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martedì, 25 luglio 2017 07:11 |
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Francesca Bianchi
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FtNews
ha intervistato Piero Verni, giornalista, scrittore e documentarista. Ex presidente dell'Associazione Italia-Tibet, Verni è l'unico autore italiano ad aver scritto una biografia autorizzata del Dalai Lama, che dal 1981 ad oggi gli ha rilasciato più di cinquanta interviste private. Profondo conoscitore delle civiltà orientali e delle culture indo-himalayane, da oltre trent’anni compie viaggi di studio e di ricerca in India, Tibet e nella regione himalayana.
Nel corso della nostra intervista ha parlato del suo ultimo libro, Tulku, le incarnazioni mistiche del Tibet e della mostra che ne è scaturita, soffermandosi sul progetto L'Eredità del Tibet, ideato con il fotografo Giampietro Mattolin con la speranza che sempre più persone possano conoscere l'universo tibetano e sensibilizzarsi alla sua difesa. Dalle sue parole emerge la profonda convinzione che il Paese delle Nevi e la sua straordinaria civiltà siano un patrimonio che l'umanità tutta dovrebbe custodire gelosamente e difendere dai continui attacchi che ne minacciano la sopravvivenza.
Dott. Verni, recentemente ha dato alle stampe il libro "Tulku, le incarnazioni mistiche del Tibet”, di cui Giampietro Mattolin ha curato la parte fotografica. Chi sono i Tulku?
Tulku letteralmente significa "corpo di emanazione". I Tulku sono quei maestri spirituali che scelgono di ritornare nel mondo, esistenza dopo esistenza, per essere di aiuto agli esseri viventi. Quello dei Tulku è un aspetto mistico della civiltà tibetana che mi ha sempre affascinato, perché fa da contraltare all'elemento razionale della religione tibetana (epistemologia, filosofia, psicologia), di cui mi sono sempre occupato con grande interesse. Bisogna partire dall'idea che tutti gli esseri sono in possesso di una sorta di continuum mentale che si trasmette esistenza dopo esistenza: è il processo che banalmente chiamiamo reincarnazione. Normalmente noi siamo in balia di questo processo e non abbiamo nessun potere su questo continuum mentale che, come una foglia portata dal vento, rinasce ogni volta in un corpo diverso, esistenza dopo esistenza. Dal punto di vista buddhista questo ciclo ininterrotto di nascite, morti e rinascite è considerato negativamente, essendo il dolore l’essenza ultima di una vita convenzionale. I Tulku possono gestire questa migrazione del continuum mentale e controllarla, anziché esserne schiavi. Questo intervento modifica le leggi della natura; si ricordano le incarnazioni precedenti, si interviene su quello che i Buddhisti chiamano "pensiero karmico". Siamo di fronte ad uno scenario mistico ed è necessario accettare con la forza della fede i postulati che determinano questo discorso. In questo caso il potere della ragione non può fare nulla. La tradizione di queste reincarnazioni mistiche è una caratteristica peculiare del Buddhismo Vajrayana, la forma dell’insegnamento del Buddha diffusa in Tibet, nella regione himalayana e in Mongolia, dove il Buddhismo tibetano ha messo antiche e salde radici.
Con quali finalità è nato il libro "Tulku, le incarnazioni mistiche del Tibet”?
Il lavoro sui Tulku è nato con l'obiettivo di fornire al lettore, attraverso un linguaggio semplice e chiaro, un quadro abbastanza esauriente di cosa sia la tradizione dei Tulku e di come interagisca con le società nelle quali è presente. Grazie anche alle numerose interviste che il Dalai Lama e altri importanti lama buddhisti mi hanno concesso nel corso degli anni, questo libro tenta di ricostruire la storia, l’orizzonte religioso ed etnico, l’attuale condizione e il futuro di questa fondamentale componente della civiltà tibetana.
Come è strutturato questo libro e come si inserisce nel progetto "L'Eredità del Tibet"?
