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domenica, 11 giugno 2017 16:01 |
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La locandina dello spettacolo
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Francesca Bianchi
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FtNews
ha incontrato Francesca Camilla D'Amico, attrice, drammaturga e regista, ideatrice dello spettacolo Maja, storie di donne dalla Majella al Gran Sasso, una ricerca sulla figura della donna nella civiltà contadina abruzzese. Lo spettacolo, che dall'11 al 18 giugno sarà al Teatro La Scala della Vita di Milano per il Milano Off F.I.L Festival 2017, è interamente dedicato al lavoro femminile, ai matrimoni, alla condizione della donna in Abruzzo dalla fine dell'Ottocento fino agli anni del secondo Dopoguerra. Nel corso della nostra bella intervista, Francesca Camilla D'Amico - che il 30 maggio ha ricevuto da parte dell'UDI-Unione Donne in Italia e delle Donne Vestine un riconoscimento per l'entusiasmante e scrupoloso lavoro di ricerca che ha portato alla realizzazione dello spettacolo - ha parlato con ammirazione della straordinaria forza di tante donne abruzzesi, a cui le molte sofferenze e le umiliazioni subite negli anni difficili della guerra non hanno tolto la voglia di vivere, di ribellarsi, di cambiare il corso della loro vita. La D'Amico si è inoltre soffermata sull'importanza di riscoprire le tradizioni dell'oralità contadina per salvaguardare la nostra identità culturale e gli insegnamenti di vita che si celano in tante, troppe storie, considerate spesso "minori", quasi insignificanti, dalla cultura cosiddetta "ufficiale".
Come e quando è nata l'idea di realizzare lo spettacolo "Maja: storie di donne dalla Majella al Gran Sasso"?
La compagnia teatrale di cui faccio parte, Muré Teatro, che ho fondato insieme a Marcello Sacerdote, nel 2016 ha attraversato un momento di crisi. Uscivamo da uno spettacolo, Courage!, al quale avevamo dedicato moltissime energie, ottenendo anche degli ottimi risultati, come la finale al Premio Scenario per Ustica 2015 e un notevole riscontro di pubblico nel debutto a Pescara, che vide 600 persone nei due giorni di repliche. Come spesso accade nei gruppi, dopo il successo siamo entrati in una fase di crisi: gli attori e musicisti si sono allontanati, alcuni sono usciti da Muré Teatro, mentre Marcello ed io siamo rimasti, decidendo, però, di portare avanti due progetti paralleli. Tutto questo coincideva con la mia scelta di lasciare la città per andare a vivere a Caramanico Terme, un paese di montagna in provincia di Pescara. Lì mi sono innamorata della Majella e della natura circostante. Camminavo molto sui sentieri di montagna, spesso in solitudine. Potrei dire, con le parole di Erri De Luca, che questa solitudine è stata una proteina per la scrittura e, nel mio caso, per il teatro. La recente scomparsa delle mie nonne mi portava spesso a riflettere sul vuoto di memoria da colmare tra la mia e la loro generazione. Confesso di aver cercato un po' di loro nelle anziane donne incontrate durante la mia ricerca di storie. Inizialmente non avevo ben chiara l’idea di raccogliere storie di donne. Ero interessata alla vita di questi anziani, ai loro ricordi, ai loro amori, al loro lavoro, alle storie di guerra, ai sogni, agli aneddoti. Poi ho capito che in ogni storia che mi raccontavano c’era sempre una mamma, una nonna, una sposa, un’innamorata, una strega, una fata, una montagna. Così ho pensato di circoscrivere il campo della mia ricerca alla donna nella civiltà contadina abruzzese. Ho imparate davvero molte cose, sono venuta a conoscenza di pregiudizi antichi, ho ascoltato storie di umiliazioni e sofferenze, di abbandoni e grandi sacrifici. Nello stesso tempo, però, ho sentito in loro anche tanta voglia di resistenza e di cambiamento, un'inesauribile voglia di cantare, ballare, vivere.
Chi è Maja?
