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Raffaello: Aristotele nella Scuola di Atene
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Rosario Pesce
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La politica odierna, sia quella nazionale che quella mondiale, sta dimostrando una manifesta incapacità nell’affrontare le nuove emergenze, dettate dalla nascita dell’ordine mondiale, conseguente alla conclusione della Guerra Fredda ed alla caduta del Muro di Berlino.
Infatti, le sfide della globalizzazione rischiano di terminare tutte con un esito negativo, nonostante le speranze, che inizialmente erano state alimentate in buona fede: complessivamente, innanzitutto, la produzione mondiale di beni di consumo si è abbassata repentinamente, per cui, nella media, la società attuale è più povera di quanto non lo fosse quella della fine del secolo scorso.
Inoltre – e questo è il dato più allarmante – le disuguaglianze non solo non sono state attenuate, ma – peggio ancora – esse si sono ulteriormente ampliate, per cui sia all’interno dell’Occidente, che fra l’Occidente e le varie periferie del mondo esiste una tale disparità fra redditi e prospettive di vita, che nel Novecento avrebbe fatto invocare allo scandalo ed avrebbe determinato sommovimenti politici di non poco conto.
Infine, è evidente sempre più il distacco fra la pubblica opinione e la politica, come se, andando in crisi il capitalismo fordista, sia andata in crisi la democrazia rappresentativa, che ne era la plastica e consostanziale riproduzione sul piano delle istituzioni e delle relazioni fra le parti sociali e produttive presenti in campo.
La fine del fordismo, infatti, ha determinato, prima ancora che la conclusione traumatica di un certo modo di fare impresa, il fallimento delle strutture e della mediazione sociale che il capitalismo liberale e riformista e le forze sindacali e socialiste più avvedute erano state capaci di creare nel corso del XX secolo, come se il passaggio al nuovo secolo e, soprattutto, al novello modello di produzione, indotto dalla globalizzazione, avesse inteso determinare l’implosione di quegli elementi virtuosi, che invece erano stati il trait d’union delle lotte, politiche e sindacali, fra Ottocento e Novecento.
Molto grave ci appare la crisi della democrazia formale e delle istituzioni, che con lentezza e, sovente, senza esiti tentano di rigenerarsi, in assenza però di un modello, ideale e culturale, che faccia sì che il conato al mutamento non sia meramente dettato dalla generosità, priva quindi purtroppo dell’opportuna e necessaria base scientifica.
Cosa si può fare, per evitare allora crimini come quello di Parigi, che nascono in tale contesto e che non sono figli solamente dell’odio religioso, che – come avrebbe scritto Marx – è la sovrastruttura, l’epifenomeno di un disagio ben più ampio, radicato e strutturale, che invade la società odierna?
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