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venerdì, 28 ottobre 2016 08:24 |
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In sanscrito LILA, nome di bambina, è la manifestazione del Gioco Divino nel mondo
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Francesca Bianchi
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FtNews
ha intervistato Mario Bolognese, poeta, scrittore, formatore e studioso dei simboli e delle risorse immaginative, creative e spirituali dei bambini e delle bambine. Il suo approccio, che trae linfa dall’antropologia del sacro, si basa sui miti e sui riti di iniziazione dei popoli, soprattutto in riferimento alla dimensione della natura. Le caratteristiche del suo metodo di lavoro riguardano la fiaba, la differenza di genere e la metaforizzazione del linguaggio.
Nel corso della nostra interessante conversazione, Bolognese (canticocreature@gmail.com la sua e-mail) ci ha parlato dell'importanza di riscoprire il divino e la saggezza ancestrale, insiti in ogni bambina e in ogni bambino, sostenendo che la fiaba, vissuta e giocata, mette in girotondo le differenze, nutre un’immaginazione aperta alla pace, aiuta a combattere la violenza di genere, favorisce il dialogo interreligioso e dona parole di condivisione e simpatia anche con la natura e gli animali.
Dopo aver esplorato il sacro nel bambino, si è dedicato con grande passione alla ricerca del sacro nella bambina, argomento che Le sta particolarmente a cuore. Lei crede fermamente che la rimozione collettiva su questo argomento nasconda un dolore profondo. Come ha maturato questa convinzione ?
Sul dolore femminile rispetto alla bimba, mi sono confrontato con amiche. Il senso di quanto ho capito è che la madre, per affetto e protezione verso la figlia, non ne ha riconosciuto ed amato l'originalità poetica ed il suo splendido soffio vitale, creatore di senso. Questo perché doveva soprattutto educarla al suo futuro ruolo adulto. Insomma, mi trovo splendide amiche che mi parlano del bambino e non della bambina interiore che hanno nel cuore. Tanto una debole identità di genere precoce può incidere sul racconto di sé al mondo. Per cui, con umiltà e ben conscio delle mie responsabilità, cerco ora di onorare, anche nel mio lavoro pedagogico, la “piccola altra", la Dea Bambina.
Per la filosofa, pedagogista e scienziata Maria Montessori "la bambina è la madre della donna", mentre per la filosofa e psicoanalista belga Luce Irigaray "la bambina è l'anima del dialogo in famiglia". Si trova d'accordo con queste due definizioni?
Ho scoperto in queste due donne straordinarie un'attenzione rara verso la bambina. In Luce Irigaray c'è una riflessione molto importante sul ruolo di una madre che, condizionata dai modelli patriarcali, educa differentemente bambino e bambina. Riporto tutta la relativa frase tratta da un suo testo: La persona più adatta alla vita relazionale e al dialogo nella famiglia è la bambina, ma la madre non aiuta la crescita di questo dato fondamentale della soggettività di sua figlia. Non favorisce neanche il rapporto fra due donne né la possibilità per la bambina di avere un modello femminile ideale nella madre per sostenere il proprio divenire. Ritengo questa riflessione educativamente molto importante. Eppure, se la bambina è anche la madre della donna, secondo la Montessori, questo è gravido di conseguenze non solo sul piano educativo, ma anche sociale, pensando al femminicidio. Insistere troppo o solo sulla parte umana adulta, l'adultocentrismo, giova, secondo me, soprattutto al separante e verticalizzato modello patriarcale. Spero che si arrivi presto ad avere anche un Dio Bambina, Figlia, per fortuna del mondo, di una ritrovata Dea Donna.
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La danza cosmica della Dea Kali e di sua figlia. Raffigurazione in pietra, Gujrat, India, circa XVI secolo
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Quanto è importante riscoprire e valorizzare la sacralità e la saggezza della cultura infantile per combattere gli stereotipi sessuali ed educare alla nonviolenza?
