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lunedì, 09 ottobre 2023 06:18 |
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Il chiostro di San Benedetto
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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In un caldo pomeriggio di inizio agosto ho visitato l'Abbazia di San Martino delle Scale, situata sopra Monreale (PA), un angolo di pace che induce alla contemplazione e al silenzio. In compagnia dell'abate don Vittorio Rizzone e di don Riccardo Tumminello, ho avuto la gioia di esplorare ogni angolo di quella che è considerata la più grande tra le abbazie benedettine dell'Italia meridionale: lo scalone monumentale, l'ingresso settecentesco, il salone con gli affreschi in stile pompeiano, le sale di quello che, dal 1800 al 1866 circa, è stato l'appartamento dell'abate, il chiostro di san Benedetto, il coro ligneo, l'antica farmacia. In una bella intervista rilasciata a FtNews don Vittorio e don Riccardo hanno ripercorso la storia dell'abbazia. Don Riccardo ha parlato della partecipazione alla trasmissione televisiva Le ricette del convento, in onda su Food Network Italia, canale 33: lui, don Anselmo e don Salvatore sono ormai volti noti del programma; tra qualche mese daranno alle stampe un libro nato da questa esperienza, il cui titolo sarà proprio Le ricette del convento. Don Riccardo ha affermato che da pochi anni, grazie alla collaborazione di un’associazione di mastri birrai, è stata avviata un’attività di produzione di birra artigianale. Don Vittorio e don Riccardo hanno raccontato come trascorre la giornata dei monaci, soffermandosi spesso sull'ideale di vita cenobitico che da sempre caratterizza l'Ordine di san Benedetto.
Padre Abate, quando è stata fondata l'Abbazia di San Martino delle Scale? A quando risale la prima attestazione del nome?
Secondo un’antica tradizione, l’Abbazia di San Martino delle Scale, oggi considerata uno dei monasteri benedettini più grandi d'Italia, è stata fondata da papa Gregorio Magno nel 604 d.C., ma non abbiamo dati certi. L’inesistenza di fonti attendibili ha fatto dubitare molti studiosi sulla fondazione “gregoriana” dell’abbazia di San Martino delle Scale, la quale sarebbe stata in seguito distrutta dai Saraceni nel IX secolo. Al contrario, esistono moltissimi documenti che legano l’abbazia alla prima metà del XIV secolo, a partire dall’anno 1347. Di quell’anno si conserva ancora l’atto di fondazione, redatto dalla cancelleria dell’arcivescovo di Monreale Don Emanuele Spinola. Nel documento vengono fatti i nomi di sei monaci benedettini del monastero di San Nicola, situato alle falde dell’Etna, i quali furono cooptati dall’arcivescovo per dar vita ad un monastero nel feudo già allora detto di San Martino, di pertinenza del vescovado monrealese. Questi sei monaci arrivarono qui il 13 gennaio 1347. Tra costoro, spicca il nome del fondatore, il beato Angelo Sinisio, che in breve tempo costruì il primo monastero, accolse altri uomini desiderosi di condividere con lui l’ideale monastico e impiantò nello stesso cenobio le attività tipiche dei monasteri benedettini, tra cui la coltivazione dei campi e delle erbe semplici per la cura delle malattie e uno scriptorium per la riproduzione dei codici. Il ricordo dell'abate Sinisio rimase sempre vivo sia tra i monaci che tra i fedeli dei vicini centri di Palermo e Monreale, soprattutto per le tante opere di beneficenza che lo stesso abate e i suoi monaci avevano impiantato. Nei secoli successivi l’abbazia di San Martino rivestì un ruolo di notevole importanza nel territorio circostante.
Quanto al nome, va detto che la strada che da Palermo sale a San Martino e porta verso i paesi del Trapanese è a zig zag; vista da Palermo, sembra una scala, per questo, già nel VI-VII secolo, si parla di San Martino delle Scale.
