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martedì, 02 ottobre 2018 07:16 |
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Tommasina Cocco con sua madre intenta a preparare la polenta
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Francesca Bianchi
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Il 2 ottobre di ogni anno ricorre la Festa dei Nonni. Non è un caso che questa festa capiti nel giorno che la Chiesa dedica agli Angeli Custodi. Chi sono i nonni, infatti, se non gli angeli custodi dei momenti più felici e spensierati della nostra infanzia? Figure fondamentali e complici nella vita di ogni bambino, pilastri preziosi della nostra società, non possiamo non concordare con Alex Haley, quando afferma che i nonni spargono polvere di stelle sulla vita dei più piccoli.
Tommasina Cocco è una nonna di Casatenovo (LC) che dopo il pensionamento si è dedicata anima e corpo alle nipotine Sara ed Emma, avvicinandosi al mondo della letteratura per bambini e scrivendo favole per sostenere le vocazioni in India. Nonna Tommy - così ama farsi chiamare - sul suo diario condivide generosamente parti del lungo libro della sua vita, donando infinite emozioni e dolci momenti di evasione dalla realtà. Per omaggiare tutte le Nonne che hanno attraversato e continuano ad attraversare la mia vita, ho voluto dedicare un'intervista a questa nonna speciale che sussurra alle sue nipotine dolci melodie d'amore e di pace per farle addormentare serene, una nonna che ha conosciuto i tempi duri della guerra, a cui la vita non ha risparmiato dolori e sacrifici, e che proprio in virtù di questo invita i giovani a celebrare la bellezza della vita e a lasciarsi permeare dalle emozioni che sa donare. Nei tempi bui che stiamo vivendo, dove la maleducazione, l'egoismo e l'arroganza spopolano ovunque, consola aprire le pagine del suo diario per immergersi nei suoi racconti forieri di speranza, dove si possono attingere valori sani, integrità morale, onestà e, soprattutto, tanta dignità.
L'augurio che voglio farti per questa giornata, cara nonna Tommy, è di poter pubblicare, prima o poi, il libro della tua vita, facendo, così, un regalo immenso a molte persone. Grazie per tutte le volte che condividi episodi del tuo passato: quando rievochi la tua infanzia sulle montagne valtellinesi, mi perdo nei tuoi ricordi e provo ad immaginare la vita dura che doveva condurre a quei tempi la gente della tua valle. Grazie per tutte le volte che, aprendo lo scrigno segreto del tuo cuore, mi hai trasportato dolcemente, con le ali della fantasia, in un tempo senza tempo, restituendomi qualche dolce momento della mia infanzia ormai lontana. Se, come ami ripetere, raccontare vuol dire non far morire il passato, tu, con i tuoi racconti, hai donato l'immortalità ad ogni singola persona che ha condiviso con te i giorni più felici della tua infanzia.
Nonna Tommy, hai scritto tante favole per bambini e un libricino sulla storia di San Giorgio, patrono della Parrocchia di Casatenovo (LC). Come Ti sei avvicinata al mondo delle favole? Come mai hai voluto dedicare un libro alla figura di San Giorgio e alla leggenda del drago?
Dopo essere andata in pensione, ho iniziato a fare la nonna a tempo pieno, dedicandomi alle mie due nipotine Sara e Emma. Questo mio secondo “lavoro” mi ha avvicinato al mondo della letteratura per bambini, stimolando la mia fantasia. Mi sono scoperta, così, “favolaia”; tale mi considero. Poi da cosa nasce cosa e nella vita a volte i sogni si avverano. Dal 2010 ad oggi ho realizzato sei libri di favole che sono serviti a sostenere lo sviluppo di una missione nel Kerala, in India. Sono entrata nel mondo delle favole per gioco e ho scoperto che è un posto fantastico, dove ogni cosa ha una propria voce, dove i colori si possono inventare, dove il bene vince sul male e l'amore sull'odio, dove c'è sempre una bacchetta magica pronta ad avverare i tuoi desideri. È un mondo che aiuta a crescere e ad affrontare la vita, e i sogni si possono realizzare, se lo si vuole veramente. Il libro su San Giorgio, invece, è nato da un'idea di don Andrea Perego, vicario per la Pastorale giovanile della Parrocchia di Casatenovo, di cui San Giorgio è il Patrono. Per questo libricino le illustrazioni sono state realizzate da mia sorella Antonia, ex insegnante di educazione artistica. È composto da due parti: la prima è incentrata sulla vita del Santo, la seconda sulla leggenda del drago che avvolge la sua figura, con un significato mistico e profondo. Il libretto ha lo scopo di far conoscere meglio questo Santo, diventato famoso soprattutto per la leggenda del drago, ma di cui pochi conoscono la vera vita e il suo grande coraggio nell’affrontare l’imperatore Diocleziano, fino al martirio. Le bellissime illustrazioni lo rendono facilmente comprensibile anche ai più piccoli. Spero sia servito a far comprendere ai nostri giovani che il male esiste, ma si può combattere.