Maja è una figura leggendaria, mitica. E’ la Dea Madre, la Montagna Madre. Nelle varie versioni della storia della Dea Maja si evince un tratto comune: il desiderio di salvare suo figlio. Questa urgenza la porta a solcare il mare e a camminare a lungo. Nel mio spettacolo torna spesso il detto popolare chi ha bisogno cammina. Maja era una Dea, ma tante donne e tanti uomini camminavano per necessità e ancora oggi si continua a camminare per bisogno. Ho ritrovato la vicenda di questa figura mitica camminante anche in una poesia di mia nonna Rosa, l’unica che aveva scritto e che mi citava spesso. Questa poesia parla della sua disperata ricerca di una casa, una ricerca che la conduce tra boschi, montagne, grotte e ululati . Ho sentito un forte collegamento tra Maja e tutte quelle donne che per necessità, amore, lavoro, sopravvivenza, hanno camminato e camminano ancora oggi.
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Francesca Camilla D'Amico
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Qual è il filo conduttore dello spettacolo e quali temi vengono affrontati?
Il filo conduttore, da cui si dipartono altri fili che tessono una specie di racconto fatto all’uncinetto, è quello della vita della donna nella cultura contadina abruzzese dalla fine dell’Ottocento al Secondo Dopoguerra. Tutte le storie hanno l’Abruzzo come territorio comune: l’Abruzzo dei paesi, delle fontanelle, dei sentieri di campagna e di montagna. Si parte da storie e canti legati alla nascita e al modo diverso di accogliere l’arrivo di un figlio maschio dall'arrivo di una figlia femmina, fino ad arrivare alla condizione lavorativa di queste donne che andavano nei campi fino al nono mese di gravidanza e a cui spesso capitava di partorire in strada. Si narra del loro incessante andare e tornare per prendere l’acqua al lavatoio, che allora era visto come una sorta di “centro sociale femminile”. Si parla di matrimoni e della contrattazione per la dote della sposa, ovvero la compravendita del suo corredo e della sua stessa persona. Ci si sofferma sulla guerra vissuta da mamme che persero i figli e da gesti estremi di queste donne per sfuggire agli stupri da parte dei soldati tedeschi. Si narra dell’emigrazione, delle donne lasciate dai mariti che si imbarcavano per l’America. Canti popolari femminili e momenti di poesia e di relazione con il pubblico fanno da sfondo a queste storie. Ci sono anche le montagne sacre per gli abruzzesi: la Majella e il Gran Sasso.
Chi sono i protagonisti di questa storia tutta al femminile?
Le protagoniste sono le donne delle storie vere, le donne dei canti, le donne della nostra storia cosiddetta “minore”, inascoltata e silenziosa, le donne che mi hanno consegnato frammenti della loro vita, direttamente o indirettamente: Mariacinta, Rosa del Bene, Annuccia, la mamma di Guerino, Tetta Santa, Marianicola, Adelina, Rosa, Dora, Laura...
A quali fonti ha attinto per la creazione di Maja?
Ho attinto a diverse fonti dirette, tra cui molte persone tra gli 80 e i 92 anni che potessero raccontarmi direttamente la loro esperienza di vita. Mi sono ispirata anche a diversi libri: la raccolta di racconti Gende bbuna e bona gente, scritta da Laura Fiorentina Fabrizio, una maestra di Cupello (CH), scomparsa alcuni anni fa all’età di 90 anni circa; il libro La sagra degli antichi saponi di Giovanni Damiani; infine il libro di Paolo Sanelli, un pastore in pensione che ha scritto le sue memorie dal titolo I miei sogni sono stati tutti sulla Majella, testo di cui conosco i passaggi quasi a memoria e che mi è stato utile per capire meglio i lavori delle donne in montagna e in paese e la questione dei matrimoni. Ho attinto anche a storie di famiglia, quelle raccontate dalle mie nonne o dai miei genitori e alle ricerche di etnomusicologia di Pino Gala ed Emiliano Giancristofaro.
In base alle Sue ricerche, qual era il ruolo delle donne nella civiltà contadina abruzzese?
Per rispondere a questa domanda ci vorrebbe un libro intero, quindi scelgo una sola parola: pilastri.
Quanto è importante oggi riscoprire le tradizioni dell'oralità contadina?
