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Rosario Pesce
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Quindici anni fa, moriva Bettino Craxi: già, in altri contributi, abbiamo tracciato la disamina del suo operato di leader del PSI, in un momento storico, a cavallo fra gli anni Settanta ed Ottanta, in cui il partito del Garofano era la terza forza del Paese ed il sistema istituzionale era bloccato, perché il Compromesso Storico fra Comunisti e Democristiani rischiava di eliminare le possibilità, pur residue, di una vera alternativa allo strapotere della DC nelle istituzioni statuali.
Preferiamo, ora, però promuovere un ragionamento, che mira ad altro: è ben noto che, dal 1992 in poi, sui Socialisti e sulla famiglia Craxi è caduta una “damnatio memoriae”, per cui tutto ciò che avesse una relazione con quel passato era tacciato, sic et simpliciter, con accuse irripetibili. Definirsi socialisti esponeva, finanche, al rischio di un linciaggio in pubblica piazza.
A distanza di un ventennio da quella data, circa, sembra che le cose siano cambiate profondamente ed, auspicabilmente, potranno mutare nei prossimi anni: infatti, gli Italiani, dopo i due decenni della Seconda Repubblica, hanno scoperto come la classe dirigente del PSI, ma più in generale della Prima Repubblica, non fosse molto più malvagia di quella che, appunto, ci ha governati senza soluzione di continuità dal 1994 in poi.
Anzi, l’Italia del 2015, che commemora l’anniversario della morte del leader socialista, non può non riconoscere alcuni dati fondamentali: innanzitutto, il debito pubblico, lasciato in eredità dal PSI, dalla DC e dal PCI, era certamente minore di quello attuale, che ci impedisce di stare nei limiti dei Trattati europei con relativa serenità e tranquillità.
La corruzione, inoltre, è notevolmente aumentata, con un elemento di differenza importante, che non è solo di natura quantitativa, ma soprattutto qualitativa: ai tempi di Craxi, le personalità, finanche più importanti, erano indotte a rubare – cioè a chiedere tangenti – per poter sostenere l’attività del proprio partito, per cui i reati di corruzione e di concussione avevano una ragione di natura, essenzialmente, politica.
Oggi, invece, è sempre più frequente che l’esponente corrotto di turno rubi per sé e non per il partito, visto che, d’altronde, non esistono più i partiti tradizionalmente intesi, ma sono tutti – più o meno – dei meri comitati elettorali, che rendono inevitabili le forme di sperpero del danaro pubblico - ancora - più odiose di quelle che esistevano ai tempi della Prima Repubblica.
Anche per effetto dell’incremento concomitante dei centri di spesa, causato dalla riforma del Titolo V della Costituzione, tutto ciò ha generato una corruzione ipertrofica, che ha portato il debito al 130%, circa, in rapporto al PIL, che è un valore statistico assolutamente fuori controllo, mentre, agli inizi degli anni Novanta, quel dato non raggiungeva il 90% rispetto - peraltro - ad una ricchezza nazionale ben maggiore, visto che esisteva un sistema industriale, che invece nel ventennio, appena passato, è stato scientemente smantellato con la complicità della cattiva politica, che ha fatto finta di non vedere i trasferimenti sistematici di ingenti patrimoni fuori dall’Italia.
Pertanto, oggi è possibile definirsi Socialisti, anche se non esiste di fatto più il PSI, senza timore di essere oggetto di accuse invereconde: anzi, gli Italiani hanno riabilitato il ceto dirigente della Prima Repubblica, perché, nonostante i suoi difetti, sia sul piano morale, che politico, esso assicurava una “pax socialis”, che quello attuale sta minacciando sensibilmente.
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