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Perché Ti definisci sardo-siculo-valtellinese? Raccontaci qualcosa delle Tue origini...
Devi sapere che io sono nata per caso in Sicilia, precisamente a Lercara Friddi, in provincia di Palermo, perché mio padre, sottufficiale dell'Arma dei Carabinieri, prestava servizio in questo paesino. Lì siamo nate mia sorella Mariantonia ed io. Avevo solo sei mesi quando papà fu trasferito al nord. Non ho mai visto Lercara Friddi né la casa in cui sono venuta alla luce, ma quel paese e quella casa sono rimasti nel mio cuore. Chissà, forse un giorno riuscirò a baciare quella terra che mi ha visto nascere! Mio papà era sardo, precisamente di Buddusò (SS). Ricordo che l’unica volta che mi son recata in visita al suo paese natale, rimasi affascinata dal luccichio delle colline circostanti, che sembravano tempestate di piccoli diamanti. Mio padre mi aveva spiegato che erano colline di granito, picchiettato di nero e bianco, prezioso e molto ricercato ed esportato anche all’estero, sia per l’edilizia, sia per uso architettonico. Poi si era entusiasmato a raccontarmi del suo paese, e della sua infanzia, e io restavo incantata a guardarlo; gli occhi gli brillavano e sembrava persino ringiovanito.
Mia madre, invece, era una Valtellinese doc, di Ponte in Valtellina. Conobbe mio padre all'età di quindici anni; lui ne aveva nove più di lei ed era affascinante. La prima volta che si videro si innamorarono: fu un colpo di fulmine che durò tutta la vita. Ponte è anche il paese dove ho trascorso la mia giovinezza con i nonni, per questo sento lì le mie radici. Adesso la casa dei nonni è diventata la mia casa, perché l'ho riscattata, con sacrificio, dopo la morte della mamma. È una casa del '700 che ho ristrutturato, conservandone il suo aspetto primitivo. In questi anni non vado spesso a Ponte, ma fortunatamente mia figlia e mio genero si occupano della casa, che stanno amando almeno quanto l'ho amata io.
Nel Tuo libro dei ricordi, che non hai ancora pubblicato, ma di cui ogni tanto posti su Facebook qualche estratto, le parole più dolci le hai riservate proprio al paese di Ponte in Valtellina e ai momenti più belli della Tua infanzia che hai trascorso lì, nella casa dei Tuoi nonni. Che ricordo hai di quella casa che descrivi come il posto più bello del mondo?
