa mostra diventi una esortazione ad andare in Barbagia, nella Sardegna più genuina e sincera, dove i visitatori potranno ammirare, nei periodi del Carnevale, le tradizioni e i riti arcaici di un'Italia che sta scomparendo sotto il peso della vita moderna e della tecnologia più sfrenata. Lasciare il proprio salotto, dove impera oramai ovunque la televisione e si è perennemente connessi alla rete, per andare a vedere di persona le scene che abbiamo fotografato. Crediamo che il nostro lavoro abbia un senso se stimolerà un interesse, se innescherà quella scintilla di curiosità che ogni essere umano ha. Per chi volesse andare, consigliamo di aprirsi al dialogo per comprendere i tanti perché dei costumi e delle tradizioni di una società rimasta ancora franca e schietta. Aggiungo anche due parole per la loro cucina sincera e per il loro vino che sembra essere un elisir: anche solo il suo profumo riporta indietro nei tempi, quando i rituali delle maschere erano di origine ancestrale e divinatoria. Il nostro lavoro è rivolto anche agli studiosi di etno-antropologia. Infatti i riti propiziatori e dell’abbondanza resistono quasi originari qui, su questo spicchio di terra sarda. Si possono notare certamente molti particolari che fanno unica ogni rappresentazione dei paesi; ogni piccolo centro ha le sue caratteristiche. Anche per i fotografi, i videomaker e i giornalisti, questo è il terreno adatto per sviluppare qualsiasi concetto, effettuando reportage di assoluto rilievo documentale. Con questa mostra fotografica il nostro messaggio più importante è e rimane anche il senso della bellezza di una zona ricchissima di richiami culturali unici in tutto il bacino del Mediterraneo: anche solo portandola in visione nelle sale espositive, genera meraviglia e bramosia di conoscenza. Ci auguriamo che le immagini rendano il senso di intimità e confidenza creatosi tra fotografi e soggetti ritratti, trasmettendo a chiunque le osservi le emozioni che abbiamo provato noi. Chi vuole tuffarsi in questa realtà rimarrà coinvolto in un turbine adrenalinico di una massa eterogenea di persone che inneggia alla propria maschera, simbolo di appartenenza alle proprie usanze, ai propri costumi, alle tradizioni, alle proprie radici identitarie. Buon viaggio a tutti, quindi, e che con la visita inizi il vostro stupore!
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