A partire dalla fine del Cinquecento il cenobio entrò nella congregazione cassinese, una unione di monasteri benedettini che aveva come primo intento quello di favorire la collaborazione tra le abbazie presenti nella penisola italiana.
Cosa si sa della vita culturale dell'abbazia in quegli anni?
Padre Abate don Vittorio Rizzone: La vita culturale dell’abbazia durante questi secoli era vivace e originale: produzioni e committenze artistiche, attività editoriali, insegnamento. Il centro propulsore degli studi era indubbiamente la biblioteca, che attirava studiosi e ricercatori da ogni parte. Inoltre, il gusto per l’arte e per il collezionismo resero possibile l’allestimento di un museo, composto da opere artistiche dall’età ellenistico-romana al Medioevo, e di una quadreria .
Che fine fece il patrimonio della biblioteca? Oggi quanti volumi possiede? Cosa è rimasto del fondo antico?
Padre Abate don Vittorio Rizzone: Da quanto narra don Gregorio Frangipani, una delle prime preoccupazioni del beato Angelo Sinisio fu quella di acquisire alcuni volumi necessari alla vita liturgica e spirituale della piccola comunità ricostituita. Fra il 1620 e il 1625 i volumi furono trasferiti, per volontà dell’Abate D. Stefano D’Amico, in un unico ambiente identificato come "Camera del fuoco", onde evitarne la dispersione. Nel 1430 la biblioteca ricevette una donazione da Davide Sottile, che per testamento destinava i suoi libri al monastero. Anche in periodi successivi le donazioni si susseguirono arricchendo il patrimonio e attirando studiosi famosi come Rocco Pirri. A seguito delle leggi anticlericali del 1866, nel 1869 l’Abbazia fu spogliata delle sue opere d’arte, della biblioteca e della pregevole scaffalatura lignea trasportata alla Biblioteca Nazionale di Palermo. Quando la Biblioteca venne smembrata e dispersa, la raccolta fu destinata, oltre che alla Biblioteca Nazionale di Palermo, a quella di Casa Professa e alle biblioteche di Monreale e Termini Imerese. Qui non rimase quasi niente. Il contenuto del fondo antico spaziava fra differenti materie: dalle discipline teologiche alla fisica, all’astronomia, alla matematica, alla chimica, comprendendo anche biografie di uomini illustri. Oggi la biblioteca possiede più di 35.000 volumi, la maggior parte dei quali sono di recente acquisizione; dell’originario fondo antico rimane un cospicuo numero di opere a stampa e manoscritte, in parte di natura archivistica.
Attualmente la biblioteca è organizzata in diverse sezioni: Teologia, Storia e Geografia, Biografie e Agiografie, Biblica, Monastica, Letteratura, Patristica, Diritto, Liturgia, Arte, Scienze umane, Scienze positive, Biblioteconomia, Musica.
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Affreschi visibili sul soffitto dell'antica farmacia monastica
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L'Ottocento, invece, fu un secolo poco felice per l'Abbazia...
