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Rosario Pesce
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Renzi ha deciso: dal momento che crede che l’esito delle elezioni amministrative di giugno possa non essere felice, farà del referendum costituzionale del prossimo mese di ottobre la reale prova di forza per convincere i suoi avversari, interni ed esterni al PD, che non esiste alternativa, nel Paese, all’attuale Governo.
La scommessa, che fa, è dunque molto forte: o riforma la Costituzione e diviene il tutor dell’Italia per molti anni ancora o perde il referendum e va miseramente a casa, visto che, a quel punto, non potrebbe neanche più giocare un ruolo minoritario all’interno del PD.
Personalizzare il referendum ci appare un errore, tanto per Renzi, quanto per il quesito referendario in sé, che è molto più importante della carriera politica del Premier.
Per Renzi il pericolo è evidente: fare della vicenda referendaria un plebiscito sulla sua persona, lo espone a rischi molto forti, che molto più saggiamente avrebbe potuto non assumere, separando nettamente le due cose.
Per il quesito del referendum, invece, la dinamica politica, che può innescarsi, ci appare tragica: infatti, la riforma costituzionale, varata dal Parlamento nelle scorse settimane, è così rilevante che il suo giudizio deve essere molto attento e prudente.
Noi, come è noto, nel merito siamo contrari alla riforma costituzionale, così come è stata approvata dalle Camere, anche se siamo fermamente convinti che la Costituzione del 1948 non deve essere avvertita come un feticcio, per cui – nelle forme più opportune – pure è necessario che il legislatore, diversamente da come ha fatto Renzi, ci debba mettere mano.
Non ci piace, infatti, un bicameralismo spurio, che non abroga il Senato, trasformandolo in una mera Camera delle Regioni, pronta a divenire l’ennesimo luogo di pressioni politiche, che nascono più da dinamiche lobbistiche, che non da ragionamenti cristallini ed adamantini.
Inoltre, è evidente che si percorre una strada sbagliata, quando si continua a non inserire nella Costituzione la legge elettorale per la Camera, che rimane una legge ordinaria e, quindi, come tale, troppo sottoposta agli interessi ed alle pressioni di questa o di quella parte, in funzione delle istanze contingenti.
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