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martedì, 26 settembre 2017 08:24 |
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Ilario Sedrani con una bambina nepalese durante un trekking
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Francesca Bianchi
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FtNews ha avuto il grande piacere di incontrare ed intervistare Ilario Sedrani, appassionato di fotografia e montagna e profondo conoscitore delle montagne del Trentino Alto Adige.
Amante del Nepal, ha all'attivo diversi viaggi effettuati in Himalaya, nella Valle di Khumbu, nel Basso Dolpo, in Langtang e in Helambu, nel corso dei quali ha ricevuto molto, in termini di calore e umanità, dalla popolazione nepalese. Per ricambiare almeno in parte l'affetto e la riconoscenza verso questo Paese e portare un aiuto concreto ai suoi abitanti, pochi mesi dopo il terremoto che il 25 aprile 2015 rase al suolo il Nepal, ha ideato il progetto ... non lasciamoli soli, dando alle stampe un volume fotografico corredato di una raccolta di immagini di bambini nepalesi.
Nel corso della nostra bella conversazione, Ilario Sedrani ha ripercorso le tappe fondamentali del progetto, che porta avanti con entusiasmo e profonda e sincera generosità. Grazie ai soldi raccolti con questa iniziativa è stato possibile ricostruire la Jungala Devi Primary School, la scuola elementare del villaggio di Katike, situato in uno dei distretti più colpiti dal terremoto. Sedrani, che si è recato più volte sul posto per portare di persona tutti i soldi raccolti con le donazioni, ha parlato anche delle difficoltà incontrate per raggiungere il Nepal nei mesi successivi al terremoto. Si è soffermato molto sul senso di ospitalità del popolo nepalese che, pur vivendo in condizioni di estrema povertà, sa regalare umanità, sorrisi, amore e, soprattutto, un profondo senso di pace, senza chiedere nulla in cambio. Una lezione che tutti noi dovremmo imparare e fare nostra!
Ilario, Lei ha una profonda passione per il Tibet e per il Nepal. Come è nato questo grande interesse?
Il mio profondo entusiasmo per il Tibet è nato grazie al libro Sette anni in Tibet dell'alpinista austriaco Heinrich Harrer, che durante la seconda guerra mondiale partì per raggiungere il suo più grande sogno, scalare una delle vette Himalayane. Venne imprigionato dagli Inglesi, che si trovavano lì per colonizzare quei posti. Dopo un tentativo di fuga andato a buon fine, riuscì ad entrare in Tibet, allora precluso agli stranieri. Durante la sua permanenza Harrer iniziò a conoscere la profonda spiritualità del popolo tibetano e, soprattutto, fece la conoscenza dell'attuale Dalai Lama, che allora era giovanissimo. Questo diede avvio ad un sincero cambiamento interiore e ad una storia di amicizia col Dalai Lama che durò fino alla morte di Harrer.
Così nel 2007 decisi di organizzare un viaggio in Tibet. Per raggiungere il Paese delle Nevi, però, ho dovuto fare scalo in Nepal. Lì sono rimasto affascinato dalle montagne. Ho promesso a me stesso che sarei tornato presto per conoscere meglio quella zona. Nel 2009 sono tornato e ho fatto un trekking meraviglioso dal versante nepalese fino alle pendici dell'Everest. Ho attraversato la Valle del Khumbu, dove sono nati e vivono i famosi Sherpa, gli "Uomini dell'Est", una popolazione di origine mongola. La valle è disseminata di villaggi medievali, templi secolari e siti sacri, mentre oltre i suoi margini si aprono splendidi panorami himalayani, da cui sono rimasto letteralmente incantato. Due anni dopo sono tornato nuovamente in Nepal con alcuni amici. In quell'occasione sono entrato in contatto con la popolazione. Ho avuto modo di conoscere persone che per me sono diventate come fratelli, nonostante i chilometri di lontananza.
Da quel momento non ha mai smesso di recarsi in Nepal...
Proprio così! Si dice che la prima volta si va in Nepal per le sue montagne, mentre la seconda si torna per la sua gente. Non c'è nepalese che non accolga i suoi ospiti con rispetto, ospitalità e con un caloroso "Namastè" in segno di saluto. Il sorriso luminoso dei Nepalesi sblocca le situazioni più difficili e raramente capiterà di udire discorsi con parole minacciose o toni accesi. È uno dei piaceri più grandi di un viaggio in questa terra!
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Come si svolge la vita degli abitanti dei villaggi nepalesi?
Premetto subito che la sfortuna del Nepal è che la ricchezza è limitata a pochissime aree: la capitale Kathmandu, la zona dell'Everest e la zona del trekking intorno all'Annapurna. In queste tre aree si riversano tanti turisti, che portano denaro e benessere. Basta allontanarsi di pochi chilometri da queste zone per trovare una povertà indescrivibile. I villaggi sono collegati tra loro da piccoli e ripidi sentieri. Spesso i bambini per raggiungere la scuola impiegano 3-4 ore di cammino a 4000 mt di quota.
