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Rosario Pesce
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Domani, molto probabilmente, il Presidente della Repubblica annuncerà le sue dimissioni, compatibilmente con il cronoprogramma, che era stato fissato alla conclusione del 2014, quando egli ne aveva parlato, in occasione del discorso pronunciato il 31 dicembre.
Inizierà, quindi, giovedì il percorso, che porterà alla convocazione dei grandi elettori, che, a fine gennaio, dovranno eleggere il nuovo Capo dello Stato: come è noto, la procedura prevede quindici giorni di sospensione, nel corso dei quali, mentre i Consigli Regionali provvedono ad indicare i loro rappresentanti, iniziano a Roma i giochi per la designazione del futuro Presidente.
È ovvio che i fatti terroristici di Parigi, pur non riguardando direttamente il nostro Paese, avranno una loro importanza nel definire i tempi dell’elezione del prossimo inquilino del Quirinale: l’Italia, come tutte le nazioni occidentali, impegnate sul fronte mediorientale, è evidentemente obiettivo dei terroristi, per cui non possiamo invero consentire che, durante il periodo di “vacatio” della massima carica dello Stato, ci sia un attacco al Paese ed ai moltissimi obiettivi civili, che sono sparsi sul territorio nazionale.
Pertanto, è giusto che i mille grandi elettori facciano presto ciò che essi sono chiamati a svolgere: ovviamente, si può ben immaginare come sarà difficile eleggere il successore di Napolitano già nel corso delle prime tre votazioni, quando sarà richiesta la maggioranza qualificata dei due terzi, per cui è ipotizzabile che qualsiasi successivo turno di votazione, a partire dal quarto, sia quello buono, visto che sarà sufficiente la maggioranza assoluta dei votanti.
In quel caso, se l’accordo PD-Forza Italia-NCD reggerà, diviene auspicabile che il Presidente della Repubblica sarà eletto molto agevolmente, ma qui cominciano i problemi.
Infatti, all’interno del PD, dopo la vicenda della regalìa, in campo fiscale, a Berlusconi e dopo il fallimento – almeno, in termini di immagine mediatica – delle primarie liguri, le acque si sono agitate molto, perché i rapporti fra la maggioranza renziana e la minoranza ex-diessina sono notevolmente peggiorati, per cui è facilmente presumibile che le due componenti democratiche non procederanno all’unisono nel voto quirinalizio, a dimostrazione della rottura – ormai, insanabile – che esiste fra aree, culturali e politiche, che non condividono, quasi, più niente.
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