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Rosario Pesce
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Ormai, è evidente che la città, capitale d’Italia, stia subendo un’aggressione continua da parte dei media, volta a modificare gli equilibri politici, che si sono creati con l’elezione di Marino.
Purtroppo, lo stato di degrado, che viene denunciato dagli organi di stampa, è effettivo e, certamente, non è addebitabile in alcun modo al Sindaco, che, dopo la sua elezione, ha trovato un Comune soffocato dai debiti ed occupato, manu militari, dalla grande criminalità organizzata, che si è impadronita, nel corso degli ultimi decenni, di tutti gli spazi della vita civile.
Non ci interessa in questa sede individuare i responsabili, anche perché, quando si viene a realizzare un degrado così ampio e diffuso, le responsabilità non possono mai essere solo di pochi, ma di intere classi dirigenti, che hanno consentito - per complicità o per manifesta incompetenza - ai clan di entrare nelle istituzioni della capitale italiana, di fatto in una posizione egemonica, che poi ha obbligato il ceto politico a dover far i conti con siffatti poteri, che agiscono ben oltre il rispetto, formale e sostanziale, della Legge.
Come si può, quindi, ridare alla città eterna il suo prestigio, perso in modo così inverecondo?
Nuove elezioni, per quanto molto probabili, non sarebbero la soluzione ai mali presenti, per quanto potrebbero essere utili a ridefinire un patto fra i cittadini ed il vertice amministrativo, che andrebbe ad insediarsi dopo il voto.
Ma, siamo certi che un’operazione politica, aperta comunque al rischio di trasformismo, sia quella necessaria per un Comune, prossimo al dissesto finanziario e, soprattutto, bisognoso di fare una grande pulizia al suo interno, anche grazie all’aiuto – tempestivo, virtuoso e determinante – derivante dall’intervento degli organismi giudiziari di Polizia e Magistratura?
Il degrado di Roma è, mutandis mutatis, quello del Paese intero, perché, all’indomani di Tangentopoli, ci siamo illusi che la corruzione fosse stata eliminata in virtù delle indagini del Pool di Milano, salvo poi scoprire che, nel ventennio successivo, i fenomeni di corruttela non solo non sono stati cancellati, ma addirittura si sono moltiplicati, anche perché la riforma della Pubblica Amministrazione e quella del Titolo V della Costituzione hanno consentito di far saltare alcune forme di controllo, che svolgevano una preziosa funzione preventiva nel sistema precedente.
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