Tantissimi e mi commuovo anche solo a parlarne. Mi piaceva vivere in quella casa, mi piaceva il suo odore, i suoi rumori, lo scricchiolio dei pavimenti di legno, il risuonare degli zoccoli sulle scale di pietra, il crepitio della legna nel camino della grande cucina, rumori, suoni, profumi inconfondibili. Una casa è fatta di tante piccole sensazioni, che ti avvolgono nell’istante stesso in cui ne varchi la soglia: è un po' come sentire l’abbraccio di una mamma. Conoscevo gli angoli più remoti, quelli dove i grandi non avrebbero potuto trovarmi, piccoli rifugi dove mi nascondevo con gli amichetti, quando combinavamo qualche marachella. Nel cortile piccolo, ad esempio, c’è ancora un sottoscala chiuso da un cancelletto arrugginito, mezzo sgangherato, tutto ricoperto dall’edera. Era il nostro rifugio preferito, la nostra tana. C’erano tante tradizioni un po’ magiche nel paese dei nonni, come quella del pane di segale, fatto con farina di segale. Una sorta di rituale al quale non avrei mai rinunciato. Lo si faceva solo una volta a settimana, di solito di venerdì. Andavo con la zia su a Berula, in cima al paese, dove la Berta aveva il forno a legna. Portavamo la farina e ci fermavano da lei fino a che il pane non era cotto. Io aiutavo la Berta a fare le forme e ad infornarlo con una grossa pala che faticavo a tenere in mano. La zia, per premio, con l’impasto avanzato mi faceva fare il “panone” con fichi, uvette e noci, anche se non era Natale. Il pane di segale era un pane molto particolare, sia per la forma che per il sapore: era rotondo e grosso, profumatissimo, con la crosta che pareva il guscio di una tartaruga, per via delle crepe che si formavano durante la cottura. Il nonno lo tagliava a larghe fette, appoggiandoselo al petto, usando il caratteristico “fulscett" e io avevo paura che si bucasse la pancia. Ricordi, che io chiamo "profumo d'antico", che col passare degli anni migliorano e ritornano alla mente come in un film visto attraverso la finestra del cuore.
Attraverso i Tuoi racconti sei riuscita a rendere immortale nonna Maria, la tua dolcissima nonna con cui hai trascorso tanti momenti della Tua infanzia. Che ricordo ne conservi? Raccontaci di lei...
Certo, Nonna è una parola magica! Nonna Maria era una persona speciale, quando la penso mi ritrovo bambina, in un mondo fatto di sensazioni ancora vive, come il ricordo del profumo della sua torta o quello della lavanda che mi inebriava quando aprivo il cassetto della biancheria. Mi manca molto. Di lei ho un ricordo dolcissimo; mi sembra un’eternità che non la vedo, che non sento la sua voce, non scorgo la sua figura forte e imponente, non mi rifugio tra le sue braccia. Sono passati talmente tanti anni che nel frattempo sono diventata nonna anch’io, eppure, quando parlo di lei alle mie nipotine, mi sembra di tornare bambina. Nei miei ricordi la rivedo così, com'era allora: grande, immensa ai miei occhi, tanto da perdermi, io così piccina, dentro le pieghe delle sue gonne, quando giocavo a nascondino. C’era complicità fra di noi, anche nelle cose piccole. Spesso guardo le sue foto ingiallite dentro un vecchio album di pelle ormai logoro, sorrido e mi commuovo. A volte vorrei abbandonarmi sulle sue ginocchia e raccontarle tutto di me, della mia vita, dei miei affetti, di quello che sono diventata. Vorrei addormentarmi ancora con la testa sulle sue ginocchia, mentre mi accarezza e mi racconta una fiaba. Una fiaba che parla di fate e di streghe, di principi e cavalieri, dove alla fine l’amore vince sempre e il bene trionfa sul male, come faccio io adesso con le mie nipotine e scopro che essere nonna è meraviglioso.
E di Tuo nonno, invece, che ricordo hai? C'è un episodio che ancora oggi ricordi con affetto?
Ce ne sono tanti, ma ce n’è uno che mi piace ricordare, di un'estate che per me fu veramente speciale. Avevo tredici anni ed era la prima volta che stavo tre mesi interi da sola col nonno. La mattina mi alzavo prestissimo, perché temevo che lui andasse in campagna senza aspettarmi. Mi mettevo in spalla il “gerletto”, che il nonno aveva fatto su misura per me, indossavo gli scarponcini e via. La campagna era tanta, sparsa un po’ nella valle, un po’ sulla collina. Ogni giorno andavamo a un podere diverso: una volta al frutteto, un’altra al vigneto, oppure al prato a raccogliere il fieno.