Padre Abate don Vittorio Rizzone: Il secolo XIX ha rappresentato per l’abbazia di San Martino l’inizio di una crisi interna che ha ridotto il suo ruolo spirituale per la comunità ecclesiale circostante, ponendo fine a tutte le iniziative culturali. La stessa confisca dei beni del 1866, con la susseguente spoliazione del patrimonio storico-artistico, a cui si aggiunse la soppressione degli ordini monastici nel lontano 1868, giunsero trovando la comunità monastica decimata e indebolita. Il servizio abbaziale era svolto in quegli anni da Don Luigi Castelli. La lenta ripresa avvenne grazie all'opera del benedettino don Ercole Tedeschi, che tentò di continuare la vita monastica tra le mura dell’Abbazia, dopo la dispersione della comunità seguita alle leggi eversive, grazie all’erezione di una parrocchia che potesse curare spiritualmente le persone residenti nel piccolo borgo adiacente, e al contempo consentisse la permanenza di un piccolo nucleo di monaci sul territorio. Ciò avvenne grazie anche all’interessamento dell’Arcivescovo di Palermo, cardinale Michelangelo Celesia, già monaco di San Martino delle Scale. La Parrocchia di San Martino Vescovo, dell’Arcidiocesi di Palermo, venne pertanto eretta il 30 marzo 1878. Accanto a don Tedeschi si radunarono alcuni giovani che volevano fare vita monastica, i quali venivano mandati al seminario di Monreale per studiare. Una volta diventati preti, il vescovo di Monreale li mandava in aiuto del parroco di San Martino delle Scale. Intorno agli anni '40-'50 venne riconosciuta la proprietà giuridica e queste persone diventarono la comunità monastica di San Martino delle Scale. Oggi la Parrocchia annessa al monastero si estende su un vasto territorio che va dal bivio di Boccadifalco-Baida fino alla strada provinciale che sovrasta l’abitato di Monreale; comprende le sub-frazioni di Castellaccio, Villaggio Montano, Borgo antico, Montefiascone, Rinazzo, Valle Paradiso e Piano Geli, dove è stata costruita un'altra piccola cappella. La ripresa della vita monastica durante tutto il Novecento segnò anche il ripristino di alcune attività proprie della comunità monastica, che prenderà sede in una parte dell’antico complesso monumentale: il carcere minorile, poi la colonia agricola, che si occupava dei terreni agricoli e, nei primi del Novecento, il collegio di Padre Semeria e Padre Minozzi.
Don Riccardo, cosa ha rappresentato, e cosa rappresenta, l'abbazia per la frazione di San Martino delle Scale?
La frazione di San Martino si è sviluppata grazie all'esistenza dell'abbazia, che ha rappresentato il centro propulsore di tutto il territorio. Quando, lo scorso luglio, in questa zona è divampato un violento incendio, tanta gente con la casa lambita dalle fiamme è venuta a rifugiarsi in chiesa, che noi abbiamo tenuto aperta tutta la notte.
Amate aprire le porte dell'abbazia alle visite guidate, che ormai stanno diventando sempre più frequenti. Come è strutturato il percorso di visita?
Don Riccardo: Organizziamo molti eventi e molte viste guidate per far conoscere il monastero. Dico sempre che le cose antiche continuano a vivere se sono vissute e conosciute. Tanta gente viene a trovarci. Quattro giovani ragazze delle borgate del territorio accompagnano i visitatori alla scoperta dell'abbazia. Io gestisco l'organizzazione delle visite guidate: prendo le prenotazioni, accolgo i visitatori dando loro il benvenuto, poi lascio che visitino l'abbazia.
Il percorso tradizionale inizia in chiesa col saluto di benvenuto. Si mostrano le opere presenti in chiesa, il coro, a volte si suona anche l'organo, poi si passa al chiostro di San Benedetto e al refettorio. Si fa visitare l'antica farmacia, che abbiamo riaperto a maggio; dopo ci si reca nella parte monumentale, si scende lo scalone e si vede l'ingresso settecentesco; si risale lo scalone, si arriva al salone , dove si possono ammirare gli affreschi in stile pompeiano e le sale di quello che dal 1800 al 1866 circa è stato l'appartamento dell'abate, poi si torna indietro verso la fontana dell'Oreto, che fa da sfondo al corridoio. Lì termina la visita. A proposito dell'appartamento dell'abate, dopo la soppressione degli ordini monastici, tutto quello che c'era all'interno fu portato via. Ciò che vi si trova oggi sono suppellettili regalate al monastero in questi ultimi anni. Abbiamo cercato di ricostruire gli ambienti: il salotto, lo studio, la camera da letto, la cappella.
Alla fine di ogni visita affido ai visitatori un piccolo compito per casa, invitandoli a parlare della nostra abbazia. L'unica cosa che sappiamo fare è parlare; più si parla, più una cosa è conosciuta: conosciamo Gesù Cristo perché se ne parlava. La parola perpetua la vita.
Quando avete deciso di aprire l'abbazia alle visite?
