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Rosario Pesce
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Queste, virgolettate, sono le state le parole di Eugenio Scalfari usate contro il quesito referendario, in presenza di Renzi, in occasione di una pubblica manifestazione organizzata da Repubblica.
È evidente che il suggerimento elettorale, contenuto nelle parole del più autorevole giornalista italiano vivente, è portatore di un dato importante: si vota NO al quesito referendario di ottobre, in quanto il combinato disposto fra il referendum e la legge elettorale, varata dal Parlamento, creerebbe - di fatto - delle condizioni non particolarmente positive per la democrazia italiana.
Infatti, il Parlamento verrebbe ridotto ad un’unica Camera, al cui interno, peraltro, la maggioranza assoluta dei seggi verrebbe assegnata alla forza che consegue, appena, il 40% dei consensi, così come previsto dalla legge, appunto, voluta dallo stesso Renzi.
Pare proprio che i due dispositivi di riforma messi insieme, quello ordinario e quello costituzionale, creano una miscela esplosiva per il nostro Paese, tanto più in funzione del fatto che il partito del Presidente del Consiglio, ovvero qualsiasi altra formazione, può in modo relativamente facile giungere al 40% dei consensi e, dunque, divenire il padrone indiscusso delle nostre istituzioni repubblicane.
L’argomentazione succinta di Scalfari, evidentemente, pone un problema, che va anche oltre il mero aspetto costituzionale, che prende in esame: si può approvare un piano di riforme su misura dell’interesse del potente di turno, che ha l’ovvio interesse a rendersi più facile la vita, una volta salito al potere?
I nostri padri costituenti, che nel biennio 1946/47 misero mano alla Costituzione, creando quel prodotto che, tuttora, è apprezzato fuori dall’Italia molto di più di quanto non lo sia entro i nostri confini nazionali, evitarono di fare un uso privatistico delle istituzioni, per cui il percorso parlamentare di approvazione della Carta non venne, in alcun modo, pilotato in funzione degli interessi di questo o quel partito.
I democristiani, infatti, pur potendo contare su una maggioranza di consensi nel Paese, evitarono sempre, nel corso degli anni Cinquanta, di creare un regime repubblicano, che potesse eventualmente assumere le sembianze di una dittatura soft, tant’è che la legge elettorale, promossa da De Gasperi nel 1953, la cosiddetta “Legge Truffa”, era molto più democratica di quella voluta da Renzi, perché prevedeva il premio ulteriore di maggioranza, solamente, nel caso in cui un partito avesse, già, ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, cioè il fatidico 50% ed un voto, quindi molto di più del 40% previsto dal sistema vigente.
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