La cosa che mi ha subito colpito della vita dei villaggi è stato il fatto che a mandare avanti le famiglie lì sono le donne. I bambini vengono cresciuti dalle mamme, perché spesso i papà non vivono con loro: molti uomini vanno all'estero per cercare fortuna e per mandare alle famiglie quello che riescono a guadagnare. Spesso si indebitano per ottenere il visto. Molti si ricostruiscono una famiglia nei luoghi dove sono emigrati e non fanno più ritorno in Nepal. Le donne lavorano i campi, allevano animali, per curarsi raccolgono le erbe medicinali, che conoscono perfettamente. I giorni immediatamente successivi al terremoto le donne si sono rimboccate le maniche, raccogliendo quel poco che avevano per cercare di andare avanti.
Quando e con quali obiettivi è nata l'idea del progetto "... non lasciamoli soli"e del libro fotografico?
Da luglio 2015 sto portando avanti il progetto ...non lasciamoli soli con entusiasmo, speranza e fiducia. All'inizio il progetto prevedeva una raccolta fondi da destinare alla popolazione nepalese, così duramente colpita dal terremoto del 25 aprile 2015. Dopo la tragedia che si è abbattuta su quella terra a me tanto cara, ho ritenuto utile e preziosa ogni goccia, ogni piccolo gesto, ogni piccolo aiuto. Mi sono sentito in debito di riconoscenza nei confronti dei Nepalesi per i tanti "doni" ricevuti nelle numerose esperienze vissute nella loro terra. Reagendo alla disperazione e ad un profondo senso di impotenza davanti ad una catastrofe di quelli dimensioni, ho pensato di raccogliere in un libro le foto più significative dei bimbi, da me scattate durante i molti viaggi in Nepal. Sono stati i bambini le persone maggiormente colpite dal sisma; sono loro ad aver avuto e ad avere più bisogno di aiuto. L'introduzione al libro è stata curata dall'amico alpinista Marco Confortola, che insieme all’alpinista trentino Giampaolo Corona ha appoggiato sin da subito questo mio progetto. Nei giorni del terremoto Marco si trovava proprio in Nepal per tentare la salita del Dhaulaghiri. All'interno del volume c'è anche una sua foto scattata ad alcuni bambini al rientro verso Kathmandu nei giorni successivi alla tragedia.
Immaginava di poter fare tanto con le libere donazioni ricevute dalla vendita del libro?
Quando ho ideato il progetto, non sapevo cosa sarei stato in grado di realizzare.
Sapevo che, operando volutamente senza l'appoggio di Organizzazioni Nazionali o Internazionali, non sarebbe stato facile, ma era l'unico modo sicuro per far sì che tutto il denaro raccolto, dal primo all'ultimo centesimo, andasse realmente utilizzato per il fine del progetto, cioè la ricostruzione ed il supporto alla Jungala Devi Primary School, la scuola elementare del villaggio di Katike, frequentata da circa 80 bambini. La scuola si trova nel remoto comune di Betali, situato nel distretto di Ramechhap, uno dei più colpiti dal terremoto. Il libro non è mai stato in vendita, ma è distribuito ad offerta libera. Approfitto dell'occasione per ribadire ancora una volta che tutte le donazioni raccolte vengono unicamente utilizzate per aiutare la popolazione nepalese, mentre tutte le spese dei viaggi di monitoraggio in loco sono a totale nostro carico. Tutti i fondi vanno a destinazione: quanto ho raccolto finora con questa pubblicazione è stato da me personalmente portato in Nepal.
Quante volte è tornato in Nepal dopo il terremoto per portare in loco i frutti del progetto?
Sono tornato in Nepal quattro volte: a novembre 2015 mi sono recato personalmente a Katike, nel comune di Betali, per portare la prima parte dei fondi raccolti ed avviare i lavori di ricostruzione della "Jungala Devi Primary School"; sono tornato ancora ad Aprile 2016 per un viaggio di monitoraggio con gli amici di Faenza, che sin da subito hanno dato un contributo prezioso all'iniziativa. A Novembre 2016 sono partito per visionare lo stato di avanzamento dei lavori: la scuola era quasi completata; lo scorso aprile, infine, sono tornato in Nepal per l'inaugurazione della scuola.
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Un'immagine della scuola il giorno dell'inaugurazione
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Con le prime donazioni raccolte avete potuto dare un aiuto immediato agli abitanti del villaggio di Katike?
