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Rosario Pesce
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A sorpresa, nelle prossime ore il M5S, all’interno del Parlamento europeo, abbandonerà il gruppo di Farage per aderire a quello dei Liberali.
La notizia è importante, visto che Farage è il leader che, più di altri, ha spinto perché il Regno Unito uscisse dalla Unione Europea.
La decisione, dunque, di Grillo è di primaria importanza, perché sta a significare che i Grillini hanno deliberato di posizionarsi diversamente rispetto al recente passato.
Per essere coerenti con il leader britannico, anch’essi avrebbero dovuto, evidentemente, promuovere o sostenere in Italia un eventuale referendum per l’uscita del nostro Paese dalla UE.
La decisione odierna, invece, cambia gli scenari.
I Grillini, forse, preparandosi ad andare al Governo, dopo le prossime elezioni, vogliono apparire più prudenti in materia di politica estera?
Peraltro, la scelta, circa l’eventuale permanenza o meno all’interno del contesto europeo, coinvolge, in primis, la vicenda monetaria.
La Gran Bretagna non ha mai rinunciato alla sua sterlina, mentre in Italia, anche in ambienti prossimi al M5S, in passato si era ventilata l’ipotesi di riacquisire la nostra indipendenza monetaria, tornando alla vecchia lira o passando ad un euro svalutato, diverso da quello che circola nei Paesi più ricchi dell’Unione.
La scelta di questi giorni modifica, dunque, l’orizzonte politico del nostro Paese, oltreché la geografia politica dei gruppi nel Parlamento europeo.
È chiaro che il M5S, dopo la sconfitta renziana al referendum dello scorso dicembre, avverte molto forte la possibilità concreta di andare al Governo dopo le prossime elezioni, per cui il Movimento non può che moderarsi, visto che gli atteggiamenti di una forza, che è in maggioranza, non possono che essere diversi da quelli di una di opposizione.
Peraltro, a nessuno è sfuggito il fatto che, nei giorni scorsi, sia stato modificato lo Statuto del Movimento in materia di garantismo, per cui nessun amministratore più del M5S dovrà dimettersi a seguito di un semplice avviso di garanzia.
Forse, da movimentisti stanno, progressivamente, divenendo filogovernativi, capendo che, per governare un Paese complesso, come il nostro, non si può non realizzare una grande mediazione, che è ben lontana dagli atteggiamenti ideologici tipici della prima fase del Movimento?
O, forse, più semplicemente, per effetto della lotta intestina di potere, i filogovernativi, come Di Maio, hanno prevalso sugli assertori del movimentismo nudo e puro?
Certo è che, nonostante gli errori compiuti in alcune realtà, come Roma, Grillo non paga dazio in termini di consenso, a dimostrazione del fatto che il M5S è una realtà politica consolidata del nostro Paese e non può essere un avviso di garanzia o un errore di un suo amministratore a metterlo fuori gioco.
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