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Rosario Pesce
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L'intervista al figlio di Riina, ad opera di Bruno Vespa, rappresenta un fatto inquietante, vista la fama del giornalista, che ha realizzato il lavoro, e visto - in particolare - lo spessore criminale della persona intervistata.
Purtroppo, da qualche anno, la lotta alla criminalità organizzata non rappresenta più una priorità della nostra classe politica, per cui sembra che siano, definitivamente, tramontati i tempi nei quali, ai vertici dei partiti di Governo e di opposizione, il contrasto al grande crimine organizzato era avvertito, in primis, come un'esigenza morale.
La mafia, purtroppo, si alimenta di un clima di consenso e tale condizione di contesto sembra esserle di nuovo favorevole, dal momento che la crisi economica, ineluttabilmente, spinge migliaia di cittadini ad essere asserviti alle logiche di un potere tanto malavitoso, quanto cruento e perverso.
Dal 1992, anno delle stragi di Capaci e di Palermo, molti passi in avanti sono stati fatti: i grandi capi criminali sono quasi tutti in galera; molti beni sono stati confiscati in Sicilia, come in Campania ed in Calabria, ma ancora non è stato scalato il vertice finanziario della mafia, cioè non è stato individuato a pieno il legame fra le attività dei malavitosi, condotte al Sud, ed il loro riciclaggio in attività pulite al Nord.
Il danaro criminale, infatti, si diffonde in mille direzioni e riuscire ad inseguirle tutte è un'opera davvero improba per i bravissimi inquirenti, che - quotidianamente - si occupano di verificare i percorsi tortuosi, che realizza il danaro di provenienza mafiosa ed illecita.
Da questo punto di vista, la nostra legislazione nazionale dovrebbe fare dei notevoli passi in avanti, stando attenta, in particolare, a non consentire il rientro franco in Italia di tutti quei soldi, che sono stati realizzati con le attività tradizionali del grande crimine.
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