Questo libro è il quarto volume del progetto "L'Eredità del Tibet", che porto avanti con l'amico fotografo Giampietro Mattolin. Come gli altri testi, anche "Tulku, le incarnazioni mistiche del Tibet” si compone di foto e di parti discorsive: le immagini illustrano il testo e il testo spiega le immagini. La prima parte del libro è relativa alla storia dei Tulku. Con Mattolin abbiamo individuato alcuni Tulku contemporanei che riteniamo particolarmente significativi, tra cui anche una donna, e a questi sei abbiamo rivolto una serie di domande. Due di queste domande vertevano sul futuro della tradizione dei Tulku e se, nella mutata condizione sociale, questa tradizione necessitasse di cambiamenti e, in caso di risposta affermativa, che tipo di cambiamenti. Al Dalai Lama abbiamo chiesto un'intervista specifica sull'argomento. Il II capitolo è dedicato al VI Dalai Lama, riconosciuto come uno dei più grandi poeti tibetani. Questi condusse uno stile di vita molto anticonformista e non volle mai prendere i voti monastici. Attraverso la vita di questo Dalai Lama abbiamo voluto dare un affresco del Tibet dell'epoca. Nel terzo capitolo invece, tracciamo un ritratto di una parte poco nota della vita dell'attuale Dalai Lama, gli anni della sua prima infanzia, prima che fosse riconosciuto come il XIV Dalai Lama e venisse insediato sul trono del Leone a Lhasa. Abbiamo ricostruito l'infanzia di questo bimbo, soffermandoci molto su come si svolgeva la vita in quell'angolo remoto di Medioevo tibetano, qual era l'area della regione dell'Amdo, una delle tre grandi regioni in cui era diviso il Tibet e in cui lui è nato e cresciuto. Come tutti i nostri libri, anche questo presenta la traduzione in inglese del testo, perché saremmo davvero felici se i giovani tibetani, cui è affidato il testimone di questa cultura, potessero trarre qualche utilità dalle nostre ricerche.
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Piero Verni con Sua Santità il XIV Dalai Lama
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Come è nato, invece, il progetto "L'Eredità del Tibet"?
Quando, credo nel 2005, ho conosciuto Giampietro Mattolin, in occasione di una mostra fotografica, di cui mi chiese di curare i testi del catalogo, iniziammo a pensare ad una serie di pubblicazioni relative alle culture del Tibet. Nacquero, così, prima un testo sul Mustang, poi, nel 2013, “Lung Ta. Universi Tibetani", un affresco, sempre con i miei testi e le immagini di Giampietro, di quei piccoli "Tibet fuori dal Tibet" che costituiscono il cosiddetto "Tibet etnico" (Ladakh, Sikkim, Mustang, Dolpo, Bhutan, ecc.). Con questa espressione intendo quell’universo himalayano abitato da popolazioni di origine tibetana che, pur non essendo mai stato governato direttamente da Lhasa, ha sempre avuto cultura, tradizioni, composizione etnica, struttura sociale e religiosa estremamente contigue a quelle tibetane. Insieme a questo libro, quindi, è nata l'idea di dar vita a un progetto organico, "L'Eredità del Tibet", di cui "Lung Ta" costituisce la prima pietra. In seguito abbiamo realizzato un sito e abbiamo iniziato ad affiancare ai libri le mostre. Finora ne abbiamo realizzate tre. La prima, relativa ai Cham, è una sorta di introduzione al mondo della cultura buddista, visto attraverso uno dei suoi aspetti più simbolici: le danze rituali eseguite nei monasteri himalayani buddhisti. Abbiamo individuato otto “capitoli” principali: la danza della mente, cos’è un Cham, dove quando perché, i danzatori, i costumi e le maschere, i personaggi, musica e orchestra monastica, il pubblico delle danze rituali. Sui Cham abbiamo prodotto anche un documentario, che anziché pubblicare in dvd, abbiamo editato in chiavetta USB, in modo da renderlo più fruibile e scaricabile online.
La seconda mostra, invece, riguardava la regione dell'Amdo, uno dei luoghi più affascinanti dell'intero Tibet. In Amdo si trovano sia il più grande lago del Tibet, il Tso Ngönpo, sia la catena montuosa dell'Amnye Machen, una delle due montagne sacre del Tibet, dove secondo la leggenda si trova la spada magica di Gesar di Ling, il grande eroe della tradizione epica tibetana. Alcune delle principali figure religiose della civiltà tibetana sono nate lungo questi sconfinati orizzonti: Lama Tzongkhapa, che nel XIV secolo fondò la scuola Gelug, il X Panchen Lama e l'attuale XIV Dalai Lama, originario del villaggio di Takster.