In una dimensione gilanica della vita – intendo per gilania quella teorizzata dalla sociologa statunitense Riane Eisler - c'è relazione e non sfruttamento o violenza di un sesso, quello maschile, sull'altro, quello femminile. E poi tra generazioni c'è mutualità, scambio di doni. L'orizzonte della vita nella gilania non è solo quello, legittimo, di far crescere bambine e bambini per farli diventare come noi, ma viene rivolto l'invito a scambiarci culture diverse, bisogni diversi, visioni del mondo diverse. Quelle infantili sono soprattutto connaturate al loro corpo ludico e poetico, collegato incessantemente al cosmo e alla sua ciclicità. Mentre il compito educativo adulto verso di loro è di connetterli alla storia, al divenire concreto della vita, loro ci ricordano con dolce insistenza che siamo fatti anche di immaginazione, di creatività, di una tenerezza dialogante con ogni mondo, con ogni linguaggio, con ogni parola. Nonviolenza, con-sognando e non solo con-vivendo con loro, è cercare di superare questa alienazione per cui spesso non ci sentiamo più, noi grandi, figlie e figli di un cosmo vivente in perenne rigenerazione. Uno dei principali stereotipi sessuali, che generano violenza al senso della vita, è quello che crescere sia molto importante: ma diventare grande è spesso e molto in relazione, da un punto di vista patriarcale, con una sessualità normalmente intesa come pre-potenza fallica verso una terra, un genere, giudicato colonizzabile. Le bambine e i bambini, amabilmente prendendoci in giro, circuendo con la loro allegra danza la serietà del nostro sapere e del nostro perenne impegno, ci fanno entrare, finalmente sorridendo, nel loro girotondo di vita. E in questo gioco proprio le bambine stanno portando sempre di più una loro originale e molto intelligente grazia di pensiero.
Lei sostiene che le bambine e i bambini potrebbero dare un grande contributo al dialogo interreligioso, se gli adulti sanno entrare nel loro "girotondo di vita". Cosa intende con questa espressione?
L'infanzia, sotto il segno dell'immaginazione simbolica e della poesia di un loro corpo che sa giocare, si rigenera incessantemente. L'aspetto interreligioso di questo gioco infantile è il saper vivere l'istante, entrando, proprio qui e ora, in un tempo sacro, non lineare ma circolare. Il dialogo interreligioso, così prezioso per la pace, riceverebbe, secondo me, uno stimolo originale e fecondo, aprendosi ai bambini e alle bambine e alle loro pratiche, visioni del mondo e linguaggi. Il nostro mondo adulto, per aprire questo orizzonte, dovrebbe però dissetarsi di più alla sorgente simbolica, a un parlare meno logico e astratto, alla poesia, lasciandosi un po' convertire dalla saggezza infantile.
Dove trova l'ispirazione per le Sue fiabe, tutte ricche di un profondo valore pedagogico?
La fiaba è soprattutto ritrovare, come nostra linfa perenne, il linguaggio primario, quello della madre: quella parola nutritiva, carnale, affettiva, assolutamente ecologica e cosmica, che, pur nelle sue varie declinazioni etno-culturali e linguistiche, ha un volto universale. Ho usato il termine cosmico perchè spesso la madre, in varie culture, viene simbolicamente percepita, nella propria vita, proprio come una stella. Ho scoperto, durante decenni di lavoro come formatore, a partire dal nido, che le emozioni sono ...paesaggi. Questa intuizione prima si è trasformata in un mio libro, dal titolo L'alfabeto di Madre Terra, sacro e disegno infantile (Ananke Editrice), poi in laboratori di ricerca, all'inizio con insegnanti e genitori, poi in classe.
E' possibile, secondo Lei, educare alla pace attraverso il mito e la fiaba?
Il mito, come la fiaba, la poesia e l'arte in genere hanno una sostanza di immagini e di riti in cui, anche se inespresso, è sempre presente un corpo. La fiaba, corpo individuale che vibra con quello cosmico, vive nutrendosi di mille differenze: natura, figlie e figli, cibo, animali, cicli delle stagioni e tante altre dimensioni, aspetti e fattori. Prendendo, poi, spunto dalle ricerche di una grande archeologa, Marija Gimbutas, che ci narra della pacifica figura della Dea nel neolitico, ho cercato di tradurre in fiabe quella cultura senza divinità guerresche. Questo perché la fiaba rappresenta un reame dove si possono re-impastare pane, racconti e pace: le sue parole, infatti, così ricche di simboli e di immagini, sono, con altre componenti, i semi necessari per fecondare questa nuova e agognata terra senza violenze...
