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Rosario Pesce
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Quella, che emerge dai lavori odierni della Direzione Nazionale, è l’immagine di un PD profondamente diviso al suo interno: da una parte, i renziani non sono affatto disposti a votare per il prossimo Presidente della Repubblica, in assenza del placet di Berlusconi; dall’altra, la minoranza chiede, invece, di andare ben oltre il Nazareno, allargando anche ad altre forze parlamentari l’accordo per l’individuazione del successore di Napolitano, facendo implicitamente riferimento al partito di Vendola e al M5S.
Evidentemente, sono due strategie entrambe legittime, ma rigorosamente alternative fra loro, perché molti comprendono bene che, se dovesse saltare l’intesa con Berlusconi sul nome del futuro Presidente, inevitabilmente questa fallirebbe su tutti gli altri temi, che sono oggetto della discussione politica odierna, dalla riforma della legge elettorale a quella della Costituzione, per cui non può sfuggire che l’eventuale elezione di un Capo dello Stato, fuori dallo schema renziano e berlusconiano, nel medio termine metterebbe in pericolo, finanche, l’esistenza stessa del Dicastero guidato dal Segretario del PD.
Pertanto, nella partita per il Quirinale, il buon Renzi si gioca sia la permanenza a Palazzo Chigi, che la guida del suo stesso partito, intuendo che il futuro potrebbe essere non dissimile da quello di Bersani, quando – nel 2013 – non riuscì ad imporre né Marini, né Prodi, nonostante il secondo – in particolare – fosse accreditato di un consenso molto più ampio di quello che, effettivamente, ricevette nel segreto dell’urna di Montecitorio.
Naturalmente, nessuno è in grado di intuire quale possa essere il futuro, nelle prossime settimane, della principale forza italiana, che – come dimostrano, anche, alcune vicende locali – vive il momento peggiore della sua storia recente, dato che mai è stata messa in crisi - così duramente - la sua unità.
È ovvio che nessun commentatore è in grado di prevedere il numero dei franchi tiratori, che si eserciteranno nell’impallinare il candidato renziano, qualora questi dovesse risultare viepiù indigesto a chi, soprattutto, non ha mai tollerato che l’asse della politica nazionale fosse segnato dallo sciagurato Patto del Nazareno, contratto nel gennaio del 2014.
Peraltro, un dubbio permane, ormai da due anni: i Grillini, pur tenendo numeri importanti nelle due Camere, continueranno ad avere un atteggiamento isolazionista, che non consente loro di essere decisivi negli equilibri delle istituzioni italiane?
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