Don Riccardo: Quattro anni fa ho fatto il noviziato a Praglia, vicino a Padova. Lì i turisti potevano visitare il monastero. Questo fatto mi colpì molto; qui a San Martino delle Scale non c'era questa usanza. Appena sono arrivato a San Martino, ho condiviso l'idea di aprire il monastero alle visite guidate. All'inizio ce n'era una al mese, adesso ce n'è una, a volte anche due, a settimana. Arriva gente da tutta Italia, ma anche dall'estero: nel mese di agosto è venuto un gruppo da New York.
Il complesso accoglie una rivendita di prodotti monastici, tra cui la vostra rinomata birra. Quando avete iniziato a produrla? Organizzate degustazioni di birra per i vostri ospiti?
Don Riccardo: I prodotti che vengono venduti nel nostro negozio sono realizzati da esterni su commissione. Nel 2009 è nata la birra scura, nel 2017 la birra bionda, con la collaborazione di un'associazione di mastri birrai, chiamata Hora Benedicta, che produce la birra per noi. Vogliamo che la nostra birra crei dei legami tra le persone e la comunità e consenta di fare esperienza della spiritualità benedettina.
Organizziamo il festival estivo delle birre, che prima si teneva a giugno, mentre adesso si tiene a settembre. Il secondo o il terzo fine settimana di dicembre, invece, si tiene il festival delle birre natalizie. Nel periodo invernale viene valorizzata maggiormente la birra scura. Entrambi i festival si tengono nel chiostro dell'abbazia e prevedono diverse manifestazioni legate alla degustazione, alle passeggiate nei boschi dell'abbazia e alle visite guidate all'interno del complesso monumentale.
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Un'immagine dell'antica farmacia monastica
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Don Riccardo, insieme a due monaci della comunità, lei ha partecipato alla trasmissione televisiva intitolata Le ricette de convento. Di cosa si tratta?
Don Salvatore, don Anselmo ed io abbiamo un programma su Food Network Italia, canale 33, intitolato "Le ricette del convento". Abbiamo iniziato a registrare a febbraio 2022. Finora sono andate in onda due stagioni, ma noi abbiamo già registrato la terza, che uscirà a fine mese. Abbiamo recuperato tante ricette, tutte all'insegna della semplicità. Realizziamo pietanze semplici e rapide che al palato sembrano ricche. Le ricette le abbiamo scoperte per caso, ma sapevamo dell'esistenza di un ricettario antico. Quando la casa di produzione del programma ci ha contattato per riproporre le ricette in tv, don Salvatore, diplomato all'Istituto Alberghiero, è andato a consultare questo ricettario. Nel programma don Salvatore cucina, don Anselmo dà una narrazione storica relativa ai vari piatti e aiuta don Salvatore; quando il piatto è pronto, arrivo io dal refettorio cantando, poi degusto i piatti. Grazie alla partecipazione a questo programma, in quest'ultimo anno le visite all'abbazia sono aumentate in maniera esponenziale. A Natale uscirà anche un libro, il nostro libro, con le ricette delle tradizione monastica.
Come si svolge la giornata tipica di un monaco?
Don Riccardo: La giornata di un monaco è ben sintetizzata nell'espressione ora, labora et lege, 'prega, lavora e studia'. Sette volte al giorno noi monaci ci riuniamo e preghiamo insieme. Questo è un aspetto fondamentale: la nostra vita è una vita in comune, è vita cenobitica, non eremitica. Alcune ore vengono riservate allo studio e alla lettura, tendenzialmente nel pomeriggio o la mattina dopo la prima preghiera, quando si colloca il tempo riservato alla lectio privata. Ci sono, poi, delle ore dedicate al lavoro, che di solito si svolge nel corso di tutta la mattinata, dalle 9 fino alle 12,30, o il pomeriggio dalle 16 alle 18, prima della Messa. Ci svegliamo alle 6. La prima preghiera inizia alle 6,30 con l'ufficio delle letture, poi ci sono le Lodi. Seguono la colazione, la lectio Divina, e alle 9 la preghiera dell'ora terza. Alle 13 ci si incontra nuovamente per la preghiera dell'ora sesta, poi si pranza, ci si riposa e alle 16 ci riuniamo per la preghiera dell'ora nona. Alle 18,30 si celebra la Santa Messa aperta a tutti; seguono i Vespri e alle 20 la cena. Alle 21 c'è la Compieta, così chiamata perché completa la giornata. La Compieta termina alle 21,15, poi ognuno si reca nelle rispettive camere a lavorare un po', a leggere, a fare qualche telefonata.