Infine c'è la mostra sui Tulku, nata dallo stesso milieu culturale ed editoriale del libro "Tulku, le incarnazioni mistiche del Tibet", di cui segue le direttrici, che si avvale, oltre a quelle di Giampietro Mattolin, anche delle immagini della fotografa Vicky Sevegnani. Abbiamo, dunque, pensato ad un progetto ampio che comprendesse il libro, la mostra e un documentario, a cui sto attualmente lavorando e che uscirà a breve. La cosa interessante di questa mostra è che credo sia l'unica a coprire un arco temporale così ampio: la prima fotografia risale al'ottobre 1984, l'ultima è stata scattata nel settembre 2016 e rappresenta il Dalai Lama mentre legge la Pergamena della cittadinanza onoraria, conferitagli dalla città di Milano in quell’occasione. La mostra è stata fino ad ora ospitata al Centro Mandala di Milano e all'Istituto Samanthabhadra di Roma. A settembre sarà a Venezia, presso l’Università Ca’ Foscari, e a ottobre a Lucca, presso il Museo di Arte Contemporanea.
Che posizione ha assunto il governo di Pechino rispetto alla tradizione dei Tulku?
I Cinesi, che dal 1951 occupano illegalmente il Tibet, hanno tentato di uccidere l'elemento spirituale del mondo tibetano, ma si sono resi conto che è una lotta impari: tanto sono radicate e profonde la voglia di stupore religioso e la spiritualità di ogni tibetano. Per cui non tentano più di distruggere l'elemento religioso del Tibet, ma operano una gestione strumentale: si servono della tradizione dei Tulku come di un elemento del loro controllo sulla società tibetana, sostenendo che l'unica autorità autorizzata a riconoscere queste figure è il governo di Pechino. Hanno stilato un elenco preciso di Tulku che possono fregiarsi di questo titolo ed operare come tali. Tutti coloro che non figurano in tale lista sono esclusi. Hanno adottato questo atteggiamento per gestire la reincarnazione del prossimo Dalai Lama, attraverso l’uso strumentale di “religiosi” che si sono venduti a Pechino.
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Lei è stato in Tibet. Che ricordo ne conserva?
Ricordo una nazione ferita, umiliata, ma ancora in qualche modo integra. Ricordo anche orizzonti senza fine, l'aria rarefatta degli oltre 4000 metri di altitudine, le sciabolate di luce pura come il cristallo, i tesori artistici che sono riusciti a sopravvivere alle distruzioni della Rivoluzione Culturale, i mari verdi delle distese d'erba, gli accampamenti dei nomadi che a tratti animano il limitare del cielo. Nonostante oggi sia una colonia cinese, il Tibet è lo stesso in grado di regalare infinite meraviglie ai viaggiatori. Conservo, inoltre, un ricordo meraviglioso dei Tibetani che ho incontrato lungo l'immenso arco-himalayano: gente fiera, gentile, di una dignità antica.
Cosa può insegnare a noi occidentali una civiltà millenaria come quella tibetana?
Intanto uno dei più profondi, raffinati, creativi ed efficaci metodi di conoscenza interiore, poi l'importanza di essere fedeli alle proprie radici e alle proprie tradizioni. Ritengo profondamente affascinante il fatto che questa tenace difesa della loro memoria, questa capacità di muoversi con armonia nei giardini della memoria, non paghi mai il prezzo di una chiusura ostinata nei confronti del diverso. Inoltre, a mio avviso, il mondo moderno ha un estremo bisogno di fare propria la capacità poetica di cogliere la magia insita nella natura e il legame simbiotico con essa, due caratteristiche che accomunano i Tibetani ai Nativi d’America. Inoltre, pittura, architettura, scultura tibetane sono uno degli elementi più elevati degli aspetti artistici dell'intera Asia.
Quale messaggio si augura possa giungere a coloro che leggeranno il libro e visiteranno la mostra?
Mi auguro che tutti possano comprendere la ricchezza di questa straordinaria civiltà, un patrimonio che tutti dovremmo difendere. Purtroppo è minacciata nella sua stessa sopravvivenza e se morisse, una parte di noi morirebbe con essa. Certo, questa civiltà e' profondamente diversa dalla nostra, ma è un tesoro prezioso di conoscenze spirituali e di espressioni artistiche. Conoscere il Tibet, capire il profondo legame che mantiene con le sue radici, apprezzarne il rispetto per l'ecosistema e la disponibilità al dialogo e alla tolleranza religiosa, vuol dire anche entrare in contatto con la parte migliore di noi stessi.
Aggiungo che il lavoro di preservazione e di testimonianza della cultura e dell'antropologia del Tibet, che cerchiamo di portare avanti con il progetto "L'Eredità del Tibet", si propone di dare un piccolo e modesto contributo alla conoscenza di una delle civiltà più importanti ed affascinanti del nostro Pianeta, con la consapevolezza che l'eredità del Tibet non appartiene solo alle donne e agli uomini del Paese delle Nevi, ma all'intera umanità.
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