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martedì, 30 aprile 2024 04:55 |
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Porto Rotondo. I fratelli Nicolò e Luigi Donà dalle Rose negli anni '60 (dall'archivio di Luigi Donà dalle Rose)
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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Si sono concluse in questi giorni a Porto Rotondo (SS) le riprese del documentario Ci sedevamo sul tappo: Porto Rotondo il borgo inventato, scritto e diretto da Anna Testa e prodotto da Amarcord production con il contributo del MiC. Nell'intervista rilasciata a FtNews la regista ha affermato che nel corso delle riprese, durate un anno, è stata coinvolta tutta la cittadinanza, in modo che i diretti interessati potessero raccontare la storia di Porto Rotondo, borgo inventato che quest'anno festeggerà i suoi primi sessant'anni di vita. Il Consorzio Porto Rotondo, per celebrare la ricorrenza, sta preparando un ricco calendario di appuntamenti. Il documentario racconta come si è innestata la civiltà degli stazzi nella cessione dei terreni, tutti ubicati intorno allo specchio d'acqua che allora si chiamavaPoltu Ridundu ai conti veneziani Nicolò e Luigino Donà dalle Rose, perché potessero realizzare il loro sogno: dare vita a un nuovo insediamento, a imitazione dellapólis greca, realizzato da artisti e grandi architetti quali Mario Ceroli e Gianni Gamondi. Un borgo con un porto, una piazza, un campanile. Questa è ancora oggi la favola di Porto Rotondo, una storia affascinante con risvolti inediti raccontati in video, tra gli altri, dalla giornalista Marella Giovannelli, da Marcello Fois, Nicola Pietrangeli, Carolina Rosi, Enrico Vanzina e dagli stessi Luigino e Chiara Donà dalle Rose.
Il documentario parteciperà a vari festival del cinema e sarà proiettato nell'ambito delle celebrazioni organizzate in occasione dei sessant'anni della fondazione di Porto Rotondo.
Come è nata l'idea di dedicare un documentario a Porto Rotondo?
L'idea del documentario mi è venuta dopo aver letto il racconto Noi di Porto Rotondo, scritto alcuni anni fa da Paola Dalla Valle, con le foto di Pietrangeli. Insieme ai due fratelli Nicolò e Luigino Donà dalle Rose, Paola Dalla Valle è stata una dei pionieri di Porto Rotondo. Lei arrivò proprio negli anni in cui i due aristocratici veneziani si innamorarono di questo specchio d'acqua che allora si chiamava Poltu Ridundu. Paola è stata ed è la memoria di Porto Rotondo. Mi ha ospitato spesso a casa sua; nel corso delle nostre conversazioni ho capito che su Porto Rotondo c'era una storia eccezionale da raccontare. Ho deciso, così, di iniziare a scrivere un soggetto insieme a Yari Selvetella e Marcello Fois. Abbiamo scritto un soggetto per una serie televisiva che finora non è stata realizzata. Ad un certo punto al produttore della Amarcord film è venuta l'idea di realizzare un documentario, le cui riprese sono iniziate proprio l'anno scorso. Adesso siamo nella fase finale: stiamo ultimando il montaggio, arricchito dalle musiche di Moses Concas che si innestano sulla musica jazz, una mia grande passione. Poi ci sarà una un fumetto che verrà realizzato dall'illustratore Mauro Moretti.
Da dove parte e su quali aspetti si concentra il documentario? Qual è stato il grande merito dei conti Donà dalle Rose?
Il documentario parte dal racconto di Paola Dalla Valle sopra citato. Io avevo già approfondito la storia di Porto Rotondo e ho voluto raccontare come la civiltà degli stazzi, agli inizi degli anni '60 del secolo scorso, si sia fusa con i continentali che stavano iniziando a scoprire le potenzialità turistiche di questo specchio d'acqua. Tenga presente che qui arrivavano gli esponenti più in vista del panorama culturale italiano. I due conti non hanno voluto limitarsi a fare di Porto Rotondo un insediamento residenziale per le vacanze, ma hanno voluto creare una cittadina che imitasse la pólis greca, con il porto, la piazza, il teatro. Decisero di chiamare i loro amici, tutti artisti che uscivano dalla Biennale di Venezia, tra cui Mario Ceroli, affiancati da architetti che allora erano alle prime armi, a cominciare dall'architetto Pianon, a cui poi subentrò l'architetto Gamondi, colui che costruì l'80% di Porto Rotondo. Hanno costruito un borgo inventato con l'apporto di artisti e grandi architetti. Una cosa del genere oggi non sarebbe più realizzabile.