Grazie ai primi donativi raccolti siamo riusciti, con il prezioso ed operativo supporto di diversi amici nepalesi, a costruire una scuola temporanea, in attesa che venissero completati i lavori della nuova scuola, abbiamo fornito ai bambini le nuove divise, i quaderni e le matite. Abbiamo, inoltre, completato la strada sterrata che ora raggiunge il villaggio di Katike, prima raggiungibile solo attraverso un piccolo e ripido sentiero di montagna. Questa strada ha facilitato anche i trasporti del materiale necessario per la ricostruzione della scuola.
E' stato semplice raggiungere il Nepal dopo il terremoto?
Arrivare in Nepal non è mai facile, ma il grande Amore che mi lega a quella terra e alla sua gente mi ha permesso di superare molti ostacoli, primo fra tutti la grande difficoltà nel raggiungere il remoto villaggio dove è situata la scuola, che si trova a circa 200 Km da Kathmandu. Per arrivare a destinazione si impiegano circa otto ore di viaggio in Jeep, lontano dalle "comodità" della capitale e delle aree più turistiche della nazione. Ricordo come fosse ieri il primo viaggio a Betali dopo il terremoto, nel novembre 2015. Sapevo che in Nepal avrei trovato una situazione difficile a causa del terremoto e ancor più problematica a causa del recente blocco delle frontiere da parte della vicina India. E così è stato: i costi del carburante erano saliti alle stelle, ai pochissimi distributori aperti c'erano code chilometriche, abbiamo avuto una grande difficoltà a trovare medicinali e generi alimentari. Quello che mi ha colpito sin da subito è stata la reazione di immenso coraggio dei nepalesi, fiduciosi ed uniti già all'inizio del processo di ricostruzione, che sapevano sarebbe stato lungo e faticoso.
Nel pacco contenente lo splendido libro fotografico ci sono anche alcune bandiere colorate. Di cosa si tratta?
Sono le famose bandiere di preghiera, piccole bandierine di stoffa colorata, che vengono spesso appese sulla cime delle montagne o sugli alti picchi dell'Himalaya per benedire i luoghi nei dintorni e anche per altri motivi. Le bandiere di preghiera tradizionali riportano testo e immagini stampate. Tradizionalmente sono legate in set da cinque, ognuna di un colore diverso. I cinque colori sono in uno specifico ordine: blu, bianco, rosso, verde e giallo. I cinque colori rappresentano i cinque elementi: il blu simboleggia il cielo e lo spazio, il bianco l'aria e il vento; il rosso simboleggia il fuoco; il verde l'acqua; il giallo la terra.
Il progetto "... non lasciamoli soli" è sempre attivo? E' ancora possibile dare il proprio contributo?
Assolutamente sì! Credo fermamente in questo progetto e continuerò a portarlo avanti anche negli anni futuri per dare speranza e fiducia nel futuro ai bambini che oggi frequentano la scuola. Torno laggiù anche per dimostrare loro quanto tengo a questa realtà e per consentire a tutti quelli che ci hanno supportato in vario modo di poter vedere lo stato di avanzamento dei lavori.
Nei prossimi mesi tornerò in Nepal per ultimare i lavori di costruzione dei bagni della Jungala Devi Primary School di Betali. Lì i bagni si trovano all'esterno, non all'interno dell'edificio scolastico come da noi.
Approfitto di questa intervista per ringraziare con tutto il mio cuore tutti coloro che ci hanno supportato sino ad oggi e tutti coloro che lo faranno in futuro. Nel corso di questi due anni sono state tantissime le persone che ci hanno sostenuto in vario modo, a cominciare dagli amici alpinisti Giampaolo Corona e Marco Confortola. Come non ringraziare, poi, le tante Associazioni e le Istituzioni Pubbliche che hanno collaborato con noi nelle diverse raccolte fondi? Senza tutti questi aiuti non sarebbe stato possibile avviare laggiù quanto è stato realizzato e quanto ancora realizzeremo.
Chi fosse interessato ad organizzare nella propria città una serata di presentazione del progetto ...non lasciamoli soli e tutti coloro che volessero ricevere il libro fotografico, stampato a supporto del progetto, possono contattarmi sulla mia pagina Facebook o all'indirizzo mail ilario.sedrani@virgilio.it .
Cosa Le manca di più del Nepal?
Il contatto con la gente. Ogni volta che mi trovo a visitare villaggi nuovi, le persone si avvicinano, spalancano le porte dei loro cuori, prima che delle loro case, senza chiedere niente in cambio; i bambini mi accolgono con il loro innocente sorriso. Hanno un senso dell'ospitalità che qui in Italia possiamo soltanto sognare! Mi manca lo spirito dei Nepalesi. Quanta fatica, quando torno in Italia, ripartire con il nostro stile di vita caotico e ricominciare ad entrare nel nostro ordine di idee! Lì i tempi e il senso della vita sono diversi. Noi Occidentali dovremmo imparare molto da questo straordinario popolo, che non esagero nel definire patrimonio prezioso dell'Umanità!
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