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In che modo, secondo Lei, la poesia e la fiaba potrebbero aiutare a prevenire ogni forma di violenza contro la donna?
La poesia cerca di prevenire ogni nostra violenza maschile, fisica, culturale o psicologica contro la donna perché ci fa respirare e non controllare la vita. Ogni violenza contro la donna, a partire dalla bambina, e' frutto perverso di una formazione egemonica, “capitalistica” e proprietaria del nostro pensiero maschile. Già giocando, da bambini e poi anche da adulti, spesso noi non entriamo in relazione, ma possediamo la relazione. Mentre invece, se incominciamo a respirare, a pensare, a parlare poesia, rinasce l'umiltà e l'attenzione nell'incontro con l'altra e con l'altro, anche con il cibo e con il corpo, la natura e gli animali.
Lei sostiene che l'analfabetismo del cuore e l'incapacità di raccontare le proprie emozioni siano le cause di ogni forma di violenza. Come si può combattere questa piaga sociale verso cui le Istituzioni sembrano indifferenti?
La violenza è spesso nel mio genere un racconto, una fiaba ripetitiva, stereotipata, quasi imbalsamata in se stessa, una narrazione quasi robotica, talmente fragile ed alienata da generare una profonda solitudine. Invece di guardarci dentro, risolviamo tutto verso l'esterno, rompendo o logorando fuori, purtroppo nell'altra, resa giocattolo, quanto abbiamo già incominciato a distruggere dentro di noi. Credo che una delle cause, non certo secondaria, della perdita della relazione, si annidi proprio nella visione proprietaria e consumistica del gioco/giocattolo nell'infanzia. Cosa fare? Io, come al solito, propongo di frequentar fiabe da un punto di vista pedagogico e non solo...
Prossimamente verrà pubblicato un Suo libro rivolto all'educazione maschile ai sentimenti e alle relazioni, dove affronta il tema della crisi del maschile e della conseguente crisi del paterno. L'introduzione è curata dallo psicologo Claudio Riva, mentre la postfazione è a cura di Morena Luciani Russo, artista e libera ricercatrice nel campo delle scienze sociali, nonché presidente dell'associazione culturale Laima di Torino. Quale messaggio si augura possa giungere all'universo maschile attraverso questo Suo libro, soprattutto in merito alla lotta contro la violenza di genere?
Questo libro, dal titolo Per non condannare a morte l'amore...Verso un nuovo alfabeto del cuore maschile, uscirà online ed è rivolto al mondo adulto. Apparirà, spero entro Natale, nella pagina partecipiamo.it, che ospita anche un mio sito. La voce principale sarà l'amorosità, che è una pratica di vita e di pensiero, intrisa di bellezza e di tenerezza. L'ho messa, all'inizio delle voci alfabetiche, al posto della grande parola amore, che è così importante da chiedermi più rispetto che voglia di giocare. Il messaggio? Spero tanto che mi arrivi qualche voce maschile che mi dica: "Finalmente!".
C'è un messaggio che vorrebbe rivolgere agli adulti, siano essi genitori o educatori, affinché sappiano valorizzare la saggezza ancestrale, insita in ogni bambina e in ogni bambino?
Penso a un classico, come il messaggio da lanciare in mare dentro una bottiglia. Normalmente ci si mette dentro uno scritto o una poesia, per chi ha una diversa sensibilità, poi lo si tappa, in modo che il messaggio o lo scritto arrivino magicamente, intatti, a destinazione. In questo triste momento in cui tanti bambini e bambine non riescono, con i loro cari, a trovare sempre il calore di un'accoglienza, emigrando alla ricerca di un barlume di vita, riporto, inserendola nella colorata bottiglia della speranza e della solidarietà, questa poesia della piccola Barbara:
Non vorrei essere quella foglia
staccata dal ramo
non vorrei essere
quel ramo
senza la sua foglia.
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