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Rosario Pesce
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Si ricordano, sempre più frequentemente, i protagonisti della scena politica della Prima Repubblica, forse perché quelli che sono sopraggiunti successivamente hanno messo gli Italiani nelle condizioni di rimpiangere il recente passato.
Orbene, una delle personalità, che si ricorda con maggiore piacere, è certamente Enrico Berlinguer, a dimostrazione del fatto che è caduta, finalmente, quella conventio ad escludendum che ha colpito in modo molto forte chi, in passato, si definiva comunista in un Paese, come il nostro, dichiaratamente anti-comunista.
Il ricordo di Berlinguer, inoltre, si arricchisce di un elemento ulteriore: la riflessione intorno alla natura, ideologica e programmatica, della Sinistra del XXI secolo.
Egli, infatti, fu il protagonista, alla fine degli anni Settanta, di un dibattito molto intenso intorno alla collocazione del PCI all’interno del nostro sistema politico-istituzionale.
I Comunisti, dopo le elezioni del 1976, furono, per ben due anni, parte integrante della maggioranza parlamentare, che governava l’Italia, pur non avendo nessuna rappresentanza nella compagine governativa.
Era la stagione della Solidarietà Nazionale, che purtroppo si concluse tragicamente nel 1978 con l’omicidio del Presidente della DC, Aldo Moro, che più di altri aveva lavorato per portare i Comunisti al potere, in alleanza con i Democristiani, lasciando tutte le altre formazioni in una condizione di mera marginalità parlamentare.
Da quel momento in poi – era la primavera del 1978 – per i Comunisti nacque un interrogativo molto importante: cosa divenire da adulti, visto che, fino ad allora, la loro capacità di autodeterminazione era stata molto limitata da fattori internazionali.
Berlinguer diede una risposta, invero, poco convincente: fallito il Compromesso Storico con gli avversari di sempre, portò i Comunisti ad essere relegati in una posizione di opposizione, da cui il PCI non sarebbe uscito più.
Egli fu spinto a portare avanti alcune questioni fondamentali per la vita pubblica del Paese, non accorgendosi che il suo tentativo avrebbe avuto più una valenza culturale, che non un’efficacia sul piano della concretezza dell’agire parlamentare.
Una fu quella del pacifismo, che sembrò di fatto l’ennesimo regalo alla Russia sovietica, in particolare in occasione della polemica con il Governo Craxi per la concessione delle basi militari americane per l’allestimento dei missili orientati contro il nemico moscovita.
Per altro verso, la questione morale, che fu il suo autentico cavallo di battaglia fino alla morte, avvenuta nel 1984, fu invero l’espressione più alta del pensiero di un intellettuale lucidissimo, incapace però di modificare il suo presente.
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