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Un'immagine di Ponte in Valtellina (SO)
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Il nonno mi rivelava tanti segreti legati alle coltivazioni di quella terra, riti tramandati per intere generazioni che a me parevano quasi magie. Mi piaceva ascoltarlo, perché quello che raccontava mi dava forti emozioni che ancora sono impresse nella mia anima. Sentivo di appartenere a quel mondo, come se ci fossi stata da sempre e speravo di andare a vivere lassù un giorno. Quando al nonno dicevo che da grande sarei stata sempre lì con lui e l'avrei aiutato a seminare il grano, a raccogliere il fieno e a legare la vite, lui, serio, mi rispondeva che dovevo studiare, perché la vita dei contadini era dura e non adatta a me. Risposi che avrei studiato e poi sarei tornata lì. Oggi mi commuovo se penso a quei momenti indimenticabili. La vita non è sempre come uno la sogna da piccolo, ma l'emozione di quegli istanti resta e la rivivo ogni volta che torno nella mia Ponte.
Che nonna sei con le Tue nipotine? Che rapporto hai con loro?
Sono una seconda mamma, si può dire che le ho allevate io. Sara è stata il mio primo esperimento: è cresciuta con le mie favole che poi raccontava ad Emma, arrivata due anni dopo, ricordandosele a memoria e seguendo i disegni sul quadernone dove le avevo scritte. Voglio bene ad entrambe in egual misura, anche se Emma è molto affezionata a me, perché molte cose ci accomunano. Ora sta studiando lirica e, dopo un anno di scuola di canto, è stata proposta per interpretare una parte nell’opera di Mozart "Le nozze di Figaro". Ha una voce molto bella, dote che avevo anch'io da bambina, ma che non ho potuto coltivare. Sono felice che lei possa farlo. Sara, invece, sta frequentando l’ultimo anno di università.
Quando pubblicherai il libro della Tua vita con la storia della Tua famiglia?
Non so se lo pubblicherò. Finora ho scritto molte pagine, ma riesco a dedicarmi alla scrittura soltanto la sera tardi. Per me è come rivivere un'altra volta le stesse emozioni, le stesse difficoltà che, però, ho superato. Sai, a volte serve anche per capire chi sei, come sei cambiata, se sei migliorata o no. Vedremo! Attualmente, invece, sto cercando di ricostruire la vita dei miei avi emigrati in Argentina nel lontano 1868, in fuga dalla miseria, dalla fame, alla ricerca di un po' di benessere, di una vita almeno dignitosa. È un impegno che mi sono presa, lo faccio con passione, ma anche con sofferenza, perché mi costringe a rivivere le stesse situazioni dei migranti di oggi. Disperati che cercano di arrivare in Europa per poter vivere una vita solo vivibile e diventano oggetto di egoismi di nazioni che se ne lavano le mani, pur sapendo che lo stanno facendo sulla pelle di persone. Nei loro sguardi rivedo lo stesso smarrimento di Gerolamo, Caterina, Elisabetta, di cui conosco solo i nomi e i volti su qualche foto sbiadita, e un brivido mi corre lungo la schiena. E quando la storia si ripete, non puoi restare indifferente.
Nei Tuoi racconti si avverte tanta gratitudine nei confronti dei Tuoi genitori, che devono aver fatto tanti sacrifici per tirare su la famiglia in tempi orribili, quali furono gli anni della guerra. Che genitori sono stati?
Sì, allevare sei figli non è stato facile, con un padre che rischiava da un momento all'altro di essere ucciso: allora c’era il brigantaggio, poi la guerra con i fascisti che lo ricercavano a morte. Mia madre ci cuciva i vestiti e perfino i cappotti con i cappotti da militare dismessi da mio padre. Quando papà è mancato, veniva a stare da me per alcuni tempi. La ricordo già avanti con gli anni, seduta davanti alla finestra, mentre lavora all’uncinetto. Il cotone si srotolava lentamente come i grani di un rosario, muoveva impercettibilmente le labbra come se fosse intenta a recitare una preghiera silenziosa, quasi un tentativo di imprimere in ogni punto un ricordo della sua lunga vita. I suoi interminabili centrini si accumulavano giorno dopo giorno, sembravano sommergerla. Tra me pensavo: "Quando finiranno?". Speravo mai, ma sapevo che ci sarebbe stata la fine, come per ogni cosa. Accanto a lei, sul pavimento, giocava Sara: osservavo entrambe e pensavo a quanto i vecchi assomigliassero ai bambini. Le costruzioni di Sara si accumulavano proprio come i centrini di mia madre: era lo stesso gioco ripetitivo. Le osservai ancora, pensando alla vita. Mia madre si accorse del mio sguardo, alzò il viso e mi sorrise, non mi chiese nulla. Provai una gran tenerezza; l’abbracciai e la sentii ancora più fragile, ma i suoi occhi erano stranamente giovani, sgombri dalle ansie che assillano il mondo d’oggi. Assomigliavano a quelli di Sara, che non conosceva ancora la fatica di crescere, mentre mia madre ormai l'aveva dimenticata, ma lo sguardo era lo stesso.