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La giornalista Marella Giovannelli, il conte Luigi Donà dalle Rose e la regista Anna Testa
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A un certo punto Porto Rotondo è diventata una delle mete più ambite del jet set internazionale. All'inizio, nei suoi primi anni di vita, com'era? Da cosa furono attratti coloro che per primi si riversarono a Porto Rotondo?
Il jet set è arrivato più tardi: all'inizio, come racconta Chiara Donà dalle Rose, a Porto Rotondo c'era una comunità quasi hippy di persone che arrivavano lì attratte dalla bellezza del luogo. Non c'era nemmeno una strada asfaltata per raggiungere Porto Rotondo, non c'era niente, ma c'era la grande bellezza e un'altra cosa che ai giorni nostri purtroppo non c'è più: la gioia di vivere. C'era un mondo che stava attraversando il boom economico: era il mondo della costruzione, del tutto è possibile, del pensare un sogno e riuscire a realizzarlo, dell'avere un avvenire. Ho voluto raccontare soprattutto gli inizi di questo borgo inventato, un luogo unico che poi verrà conosciuto in tutto il mondo, proprio per riassaporare il dna di quegli anni, quella gioia di vivere che abbiamo perso, cercando di capire se oggi sia possibile ricrearla nella nostra vita quotidiana. Quella di Porto Rotondo è una bellissima storia, una storia che, secondo me, andava raccontata.
l documentario si concentra anche sulla rivoluzione antropologica che si verificò in Gallura negli anni Sessanta. Ci spieghi meglio...
In quegli anni c'è stata una rivoluzione antropologica, un sovvertimento delle gerarchie all'interno delle famiglie. I terreni situati nelle vicinanze del mare erano di proprietà delle donne, in quanto considerati di scarsissimo valore: i sardi non sono mai stati uomini di mare, ma pastori. Tra l'altro, nelle terre vicine al mare c'era la malaria. Improvvisamente quei terreni iniziarono a valere dieci volte più dei terreni dei maschi, situati nell'entroterra. Il documentario risponde anche a una domanda che molti si fanno ancora oggi: hanno fatto bene o no i sardi a vendere quelle terre ai continentali?
Chi ha intervistato? Quali e quante testimonianze ha raccolto?
Ho intervistato un numero congruo di persone, soprattutto i pionieri: da Luigino a Chiara Donà dalle Rose, che parla per il padre, poi l'architetto Gamondi, Giovanni Battista Borea d'Olmo, Michelino Masala, uno dei manutentori del villaggio che si occupava della cura dei giardini; ho intervistato il giornalista Augusto Ditel, la giornalista Marella Giovannelli, il regista Enrico Vanzina, lo scrittore Marcello Fois, l'ex tennista Nicola Pietrangeli e tanti sardi figli della civiltà degli stazzi, a cominciare da Enzo Deiana e Franca Gala. Nel documentario i racconti dei figli di coloro che vendettero i terreni alle prime società di costruzione e ai fratelli Donà dalle Rose fanno eco al racconto dei continentali, a coloro che hanno fatto di Porto Rotondo una seconda casa, una seconda vita e hanno deciso di costruire lì il loro futuro.
A quali fonti avete attinto per la realizzazione di questo lavoro?
Abbiamo trovato bellissimi filmati in Super 8 dell'epoca, tutti appartenenti agli archivi delle famiglie, poi abbiamo i filmati dell'Archivio storico dell'Istituto Luce. Ci ha aiutato molto l'archivio di Ermanno Spadoni: il figlio ci ha dato del materiale. Gli archivi fotografici e filmici sono stati preziosissimi per la realizzazione del documentario.
Quale messaggio si augura possa arrivare a coloro che vedranno il suo documentario?
Mi auguro che possano rivivere quel periodo d'oro del boom economico e cogliere gli spunti per riuscire a ritrovare la gioia di vivere e la capacità di sognare.
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