Padre Abate, come è nata l'idea di riaprire l'antica farmacia monastica?
La vecchia farmacia, il chiostro delle erbe officinali, è stata attiva fino al 1890, quindi anche dopo lo soppressione degli ordini monastici. Qualche anno dopo, tutto quello che c'era all'interno venne portato via: il vasellame venne portato a Palazzo Abatellis, a Palermo. In questi anni l'Herborarium Museumdi Catania ha donato al monastero la sua collezione di vasi e riproduzioni di vasi antichi provenienti da Sciacca e da Caltagirone. Non sapevamo dove metterli. Mi è venuta l'idea di collocarli in questo spazio e aprire il luogo alle visite guidate, nella speranza che qualcuno possa darci una mano per il completamento del restauro di questo ambiente. Qui, infatti, erano rimasti soltanto gli affreschi sul soffitto, risalenti alla fine del XVI secolo. Tali affreschi già dieci anni fa erano stati parzialmente restaurati; i lavori di restauro non furono mai completati. Speriamo di trovare benefattori o persone interessate a opere di evergetismo, al finanziamento del progetto di recupero e restauro degli affreschi.
Don Riccardo, quali personaggi trovano posto negli affreschi?
L'unico personaggio storico finora identificato negli affreschi era un medico al servizio dei monaci del monastero, sepolto qui, la cui lapide ci ricorda che è morto nel 1582, all'età di 53 anni, quindi gli affreschi sono stati realizzati poco dopo. Si riconoscono Platone, Aristotele, Teofrasto, Ippocrate e Galeno e personaggi del mondo musulmano come Avicenna e Averroè. Poi abbiamo soggetti sacri: San Luca, l'evangelista che sappiamo essere stato anche medico, e i medici Cosma e Damiano, che non si facevano pagare per le loro prestazioni. Sul soffitto c'è Gesù che guarisce il paralitico alla piscina di Betzaeta, così come è raccontato nel capitolo quinto del Vangelo di Giovanni.
Chi siete soliti accogliere nella vostra foresteria?
Don Riccardo: San Benedetto vuole che gli ospiti che sopraggiungono in monastero siano accolti come Cristo, per questo la nostra foresteria monastica accoglie persone interessate alla ricerca di Dio e alla comprensione della sua volontà. Lo stesso invito è rivolto anche ai non credenti e a coloro che sono in “ricerca”. Per dare a tutti la possibilità di usufruire della nostra ospitalità, questa non si protrae più di una settimana.
Cosa vi augurate per il futuro dell'abbazia di San Martino delle Scale?
Padre Abate don Vittorio Rizzone: Il futuro è il significato dell'abbazia stessa, un modo di vivere altrimenti, diverso da quello ordinario. Facciamo tutto alla luce del Vangelo e della Parola di Dio. Questo significa essere un punto di riferimento per gli altri, per un mondo privo di orientamento. La nostra è una vita comunitaria in cui si impara a condividere e a crescere insieme dal punto di vista umano. Di ciò abbiamo veramente bisogno; credo non sia un obiettivo al di là delle possibilità umane.
Don Riccardo: Mi auguro che venga tanta gente a dare una mano e a collaborare con la comunità; noi siamo qui, consapevoli di essere un punto di riferimento per l'intera frazione. Sulla carta siamo in 16: sei al monastero di Nicolosi, alle pendici dell'Etna, dove c'è una piccola comunità dipendente da San Martino, dieci qui. Per le iniziative che organizziamo, serve tanto aiuto.
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