Per me il racconto di tradizione orale è stato il punto di partenza dei miei studi sul teatro ed è anche quello su cui continuo a lavorare da diversi anni tra formazione e lavoro. Personalmente mi è stato di grande aiuto per apprendere le leggi del teatro e dell’attore, perché nell’oralità contadina ci sono dei veri maestri. Come Zi Angelo, contadino narratore di Paglieta (CH), o la signora Maria di Serramonacesca (PE), persone che racchiudono tutte le principali funzioni del teatro, cui si aggiunge la relazione tra esseri umani, tra narratore e spettatore, che privilegia il rapporto con l’altro, l’ascolto, l’affetto.
Oggi la tradizione orale va salvaguardata come una specie protetta, affinché non sparisca del tutto. Se morisse, perderemmo una ricchezza enorme, un bagaglio culturale senza il quale sarebbe difficile immaginare un presente e un futuro. Purtroppo molto è già andato perduto e molto si è fatto per cancellare la nostra identità culturale, ma fortunatamente oggi molti riconoscono l’importanza della capacità di creare relazione umana e sincera grazie al racconto e agli insegnamenti di vita che spesso si nascondono in queste storie, dietro immagini di altissima poesia “del basso”, che solo una cultura strettamente a contatto con la natura poteva immaginare e produrre.
In tal senso, ha mai pensato di portare questo spettacolo nelle scuole?
“Maja” ha avuto il grande piacere di incontrare i ragazzi del Liceo Marconi di Pescara, con i quali alla fine dello spettacolo ho avuto un intenso dialogo su diverse tematiche, da quelle che riguardavano strettamente “Maja” al teatro come mestiere, dalla formazione alla professione. Ho riscontrato un interesse vivissimo da parte dei ragazzi, un ascolto attento e partecipe, come testimoniano anche i commenti che hanno consegnato ai professori in forma di brevi pensieri scritti. Mi ha commosso constatare che queste storie parlano anche a generazioni giudicate spesso disinteressate, svogliate e lontane dal teatro e dalla curiosità per la storia, per i diritti delle donne, per il luogo in cui vivono.
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Una foto di scena dello spettacolo "Maja" (ph: Antonio Di Biase)
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Il 30 maggio, a Penne (PE), l'UDI-Unione Donne Italiane Le ha conferito un riconoscimento per l'approfondito e scrupoloso lavoro di ricerca svolto per la costruzione dello spettacolo. Cosa significa per Lei questa benemerenza?
Sono felice che due associazioni molto importanti sul nostro territorio, come Le Donne Vestine e l’UDI, animate da donne energiche, battagliere, intelligenti, piene di forza e di grazia, abbiano rivolto il loro interesse e il loro affetto verso questa piccola ricerca indipendente che ha dato vita allo spettacolo. Ciò mi incoraggia a fare sempre meglio, a continuare a studiare e a lavorare sodo, esattamente come fanno loro per promuovere, sensibilizzare, lottare per diritti ancora tutti da conquistare o da non perdere.
A chi dedica le soddisfazioni e il successo che finora ha ottenuto con Maja?
Con tutto il mio cuore alle mie antenate che in qualche modo mi proteggono sempre e a tutte quelle donne che superano con coraggio le proprie paure e i pregiudizi, imparando a conoscersi e ad ascoltarsi.
Quali impressioni si augura di suscitare in coloro che avranno il piacere di assistere a questo spettacolo?
Spero di lasciare loro la curiosità e la voglia di saperne di più sulle proprie radici e di riuscire a trasmettere qualcosa delle mie origini e della mia terra. Molte persone mi hanno scritto o mi hanno voluto comunicare personalmente le emozioni e le riflessioni che lo spettacolo ha stimolato ed è stato davvero un grande incoraggiamento per me, perché ho sentito che queste storie agivano in maniera diversa su ogni persona: c’è chi ricorda frammenti della propria infanzia, chi vi ritrova forza e insegnamento, chi torna a riflettere sulle discriminazioni subite dalle donne e riconosce quanta strada abbiamo ancora da fare, chi semplicemente si emoziona e lo comunica con lo sguardo o con un caloroso abbraccio. Io credo che il teatro possa creare emozione, riflessione e relazione. Spero di lasciare un seme o un germoglio in chi mi ascolta.
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