Di papà ricordo ancora la severità, ma anche il suo amore per noi figli. Ho un ricordo particolare, di quelli che ti rimangono addosso una vita. Era tanto che non vedevamo papà a causa della guerra. A noi figlie avevano detto che era a Milano e che sarebbe tornato presto. Non sapevamo, però, che a Milano c'erano i bombardamenti e si rischiava ogni istante di morire. Quella notte, ci trovavamo sempre nella casa dei nonni a Ponte, mi ero appena appisolata, quando avevo sentito un lieve fruscio come di stoffa. Avevo socchiuso gli occhi e, attraverso la luce fioca della luna che penetrava dalle persiane, avevo intravisto una sagoma di donna avvicinarsi al letto. Mi si era fermato il cuore in petto: quella sagoma era vestita come la zia, ma la zia era più bassa e poi non era così magra. La figura mi si era avvicinata e si era chinata su di me. Io non osavo aprire gli occhi; ero immobilizzata. Avevo sentito due labbra sfiorarmi la fronte, ma qualcosa di ispido e il profumo di tabacco tradivano che non poteva essere la zia, che odorava sempre di bucato. A quel punto avevo spalancato gli occhi, ma la sagoma si era nascosta veloce dietro la spalliera del letto. Istintivamente avevo serrato forte gli occhi, il mattino seguente mi ero svegliata con le braccia strette attorno al corpo in un grande abbraccio che era durato tutta la notte. Per timore non avevo parlato con nessuno di quella strana visione, ma a scuola, l’anno seguente, quando la maestra ci aveva dato un compito in classe a tema libero, finalmente ero riuscita a raccontare tutto di quella notte. Avevo capito che l’ombra era il papà, ma non potevo, non dovevo dire nulla a nessuno, nemmeno a me stessa, per la sua e nostra incolumità. Seppi, in seguito, che nella casa dei nonni era venuto ad abitare, da qualche giorno, uno sfollato, un agente federale che, se avesse scoperto papà, l’avrebbe fatto arrestare.
Nonna Tommy, cosa Ti senti di dire ai tanti giovani che oggi più che mai sono spesso privi di punti di riferimento e faticano a trovare il loro ruolo nella vita e nella società?
Una cosa che ho sempre detto a me stessa: siate sempre liberi, ragazzi! "Libertà" è una parola così grande da riempire il mondo. L'aria, la luce, il cielo, la terra: tutto in natura ci parla della libertà. Non rinunciate mai alla libertà di pensiero, l'unica in grado di farci sentire veramente liberi. Si possono avere idee diverse, si può seguire un'idea politica anziché un'altra, si può avere il colore della pelle diverso. Ognuno ha la propria storia, le proprie origine etniche, le diverse esperienze di vita che lo hanno formato, indirizzato verso quella scelta. Accettare e rispettare le diversità di pensiero dell'altro è sinonimo di intelligenza e democrazia, l'insulto e la denigrazione sono solo sinonimo di debolezza intellettuale. E' dalla diversità di pensiero che spesso si trova la soluzione, non di certo attraverso l'insulto o, peggio ancora, l'accettazione silenziosa e complice di certi comportamenti maleducati, arroganti e volgari. Ricordate sempre che la dignità vale più di qualsiasi momentaneo e banale successo. A voi, luce e speranza dell'umanità, voglio dedicare queste parole di Martin Luther King: Se non puoi essere un pino sul monte, sii una saggina nella valle, ma sii la migliore, piccola saggina sulla sponda del ruscello. Se non puoi essere un albero, sii un cespuglio. Se non puoi essere un'autostrada, sii un sentiero. Se non puoi essere il sole, sii una stella. Sii sempre il meglio di ciò che sei. Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere. Poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita.
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